Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13269 del 01/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 01/07/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/07/2020), n.13269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11293-2018 proposto da:

C.I., B.F., B.C., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato OSCAR MUSACCHIO;

– ricorrenti –

contro

TUA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo

studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

S.L.F., S.V., S.S.,

S.M., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1712/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 05/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’11 marzo 2003 nel territorio del comune di (OMISSIS) perse la vita in conseguenza di un sinistro stradale B.E..

In data che il ricorso non indica la madre ( C.I.) ed i fratelli della vittima ( B.F. e B.C.) convennero dinanzi al Tribunale di Cosenza il proprietario ( P.S., che decederà nelle more del giudizio, e rispetto alla quale la domanda sarà coltivata nei confronti degli eredi S.F., S.L., S.M., S.S. e S.V.) e l’assicuratore della r.c.a. del veicolo che, secondo la prospettazione attorea, aveva provocato il sinistro (Unione Assicurazioni s.p.a., che in seguito muterà ragione sociale in TUA Assicurazioni s.p.a.; d’ora in avanti, “la TUA”), chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

2. Con sentenza 31.1.2013 n. 172 il Tribunale di C. accolse la domanda, e condannò l’assicuratore a pagare alla madre della vittima la somma di Euro 260.000, e a ciascuno dei fratelli la somma di Euro 134.000.

La sentenza venne appellata dalla Duomo Unione Assicurazioni in via principale, e dai congiunti di B.E. in via incidentale.

3. Con sentenza 5 ottobre 2017 n. 1712 la Corte d’appello di Catanzaro:

-) rigettò il gravame incidentale nella parte tendente a ricostruire la dinamica del sinistro, confermando la responsabilità esclusiva dei convenuti;

-) elevò a Euro 275.000 il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla madre della vittima, per tenere conto dell’invalidità psichica patita dalla donna in conseguenza della morte del figlio;

-) ritenne che il Tribunale avesse erroneamente eseguito l’operazione di detrazione, dal credito risarcitorio spettante ai fratelli della vittima, degli acconti pagati dall’assicuratore della responsabile; effettuati gli opportuni conteggi, la Corte d’appello determinò tale credito nella somma di Euro 120.140,14, oltre interessi compensativi;

-) escluse che la morte di B.E. avesse causato ai congiunti un danno patrimoniale consistente nel venir meno d’un apporto economico del defunto in favore della famiglia;

-) escluse che i danneggiati potessero pretendere tre diverse voci di danno non patrimoniale (danno esistenziale, danno biologico e danno morale);

-) negò il diritto al risarcimento del danno consistito negli esborsi sostenute per le spese funerarie, ritenendo che tali spese non fossero state dimostrate tempestivamente;

-) negò il diritto al risarcimento del danno consistito negli esborsi sostenuti per la costituzione di parte civile, perchè tali spese erano state già liquidate dal giudice penale.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai congiunti della vittima, con ricorso fondato su cinque motivi.

Ha resistito la TUA con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo i ricorrenti prospettano il vizio di omesso esame di un fatto decisivo art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che il “fatto decisivo” che la Corte d’appello non avrebbe esaminato è rappresentato dalle conclusioni precisate dagli odierni ricorrenti nel grado di appello, all’udienza di precisazione delle conclusioni del 21 dicembre 2016.

Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello, nel trascrivere in sentenza le conclusioni contenute nella comparsa di costituzione risposta contenente l’appello incidentale, avrebbe trascurato di prendere in esame le “nuove voci di danno prima mai menzionate” contenute nelle conclusioni rassegnate in udienza.

1.1. Il motivo sarebbe inammissibile per plurime ragioni, la più evidente delle quali è la carenza di interesse a proporlo.

I ricorrenti, infatti, si dolgono che non sia stata esaminata una domanda che essi stessi dichiarano di avere proposto tardivamente, e che in quanto tale si sarebbe comunque dovuta dichiarare inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., quand’anche fosse stata esaminata.

2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, formalmente richiamando l’art. 360 c.p.c., n. 5, che la Corte d’appello avrebbe liquidato il danno non patrimoniale applicando le tabelle milanesi “vigenti” al momento del verificarsi del danno, invece che al momento della liquidazione.

