Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13265 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/05/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 17/05/2021), n.13265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21187-2019 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE MAZZINI N. 145,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO GARAU, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1033/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La s.p.a. UnipolSai Assicurazioni ha convenuto avanti al Tribunale di Roma la s.p.a. Poste Italiane, per chiederne la condanna a risarcire il danno provocatole dell’essere stato “pagato a soggetto non legittimato un assegno di traenza”, non trasferibile, montante a Euro 7.000,00. Emesso dalla compagnia di assicurazione a valere su conto corrente bancario a sè intestato, l’assegno di traenza era stato poi negoziato dalla società convenuta, con versamento delle relative somme nelle mani di persona diversa dal legittimo beneficiario.

2.- Il Tribunale ha respinto la domanda attorea, ritenendo in particolare che la negoziatrice avesse adempiuto il proprio compito con la dovuta diligenza, identificando il portatore dell’assegno a mezzo carta di identità e pure trascrivendo il numero di codice fiscale. Alla stessa non erano imputabili – ha aggiunto la pronuncia – “falsificazioni che avrebbero potuto essere rilevate solo con l’uso di particolari mezzi tecnici”.

3.- La Compagnia ha proposto appello avanti alla Corte di Roma. Questa, con sentenza depositata il 12 febbraio 2019, ha accolto l’appello e condannato la società Poste Italiane a risarcire una somma pari al valore facciale dell’assegno di traenza che aveva negoziato (oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali sino al soddisfo).

4.- In proposito la Corte romana ha rilevato che, nella specie, la banca negoziatrice non ha “usato la dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore dell’assegno”, nè fornito la prova liberatoria della non imputabilità a sè del relativo inadempimento.

5.- Nei fatti, la banca negoziatrice non ha neppure chiesto al presentatore un “ulteriore documento fornito di fotografia” (come pure suggerito dalla circolare ABI del 7 maggio 2001), nonostante ricossero più circostanze idonee, soprattutto nel loro insieme, a mettere in serio sospetto: il presentatore era sconosciuto; l’assegno era stato emesso a Bologna, ma presentato per la negoziazione presso l’ufficio postale di Lecco; lo stesso giorno della negoziazione il presentatore aveva aperto un libretto di risparmio si cui depositare le somme di cui all’assegno.

Tutto ciò veniva a imporre – così ha rilevato la pronuncia “l’esecuzione di un più accurato controllo” di quello consistente nel semplice riscontro della carta di identità.

6.- Compiute le riportate considerazioni, la Corte territoriale ha poi osservato che nella specie non era ravvisabile alcuna concorrente responsabilità della società di assicurazione, che si era avvalsa della posta ordinaria per trasmette l’assegno al beneficiario. La normativa che vieta di includere nelle corrispondenze ordinarie denaro e altri valori e preziosi – si è osservato al riguardo – “attiene ai soli rapporti tra l’ente postale e l’utente”.

7.- Avverso questo provvedimento, Poste Italiane ha presentato ricorso, affidandolo a due motivi di cassazione.

Ha resistito, con controricorso, Unipol Sai.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8.- Il primo motivo di ricorso assume “violazione e falsa applicazione della L. assegni, art. 43, in riferimento agli artt. 1176,1992 e 1218 c.c. e conseguente omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Rileva in proposito il ricorrente che la norma della L. assegni, art. 43, viene a delineare una ipotesi di responsabilità per mancata diligenza, non già di tratto oggettivo. Fissata in tal modo la prospettiva di inquadramento del tema, passa a osservare che l’esame dei documenti prodotti nei gradi del merito non mostra segni evidenti di contraffazione nè sul titolo negoziato, nè sui documenti di riconoscimento acquisiti.

L’operatore postale – così si specifica in via ulteriore – ha, da una parte, “svolto un attento esame circa l’autenticità del titolo e ha verificato l’assenza di segni di contraffazione e quindi di irregolarità o alterazioni”; dall’altra, ha “verificato l’identità della persona a favore della quale, in conformità al contenuto del titolo, veniva resa disponibile la somma portata dal titolo”.

9.- Del resto, la circolare ABI del maggio 2001, che il provvedimento impugnato ha ritenuto di richiamare, “non costituisce norma di legge, nè di regolamento, bensì mera raccomandazione”.

10.- Il motivo non merita di essere accolto.

11.- La fattispecie concreta, per cui è stata invocata la responsabilità della banca negoziatrice, si iscrive nella generale tematica della attività di identificazione del soggetto che ha presentato all’incasso un titolo di pagamento, per venire a focalizzarsi sull’ipotesi particolare in cui questo titolo sia costituito da un assegno di traenza.

