Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13264 del 28/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 28/06/2016, (ud. 15/02/2016, dep. 28/06/2016), n.13264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26120/2013 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE

109, presso lo studio dell’avvocato DONATO MONDELLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIAN ANTONIO MAGGIO giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.P., PO.CR. (OMISSIS), PO.LU.

(OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

PO.LU. (OMISSIS), PO.CR.

(OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PANAMA

68, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PUOTI, rappresentate e

difese dall’avvocato ANDREA BALDINI giusta procura speciale in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

P.R., M.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3098/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/09/2012, R.G.N. 2758/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato GIAN ANTONIO MAGGIO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE LOMONACO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del 1 e 2

motivo principale, rigetto degli altri, accoglimento

dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- P.R. conveniva in giudizio il notaio M.P. e le sorelle Po.Ma.Cr. e Lu., esponendo che, in data (OMISSIS), aveva acquistato da queste ultime, con rogito a ministero del notaio M., l’appartamento specificato in atti; che in data 16 febbraio 1999 aveva stipulato un preliminare di compravendita, avente ad oggetto lo stesso immobile, con C. C., contattato per il tramite dell’agenzia immobiliare Tullicam; che parallelamente aveva stipulato con D.S.E. (tramite diversa agenzia immobiliare) un preliminare d’acquisto avente ad oggetto un altro appartamento specificato in atti, versando cinque milioni di Lire a titolo di caparra ed acquisendone il possesso per il compimento dei lavori di ristrutturazione, con successivo trasloco degli arredi; che, in vista della stipulazione del definitivo con il C., questi era stato informato, dal notaio Gavosto, da lui incaricato della vendita, di un’assenza di regolare continuità nella serie dei trasferimenti di proprietà dell’appartamento, con rischio di evizione dell’acquirente; che il C. aveva ritenuto legittimamente di recedere per giusta causa dal contratto preliminare; che esso istante, venuta meno la disponibilità di denaro derivante dalla vendita dell’immobile, era dovuto, a sua volta, recedere dal preliminare di acquisto concluso col D.S., con perdita della caparra; che le ulteriori perdite erano costituite dall’esborso per le provvigioni all’agenzia Tullicam (Euro 1.297,14), dai costi per il trasloco dei propri arredi (Euro 6.522,85), dai costi per la trascrizione dell’atto di accettazione dell’eredità della dante causa delle sorelle Po.

(Euro 686,90). Deducendo che di questi fatti e dei conseguenti danni avrebbero dovuto rispondere le proprietarie venditrici del primo immobile, sorelle Po., ed il notaio rogante, M.P., chiedeva che ne fosse dichiarata la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e fosse dichiarato risolto il contratto professionale col notaio M., con condanna delle convenute al risarcimento dei danni e del notaio M. anche alla restituzione del compenso.

1.1.- Si costituiva in giudizio il notaio M.P., contestando le domande ed assumendo di avere svolto diligentemente l’incarico, dovendo semmai eventuali omissioni imputarsi al notaio che aveva curato le successioni di T.A. e della sua avente causa, Pe.Al., quest’ultima dante causa delle sorelle Po.;

contestava inoltre i danni richiesti e la sussistenza del nesso di causalità con il comportamento illegittimo attribuitole. Chiedeva il rigetto delle domande ed, in caso di accoglimento, la condanna in manleva delle sorelle Po..

Si costituivano anche queste ultime e sostenevano la responsabilità del notaio per non avere compiuto i dovuti accertamenti; invocavano la mancanza di ogni loro colpa per essere state inconsapevoli che era stato ignorato un chiamato all’eredità di T.A., dante causa della Pe. (loro dante causa), ed evidenziavano la loro buona fede, dimostrata dal fatto che, una volta emersa l’esistenza di questo chiamato all’eredità, avevano offerto una garanzia per l’eventuale evizione. Chiedevano quindi il rigetto delle domande ed, in caso di accoglimento, la condanna in manleva del notaio M..

1.2.- Il Tribunale di Milano, con sentenza del 13 marzo 2008, così provvedeva:

– rigettava la domanda proposta da P.R. contro il notaio M.P.;

– condannava solidalmente Po.Ma.Cr. e Po.Lu. al pagamento della somma di Euro 686,90 in favore di P.R., con gli interessi legali, rigettata ogni altra domanda;

– rigettava la domanda proposta da Po.Ma.Cr. e Lu.

contro M.P.;

– condannava il P. al pagamento delle spese processuali sostenute dal notaio M., liquidate nell’importo di Euro 5.028,63;

– dichiarava le spese di giudizio compensate per metà tra il P. e le sorelle Po., ponendo a carico dell’attore la residua metà, liquidata nell’importo complessivo di Euro 3.142,00.