Deducono che, se la Corte d’appello avesse applicato le tabelle diffuse dal Tribunale di Milano nell’anno 2014 (le ultime disponibili al momento della decisione d’appello), i danneggiati avrebbero “avuto diritto” ad una liquidazione maggiore, dal momento che quelle tabelle prevedevano quale massimo ristoro a favore della madre della vittima la somma di Euro 327.900, ed a favore dei fratelli la somma di Euro 142420, ben maggiori di quelle liquidate dal Corte d’appello.,

2.1. Il motivo è inammissibile.

La tesi che i ricorrenti vorrebbero sostenere può così riassumersi: per stabilire se la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dall’uccisione di un prossimo congiunto sia stata equa od iniqua occorre avere riguardo non già al quantum concretamente liquidato dal giudice di merito, ma alla c.d. “tabella” da cui l’ha ricavato. Per cui, mutata la tabella nelle more del giudizio, qualsiasi importo accordato sulla base della tabelle meno recente sarebbe, per ciò solo, erroneo.

Si tratta, tuttavia, d’una tesi erronea.

Per la stima del danno non patrimoniale da uccisione d’un prossimo congiunto, in mancanza di criteri legali, da molti anni gli uffici giudiziari di merito hanno concepito criteri standard, al fine di rendere omogenee e prevedibili le decisioni.

Tra questi criteri, larga diffusione ha avuto quello adottato dal Tribunale di Milano. Questo criterio consiste nello stabilire ex ante la misura del risarcimento in base alla natura del vincolo che legava la vittima ed il congiunto superstite (coniugio, filiazione, maternità, ecc.). Per ciascun tipo di vincolo parentale è prevista una somma variabile tra un minimo ed un massimo, molto divaricati tra loro. La scelta del risarcimento concretamente dovuto nel caso specifico è rimessa alla valutazione equitativa del giudice.

2.2. Questa Corte, con la sentenza Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048 – 01, stabilì che la tabella diffusa dal Tribunale di Milano sin dal 2009 e denominata “Criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante (…) dalla perdita o grave lesione del rapporto parentale” dovesse costituire “d’ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l’entità” (Cass. 12408/11, cit., p. 3.2.5 dei “Motivi della decisione”).

Vero è che in seguito si sono registrate talune decisioni dissonanti (ed in particolare Sez. 3 -, Sentenza n. 29495 del 14/11/2019, Rv. 655831 – 01, secondo cui “nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale (…) le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell’equità su tutto il territorio nazionale”).

Nella presente sede tuttavia, ed al fine di decidere il secondo motivo del ricorso, non è necessario stabilire quale delle due dissenzienti opinioni sia preferibile.

Infatti un sistema che lascia al giudice la facoltà di scegliere il risarcimento ritenuto equo tra un minimo ed un massimo molto distanti tra loro è, nella sostanza, un sistema equitativo puro, con l’unico temperamento del divieto di scendere al di sotto, o salire al disopra delle soglie tabellari.

2.3. In un sistema equitativo puro, lo stabilire se la misura del risarcimento più adatta a ristorare il danno nel caso concreto sia quella minima, quella media o quella massima prevista dalla “tabella” è una valutazione di puro fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in questa sede.

Così, nel caso di specie, la “tabella” della cui mancata applicazione i ricorrenti si dolgono (diffusa dal Tribunale di Milano nell’anno 2014) prevedeva, quale risarcimento dovuto al genitore per l’uccisione d’un figlio, una somma variabile da un minimo di Euro 163.990 ad un massimo di Euro 327.990.

La Corte d’appello ha tuttavia liquidato a C.I., a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza della perdita prematura del figlio, la somma di Euro 260.000.

Il giudice di merito, dunque:

a) non ha violato l’art. 1226 c.c., così come interpretato da questa Corte nella ricordata sentenza n. 12408/11, perchè ha fatto correttamente riferimento, per la liquidazione del danno non patrimoniale, alla tabella diffusa dal Tribunale di Milano;

b) non ha violato il principio per cui, nella liquidazione del danno non patrimoniale, occorre fare riferimento alla tabella più recente in uso al momento della decisione, perchè l’importo liquidato è compreso nel range previsto dalla tabella in uso al momento della decisione.

Nè è consentito a questa Corte sindacare se, per le peculiarità del caso concreto, quell’importo sarebbe dovuto attestarsi sulla misura massima, su quella media o su quella minima prevista dalla tabella.

3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1226,2056 e 2059 c.c. Il motivo contiene due censure.

Con una prima censura i ricorrenti si dolgono del fatto che il danno non patrimoniale patito dalla madre della vittima sia stato liquidato nella misura media rispetto agli standard previsti dalle tabelle, mentre quello accordata ai fratelli sia stato liquidato nella misura massima. Deducono che tale ragionamento sarebbe “irrazionale ed antinomico”.