E’ dunque senz’altro opportuno fare richiamo, prima di ogni altra cosa, alla pronuncia di Cass., Sezioni Unite, 26 giugno 2007, n. 14712, che della figura dell’assegno di traenza si è occupata in modo specifico.

12.- Le notevoli “peculiarità di tali titoli e il fatto che essi possono di fatto assolvere a una funzione corrispondente a quella del bonifico a mezzo banca” – ha annotato la pronuncia delle Sezioni Unite – “non tolgono che essi siano riconducibili al genus dell’assegno bancario”, di questo mezzo di pagamento riproponendo le caratteristiche di base.

“Alla circolazione e al pagamento di un assegno siffatto, munito di clausola di non trasferibilità” (secondo quanto avviene pure nel caso che è qui concretamente in esame) risulta dunque applicabile – si è di riflesso soggiunto – la “disciplina stabilita dal legislatore in materia di assegno bancario non trasferibile, che trova la sua collocazione della L. assegni, art. 43”.

13.- Attesi questi rilievi di base, è d’uopo fare subito richiamo, allora, anche alla pronuncia di Cass., Sezioni Unite, 21 maggio 2018, n. 1247.

Nell’esaminare appunto la regola fissata nella L. assegni, art. 43, tale sentenza ha ripreso e ribadito il principio per cui la responsabilità della banca negoziatrice, nell’attività di identificazione nel legittimo portare del titolo della persona che lo ha materialmente portato all’incasso, possiede natura di responsabilità contrattuale (sub specie del c.d. “contatto qualificato”), seguendo i parametri informanti della responsabilità per negligenza e colpa professionale ex art. 1176 c.c., comma 2, con esclusione di ogni riferimento al canone della responsabilità oggettiva.

Nel contesto, detta pronuncia ha anche ribadito come detta responsabilità della banca negoziatrice faccia specifico riferimento a un obbligo professionale di protezione proprio della relativa impresa – che viene a operare nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine dell’operazione sottostante – di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito da pagamento bancario in conformità alla regola che ne presidiano la circolazione e l’incasso.

Sul punto è ancora da aggiungere che, sulla scia di questo precedente, la recente decisione di Cass., 19 dicembre 2019, n. 34107 non ha mancato di richiamare espressamente l’ulteriore principio (tradizionale, peraltro, nella giurisprudenza della Corte; cfr., ad esempio, Cass. 22 maggio 2019, n. 13828), secondo cui l’operatore professionale è tenuto a rispondere, ex art. art. 1176 c.c., comma 2, del danno provocato anche in ipotesi di colpa lieve.

14.- La collocazione dell’assegno di traenza nel genus dell’assegno bancario non esonera, peraltro, dal mettere in evidenza le oggettive peculiarità che connotano tale figura: chè ciò è quanto propriamente occorre, anzi, per dimensionare in modo opportuno i termini del comportamento professionalmente diligente a cui la banca negoziatrice è tenuta nel verificare la rispondenza della persona, che presenta all’incasso un assegno di traenza, all’effettivo beneficiario dello stesso.

In questa figura – riscontra la più volte richiamata pronuncia delle Sezioni Unite n. 14712/2007- “una banca autorizza taluno a sottoscrivere – appunto per traenza – sulla banca stessa, inviandogli a tal fine un modulo di assegno appositamente predisposto con previsione di pagamento in favore del traente medesimo. La predisposizione e l’invio dell’assegno al previsto traente presuppongono l’esistenza presso la banca di una provvista” apposita, costituita o dalla medesima banca che invia il modulo ovvero da terzi”.

Sul piano della struttura compositiva del documento, la descritta dinamica comporta che l’assegno di traenza è privo di firma di traenza quando viene inoltrato dalla banca trattaria al suo beneficiario (il documento riportando unicamente l’indicazione del nominativo del soggetto designato quale beneficiario); tale firma verrà apposta dal medesimo beneficiario in seguito, nella prossimità, cioè, della presentazione del titolo per l’incasso.

Fermato questo punto, è opportuno anche rimarcare – come, del resto, non ha mancato di fare già la sentenza qui impugnata – che la banca trattaria per sè “non possiede lo specimen di firma del beneficiario” (per la constatazione che l’assegno di traenza “non presuppone la pregressa esistenza di una convenzione di assegno” v. sempre la sentenza delle Sezioni Unite, n. 14712/2007). Nè, tanto meno, dispone di un simile strumento di verifica la banca negoziatrice.