2.- Avverso la sentenza proponeva appello principale P. R..

Le appellate si costituivano, contestando il gravame; le sorelle Po. proponevano appello incidentale.

Con la decisione qui impugnata, pubblicata il 27 settembre 2012, la Corte d’Appello di Milano ha accolto parzialmente l’appello principale e rigettato l’incidentale, compensando per tre quarti le spese del primo grado tra il P. e le Po. e condannando queste ultime al pagamento del quarto restante; ha regolato allo stesso modo le spese del giudizio di appello tra le medesime parti ed ha condannato il P. al pagamento delle spese del grado in favore del notaio M..

3.- P.R. propone ricorso affidato a tre motivi.

Po.Ma.Cr. e Po.Lu. resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale con quattro motivi (erroneamente numerati come cinque).

L’altra intimata non si difende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE. 1.- Col primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2230, 1218, 1223, 1175, 1176, 1374 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendosi l’errore della Corte d’Appello che ha escluso la responsabilità del notaio M.P. nello svolgimento dell’incarico affidatole per la redazione dell’atto di compravendita dell’immobile venduto dalle sorelle Po. al P..

Il ricorrente lamenta che il notaio non verificò la regolare continuità delle trascrizioni nè si accertò che non vi fosse alcun rischio di evizione per l’acquirente. Sottolinea che – come emerso in giudizio – la signora Pe.Al. non aveva trascritto l’accettazione dell’eredità del coniuge e deduce che il notaio M., non avendo riscontrato questa mancanza di continuità delle trascrizioni, sarebbe stata gravemente inadempiente: la Corte d’Appello, pur avendo riconosciuto la circostanza, avrebbe errato nell’escludere che fosse causalmente connessa con i pregiudizi lamentati dal P..

Vengono quindi svolte ulteriori considerazioni in merito all’inadempimento del notaio ed ai danni provocati al P. dal recesso del promissario acquirente, C..

1.1.- Connesso al primo motivo, in quanto riguardante il dedotto grave inadempimento del notaio M., è il secondo motivo del ricorso principale, col quale si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Il ricorrente ripropone, sotto altro aspetto, gli argomenti già esposti col primo motivo, sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare il fatto storico della “mancata continuità delle trascrizioni riguardanti l’immobile di Via (OMISSIS)” per la mancanza della trascrizione dell’accettazione di eredità del coniuge T.A. (suo dante causa quanto alla proprietà dell’immobile de quo) da parte della signora Pe.. Si sarebbe trattato di un fatto che, già da solo, avrebbe determinato l’impossibilità di vendere al promissario acquirente C., laddove il rischio di evizione sarebbe stata solo “un’ulteriore e aggiuntiva conseguenza, determinata sempre dalla mancata trascrizione dell’accettazione di eredità della Signora Pe.”.

Il ricorrente aggiunge che proprio la mancata trascrizione avrebbe portato anche “all’emersione concreta del pericolo di evizione”, che non sarebbe stato possibile evitare, avendo il notaio Gavosto (incaricato del rogito dell’atto di compravendita tra il P. ed il C.) segnalato come non fosse applicabile la tutela prevista dal n. 7 dell’art. 2652 c.c., proprio a causa della mancata trascrizione dell’accettazione.

I motivi, da trattarsi congiuntamente per l’evidenziata connessione, non meritano di essere accolti.

Per la comprensione della decisione giova premettere che non sono contestati i seguenti fatti:

– in data (OMISSIS) era morto, senza testamento, T. A., lasciando quali eredi legittime la moglie, Pe.