Con una seconda censura i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe erroneamente “inglobato il danno biologico iure proprio riportato dalla ricorrente C.I. nell’ambito di un’unica voce di danno riconosciuta e genericamente ed unitariamente denominata danno parentale”.

3.1. La prima delle suesposte censure è inammissibile.

In primo luogo è inammissibile perchè investe una tipica valutazione di fatto riservata al giudice di merito.

In secondo luogo è inammissibile perchè si fonda su un assioma: e cioè che il dolore morale sofferto dai fratelli di persona tragicamente deceduta non potrebbe non essere di intensità inferiore a quello sofferto dalla madre. Ma una regola di questo tipo non è costituisce affatto una massima di comune esperienza, nè una legge scientifica: non tutte le madri sono Medea, e non tutti i fratelli sono Castore e Polluce. E’, per contro, potere-dovere del giudice di merito, secondo quanto le parti hanno allegato e provato, accertare con gli strumenti a sua disposizione quale sia stata la reale entità del danno nel caso concreto. Ma lo stabilire se tale accertamento sia stato corretto rispetto alle prove offerte, come già detto, è questione che esula dal perimetro del giudizio di legittimità.

3.2. Anche la seconda delle censure contenute nel terzo motivo odi ricorso è inammissibile.

Il giudice di primo grado liquidò il danno patito dalla madre della vittima nella misura di Euro 260.000.

Il giudice di secondo grado riformò tale statuizione, elevando tale importo a Euro 275.000, per tenere conto “delle conseguenze lesive dell’evento luttuoso sul piano dell’integrità psicofisica del congiunto superstite”, reputando che la morte del fio avesse causato ad C.I. una malattia psichica guarita con postumi permanenti pari al 15%.

Il danno biologico è stato dunque concretamente liquidato dalla Corte d’appello ed ovviamente nulla rileva, sul piano della correttezza giuridica della decisione, se la liquidazione sia avvenuta a parte o in una unica cifra. Nè i ricorrenti prospettano che l’importo liquidato a titolo di ristoro della lesione della salute sia erroneo sotto altro profilo, o sottostimato.

4. Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1226,2043,2056,2059 c.c..

Si dolgono del fatto che la Corte d’appello abbia rigettato la domanda di risarcimento del danno esistenziale.

4.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., avendo le SS.UU. di questa Corte stabilito ormai da dodici anni che “di danno esistenziale nel nostro ordinamento non mette conto discorrere” (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008).

5. Col quinto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1223,1226,2043 c.c.; nonchè dell’art. 115 c.p.c..

Si dolgono del rigetto della domanda di risarcimento delle tre voci di danno patrimoniale da essi dedotte: il rimborso delle spese funerarie; il rimborso delle spese di costituzione di parte civile; il ristoro del lucro cessante derivante dalla perdita dell’apporto economico che la vittima avrebbe dato alla famiglia. Deducono che, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, le prove documentali degli esborsi sostenuti per le prime due voci erano “in atti”. quanto alla terza voce di danno, deducono che gli studi compiuti dalla vittima (in una scuola alberghiera), la sua verosimile realizzazione lavorativa futura, e i bassi redditi della madre e dei fratelli, dovevano indurre la Corte d’appello a ritenere altamente probabile una contribuzione economica della vittima in favore della famiglia, se non fosse prematuramente scomparsa.

5.1. Nella parte in cui censura il rigetto della domanda di risarcimento del danno per spese funerarie, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il ricorrente, infatti, sostiene che la Corte d’appello avrebbe ritenuto non presenti in atti documenti che invece vi erano, ma non deduce nè dove si trovino tali documenti, nè quando siano stati prodotti, nè quale ne fosse il contenuto.

Nella parte in cui censura il rigetto della domanda di risarcimento delle spese di costituzione di parte civile il motivo è inammissibile, perchè estraneo alla ratio decidendi.

Tale domanda è stata infatti rigettata dalla Corte d’appello sul presupposto che quelle spese fossero già state liquidate dal giudice penale, valutazione che non viene nemmeno sfiorata dal ricorso.

Nella parte restante, infine, il motivo è inammissibile, perchè ancora una volta censura un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito.

6. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna C.I., B.F., B.C., in solido, alla rifusione in favore di TUA Assicurazioni s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 4.800, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014 n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.I., B.F., B.C., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2020

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