15.- Discende in via diretta dalla serie di osservazioni appena compiute che la presentazione all’incasso di un assegno di traenza da parte di persona diversa da quella dell’effettivo beneficiario non suppone, nè passa attraverso – per lo specifico profilo della sottoscrizione del beneficiario (diverso, naturalmente, è il punto relativo alla somma apposta sulla chartula e quello del nominativo segnato come beneficiario; ma tali aspetti ulteriore non interessano la presente indagine) – alcun tipo di abrasione o alterazione, o comunque correzione, del documento che forma il titolo di credito.

Erra, pertanto, il ricorrente ad assegnare valore determinante, in punto di diligenza del comportamento tenuto dalla banca negoziatrice, a un simile ordine di riscontri. Per definizione, anzi, un’attività di verifica che – in relazione a un assegno di traenza – si limiti a questo livello integra gli estremi del controllo non diligente, perchè si manifesta come in sè stesso non diretto a verificare la corrispondenza della persona che presenta il titolo con quella del beneficiario effettivo della prestazione portata sull’assegno di traenza.

16.- La mancata disponibilità di sottoscrizioni di comparazione della firma di traenza, che segue alla riscontrata assenza di specimen di firma (cfr. n. 14, ultimo capoverso), viene, naturalmente, a sottolineare l’esigenza che l’attività di controllo della rispondenza della persona che presenta il titolo al reale beneficiario dello stesso sia particolarmente attenta.

Per altro verso, l’accennata tipologia di peculiarità che connota l’assegno di traenza viene direttamente a orientare la verifica da compiere per rispettare il criterio del diligente controllo professionale – verso il contorno dei diversi profili che risultino inerenti o in ogni caso richiamati dalla fattispecie concreta. E quindi verso più riscontri che comunque posseggono, per così dire, taglio non cartolare: nel senso, appunto, che non vengono a fare riferimento alla firma di traenza apposta sul titolo (al tempo della sua presentazione), nè alle caratteristiche dell'”intrinseco” documentale.

17.- In questo contesto, ruolo primario vengono di sicuro a svolgere – secondo i più consolidati standard valutativi presenti nella realtà sociale (su questo tema generale v. la recente disamina svolta dalla già citata Cass., n. 34107/2019) – i documenti di identità personale del presentatore, che sono riconosciuti come tali dall’ordinamento vigente (sul punto cfr., d’altra parte, anche la norma del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 19). E così in particolare, per riprendere l’enunciazione formulata dalla sentenza della Corte che si è appena richiamata, la documentazione rappresentata da “carta di identità, passaporto ovvero patente di guida” (tutti documenti, questi, che – si può in limine esplicitare – tra le altre cose contengono pure una rappresentazione “visiva” del loro titolare).

Allo scrupoloso esame e controllo di questo genere di documenti dovrà dunque propriamente rivolgersi (e in via elettiva) l’attività della banca negoziatrice.

18.- Fissato questo punto, è tuttavia da chiedersi ancora se la positiva effettuazione di un controllo tramite il riscontro di uno degli indicati documenti di identità venga comunque a esaurire senza residui la tematica del comportamento a cui la banca negoziatrice è tenuta per adempiere all’obbligo di diligente verifica. Secondo quanto assume, in particolare, l’opinione sostenuta dal ricorrente.

In relazione al detto interrogativo – è peraltro opportuno precisare subito – non viene in considerazione l’eventualità di procedere al controllo di non di uno, ma di più documenti di identità. Come ha messo in particolare luce la decisione di Cass., 34107/2019, la presentazione di due (o più) documenti di identità non esclude l’eventualità che entrambi siano contraffatti; nè, per altro verso, la contraffazione di un secondo documento comporta, in linea di principio almeno, margini di difficoltà superiori a quelli rappresentati dalla contraffazione del primo.

Del resto, quella della diligenza professionale ex art. 1176 c.c., comma 2, è materia che, per sua propria natura, si orienta verso la qualità delle verifiche da porre in essere, non già sulla semplice quantità delle stesse.

19.- In proposito il riferimento va, piuttosto, alla già sottolineata circostanza che, nel particolare caso dell’assegno di traenza, il controllo sull’identità della persona del presentatore risulta – assai più che nelle altre fattispecie di assegno – di per sè affidato alla verifica dei diversi dati “extracartolari” che la fattispecie concreta viene a presentare (sopra, nel n. 16): come rappresentati dai documenti d’identità ovvero pure da altri aspetti.