A. (indicata in atti anche come Pe.), e due sorelle;

– queste ultime avevano rinunciato all’eredità con atto notarile del 18 settembre 1990;

– in data 20 settembre 1990 era stata presentata all’ufficio del registro la dichiarazione di successione del T., dalla quale risultava quale unica erede la moglie Pe.Al.;

– non vi era trascrizione dell’accettazione dell’eredità T. da parte della Pe.;

– in data (OMISSIS) era morta quest’ultima, lasciando testamento olografo pubblicato con verbale del 19 settembre 1991 a rogito del notaio Mezzanotte, col quale la Pe. aveva attribuito a titolo di legato alle nipoti Po.Ma.Cr. e Lu. l’immobile di che trattasi; l’acquisto a titolo di legato risultava dai registri immobiliari;

– in data (OMISSIS) questo immobile era stato venduto dalle Po. al P. con atto a rogito del notaio M.P. rep. n. 3438 – racc. n. 1121;

– in data 16 febbraio 1999 il P. aveva concluso con C.C., per il tramite dell’agenzia immobiliare Tullicam S.r.l., un contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto detto immobile.

Questo riepilogo è sufficiente a sgomberare il campo da due equivoci riscontrabili negli atti di parte:

– non vi era alcun legittimario pretermesso rispetto all’eredità T., trattandosi di successione legittima, avente ad oggetto denaro ed una pluralità di beni, mobili ed immobili, oltre quello in contestazione;

– Pe.Al., coniuge del de cuius, avendo rinunciato le altre chiamate a titolo di eredi legittime, sorelle del de cuius, era l’unica chiamata ad aver accettato l’eredità T. e ad essere divenuta erede, pur senza avere trascritto nei pubblici registri accettazione espressa od atto comportante accettazione tacita ai sensi dell’art. 2648 c.c..

2.1.- Dato quanto sopra, la Corte d’Appello di Milano ha dato conto delle seguenti due ulteriori emergenze processuali:

– il P. non ha prodotto alcun documento “da cui risulti in modo diretto il motivo di “recesso” del C.” ed anzi era mancante tra gli atti prodotti in appello anche il contratto preliminare concluso tra le parti, che tuttavia risultava prodotto in primo grado (cfr. pag. 6 della sentenza);

– il notaio Gavosto aveva affermato che aveva saputo da una delle sorelle Po. che vi fosse un chiamato per rappresentazione, figlio di una delle sorelle T., ma che “egli non aveva potuto accertare tale circostanza”; inoltre, Po.Ma.Cr. e Lu. “non hanno fornito alcun elemento che possa consentire l’identificazione del chiamato per rappresentazione non indicato nella denuncia di successione di T.A.” e “non risulta pertanto neppure provata l’esistenza in vita di detto asserito chiamato alla data del 16.2.1999, in cui il P. ha concluso il contratto preliminare di compravendita con C.” (cfr. pag. 7 della sentenza).

Questi accertamenti in fatto non sono censurati dal ricorrente.

2.2.- In diritto, la Corte d’Appello ha quindi fondato la decisione di rigetto delle domande risarcitorie avanzate dal P. sui seguenti due rilievi:

– 1) l’omessa trascrizione dell’accettazione dell’eredità di T.A. da parte di Pe.Al. “non risulta causalmente connessa con i pregiudizi lamentati dal P. in relazione alla mancata conclusione del contratto definitivo di vendita dell’immobile che aveva acquistato da Po.Ma.Cr.

e Lu.”, proprio in ragione della mancata dimostrazione del motivo di recesso del C. e della mancanza di prova dell’esistenza e/o dell’attuale esistenza in vita di un chiamato per rappresentazione (un, non meglio identificato, figlio di una delle due sorelle del T., senza che sia stato accertato nemmeno quale delle due avesse avuto figli, come sottolineato dalla Corte d’Appello);

– 2) “in ogni caso”, l’esistenza di un chiamato che avrebbe ancora potuto accettare l’eredità di T.A., non essendo ancora prescritto il relativo diritto (n.d.r.: per un periodo pressappoco di un anno), non avrebbe potuto giustificare il rifiuto del C. di concludere il contratto definitivo, non sussistendo il pericolo attuale e concreto di evizione ai sensi dell’art. 1481 c.c.. La Corte di merito giustifica questa affermazione con la considerazione che il pericolo di evizione sarebbe stato “meramente presuntivo” sia perchè il chiamato era rimasto inerte per più di otto anni sia perchè non avrebbe potuto essere certo che, se questi avesse accettato l’eredità del T., l’immobile sarebbe stato attribuito in quota al medesimo, in quanto nell’eredità di T.A. vi erano altri beni immobili, nonchè denaro e titoli, per un valore di gran lunga superiore a quello dell’immobile in contestazione (cfr.

pagg. 7-8 della sentenza).