Ora, in una simile prospettiva non v’è ragione oggettiva per assegnare al controllo del documento d’identità un valore senz’altro esaustivo o tale da mettere sempre e comunque a tacere ogni diversa indicazione che, nell’eventualità, il contorno della fattispecie concreta venga a presentare. Il controllo affidato al documento di identità si pone cioè come aspetto “fisiologico” (o “naturale”, o anche “tipico”, se si preferisce) di un comportamento che aspiri a onorare la diligenza professionale, ma non può dirsi in sè stesso sufficiente.

La concreta presenza in fattispecie di altri segnali – come divergenti da quelli nel caso portati dal riscontro di un documento di identità e di peso in sè stesso significativo viene in effetti a mettere in discussione l’esito del controllo, portando il caso fuori dalla pure e semplice fisiologia operativa; e così ad esigere, sotto il profilo della valutazione di diligente comportamento della banca negoziatrice, l’effettuazione di altre, più specifiche e approfondite verifiche.

20.- L’impugnata sentenza della Corte di Appello di Roma non si è discostata dalla sostanza delle regole che sono state appena enunciate.

Essa, infatti, ha messo in chiara evidenza come, nel corso della controversia sia emersa, e rimasta incontestata, la sussistenza in fattispecie di una serie di circostanze particolari, atte a destare l’oggettivo sospetto della non rispondenza del soggetto presentatore dell’assegno al beneficiario dello stesso; e pure ha rimarcato che la presenza di queste circostanze “anomali” avrebbe imposto – per il rispetto di un comportamento professionalmente diligente – l’espletamento di ulteriori e più specifiche verifiche da parte della banca negoziatrice, che per contro le aveva del tutto trascurate.

21.- Così, in specie, la pronuncia ha valorizzato il fatto che, nel concreto, il prenditore non era un cliente affatto sconosciuto al locale ufficio postale; che, anzi, aveva appena aperto, proprio presso quell’ufficio, un apposito libretto postale; che su questo libretto aveva depositato le somme riscosse a mezzo dell’assegno; che l’ufficio postale utilizzato per queste operazioni era situato in una parte del territorio italiano significativamente distante da quella propria dell’indirizzo del beneficiario del titolo.

Ora, la valorizzazione di questa serie di circostanze nell’indicata prospettiva (della non diligenza del comportamento nel concreto tenuto dalla negoziatrice Poste Italiane) risponde a un apprezzamento di fatto, la cui sindacabilità in sede di legittimità è limitata al profilo della manifesta non ragionevolezza e plausibilità. Non par dubbio, peraltro, che la valutazione di “anomalia”, che in proposito è stata effettuata dalla Corte romana, rispetti senz’altro il criterio della ragionevolezza: la catena delle dette circostanze rappresentando, se non altro, una delle più diffuse e conosciute modalità di “trarre profitto” da assegni di traenza in un modo o nell’altro sottratti dalla loro destinazione naturale.

22.- Il secondo motivo di ricorso assume “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 156 del 1973, artt. 83 e 84, e del D.M. 26 febbraio 2004 (carta della qualità del servizio pubblico postale) in riferimento all’art. 1227 c.c., comma 1”.

Il motivo sottolinea essere incontestato che l’assegno di traenza sia stato nella specie spedito al beneficiario a mezzo di posta ordinaria. Per mettere in rilievo che le particolari caratteristiche strutturali di tale figura (il suo essere “privo di sottoscrizione”, in particolare) lo rendono “inadatto” a un simile mezzo di trasmissione e ad annotare che solo la “spedizione del titolo in posta assicurata avrebbe costituito un comportamento diligente della parte attrice, conforme a quanto previsto dall’art. 1182 c.c., u.c., quale forma di cautela finalizzata a evitare o quanto meno ridurre il danno.

Ha perciò errato la Corte di Appello a giudicare “del tutto irrilevanti” le modalità di spedizione del titolo.

23.- Il motivo è fondato.

Nei fatti, la tematica di cui al motivo è stata in questi tempi fatta oggetto di approfondita indagine da parte di Cass., Sezioni Unite, 26 maggio 2020, n. 9769, che se ne è occupata rispetto a una fattispecie concreta rappresentata proprio dal caso dell’assegno di traenza.

“La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorchè munito di clausola di intrasferibilità costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione di colpa del mittente” – si è concluso – perchè comporta l'”esposizione volontaria del mittente a un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda”. La spedizione per posta ordinaria di un assegno si configura perciò come “un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore”.

24.- In conclusione, va respinto il primo motivo di ricorso e invece accolto il secondo motivo di ricorso.

Di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata nella parte relativa al tema del concorso di colpa del creditore ex art. 1227 c.c. e la controversia rinviata, per questa parte, alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, mentre respinge il primo motivo di ricorso. Cassa, per quanto di ragione, la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

 

 

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