I motivi di ricorso contestano la prima ratio decidendi, senza censurare – come detto – i due accertamenti fattuali che vi stanno a base; nessuno dei due motivi si occupa direttamente della seconda ratio decidendi, nè critica il ricorso nel caso di specie all’art. 1481 c.c., ovvero confuta l’interpretazione che ne è stata data.

3.- Con la prima delle due affermazioni su riportate, la Corte d’appello – con motivazione che smentisce l’assunto che sta a base del secondo motivo di ricorso, secondo cui il giudice del merito non avrebbe esaminato il fatto storico della mancanza della continuità delle trascrizioni – ha preso atto di questa mancanza e l’ha ascritta a responsabilità del notaio M..

Considerato il tenore della decisione, non colgono nel segno gli argomenti illustrati col primo motivo, in quanto sono volti a sostenere che il notaio fu inadempiente ai propri obblighi professionali, ma non a dimostrare come questo inadempimento (nient’affatto escluso dal giudice a quo) sia stato causa dei danni lamentati dal P..

Ed invero, sebbene sia imputabile (anche) al notaio M. (oltre che al notaio che curò le successioni) la mancata trascrizione dell’accettazione dell’eredità T. da parte della Pe., trattasi di omissione sanabile ai fini della continuità delle trascrizioni.

Quanto alla possibilità di ripristinare la continuità delle trascrizioni senza alcun pregiudizio per l’ultimo acquirente è sufficiente richiamare l’art. 2650 c.c., comma 2, a norma del quale “quando l’atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono effetto secondo il loro ordine rispettivo, salvo il disposto dell’art. 2644 c.c.”;

quest’ultimo, a sua volta, prevede che gli atti enunciati nell’art. 2643 c.c., tra cui i contratti che trasferiscono la proprietà dei beni immobili, non hanno effetto riguardo a terzi che a qualunque titolo abbiano acquistato diritti sugli immobili in base ad atto trascritto od iscritto anteriormente.

Poichè nel caso di specie non vi è stata alcuna trascrizione od iscrizione intermedia (a favore di terzi diversi dalle parti in causa), si sarebbe potuto procedere – come di fatto si è proceduto –

a trascrivere l’accettazione tacita dell’eredità T. effettuata dalla Pe. mediante il lascito testamentario a titolo di legato in favore delle Po., così assicurando la continuità delle trascrizioni, ai sensi dell’art. 2650 c.c., comma 2. Questa trascrizione ha ripristinato l’ordine delle trascrizioni dall’acquisto del T., per il tramite della successione della Pe. e dell’acquisto del legato da parte delle Po., fino alla vendita al P.; pertanto, quest’ultimo ben avrebbe potuto vendere al promissario acquirente C., senza che risultassero pregiudicati diritti di terzi iscritti o trascritti anteriormente.

In sintesi, non è giuridicamente esatto che “per alienare un immobile la serie continua di trascrizioni è necessaria”, come si legge in ricorso (così a pag. 19, ma cfr. anche pag. 31). Quindi, non è giuridicamente esatto l’assunto – su cui si basa gran parte delle argomentazioni del ricorrente – che la mancanza della trascrizione dell’accettazione dell’eredità sia di per sè stessa lesiva della situazione del P. quale promittente alienante, tanto da poter fare presumere che solo perciò il C. sia receduto dal contratto preliminare.

Piuttosto, è corretta la sentenza laddove fa gravare sull’attore l’onere della prova del danno che si assume provocato dall’inadempimento, costituendo oggetto della prova relativa non solo l’avvenuto recesso del promissario acquirente, ma anche le ragioni di questo recesso. Prova che, nella specie, la Corte ha ritenuto non raggiunta, senza che il ricorrente abbia censurato in alcun modo la relativa motivazione (sopra riportata).

Quanto, poi, alle argomentazioni del ricorrente volte a dimostrare l’esistenza di un pericolo di evizione, si osserva che esse si limitano a palesare un pericolo solo astrattamente esistente.

Invece, è corretta in diritto la sentenza laddove richiede la prova di un pericolo concreto ed attuale, ai sensi dell’art. 1481 c.c..

Va qui ribadito l’orientamento di questa Corte, seguito dal giudice di merito, che ritiene applicabile per analogia al contratto preliminare la norma da ultimo richiamata. Questa, in caso di preliminare di compravendita, va interpretata nel senso che è consentito al promissario acquirente di sottrarsi all’obbligo di stipulare il contratto definitivo soltanto quando sussista il pericolo concreto ed attuale che la cosa possa essere rivendicata da terzi (cfr. già Cass. n. 5979/94, secondo cui la facoltà di cui all’art. 1481 c.c., presuppone non il mero timore di pretese del terzo sull’oggetto del contratto ma “che risulti concretamente la volontà del terzo di promuovere azioni volte ad ottenere il riconoscimento dei suoi asseriti diritti sul bene e che la…

sospensione non sia contraria a buona fede, ricorrendo tali condizioni allorchè il pericolo di azioni siffatte si connoti per serietà e concretezza, si da escludere la presenza di un pretesto dell’obbligato per rifiutare l’adempimento dovuto”; nello stesso senso anche Cass. n. 24340/11, citata in sentenza, e, di recente, Cass. n. 3390/16).

3.1.1.- E’ vero che, come sostenuto in ricorso, in ogni momento, entro il decennio dall’apertura della successione, avrebbe potuto accettare l’eredità T. l’altro eventuale chiamato, in modo che il bene acquistato dal terzo (nella specie, quello delle legatarie Po.) era potenzialmente idoneo ad essere rivendicato come parte di una comunione ereditaria e che, in tale eventualità, non sarebbe stata operante la tutela assicurata ai terzi dall’art. 2652 c.c., n. 7, perchè mancava la trascrizione dell’acquisto dell’erede apparente.

Tuttavia, il giudice a quo non si è fermato alla constatazione della fattispecie astratta. Ha presupposto che la rivendicazione, in tutto od in parte, di detto bene, dopo il primo lascito testamentario e la successiva vendita al P., sarebbe stata possibile soltanto se fosse realmente esistito un chiamato a succedere pro-quota nella stessa eredità T.; se, in caso positivo, avesse avuto a disposizione un tempo significativo per la relativa accettazione od avesse manifestato un qualche interesse (essendo comunque, nelle more, da escludere che l’eredità fosse giacente, sia pure pro-quota, essendovi già un erede: cfr. Cass. n. 2611/01); se, ancora, in caso di accettazione e di eventuale azione di petizione, si fosse costituita la comunione ereditaria (che, appunto, presuppone accettazione di tutti i chiamati: cfr. Cass. n. 5443/94); se all’esito della divisione il bene conteso fosse stato attribuito proprio all’erede ultimo accettante. Eventualità, tutte, escluse in concreto dal giudice di merito (con riferimento, come detto, alla mancata prova dell’esistenza del chiamato per rappresentazione; al fatto che questi era rimasto inerte per più di otto anni e che comunque, alla data del recesso da parte del promissario acquirente, il tempo residuo per accettare l’eredità era ridotto a meno di un anno; al fatto che il compendio ereditario, anche privato del bene in contestazione, era più che capiente per soddisfare le ragioni dell’ipotetico condividente – che sarebbe succeduto nella quota di un terzo), senza che il ricorrente abbia censurato la decisione, sia quanto al riscontro dei fatti appena esposti, sia quanto all’applicabilità nella specie dell’art. 1481 c.c., sia infine quanto all’apprezzamento dell’inattualità e della mancanza di concretezza del pericolo di evizione.

In conclusione, il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno rigettati.

4.- Col terzo motivo, il ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1476 (obbligazioni del venditore), artt. 1218, 1175, 1176, 1374 e 1375 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), censura il rigetto della domanda risarc toria avanzata nei confronti delle sorelle Po.. Il ricorrente sostiene che queste ultime avrebbero saputo che esisteva, nell’ambito della successione di T.A., “un erede pretermesso dal de cuius”, ma avrebbero celato il fatto, “approfittando della grave negligenza commessa dal notaio M.” e soltanto dopo le sollecitazioni del notaio Gavosto si “ricordarono” di avere “un cugino” che sarebbe stato chiamato all’eredità T.. Deduce che a causa di questa sleale reticenza, le sorelle Po. si sarebbero dovute ritenere responsabili in concorso col notaio M..

4.1.- Il motivo non merita di essere accolto, in primo luogo, perchè il comportamento “sleale” attribuito alle sorelle Po. risulta privo di efficienza causale rispetto al danno paventato dal ricorrente, considerato quanto detto sopra a proposito del pericolo di evizione.

In secondo luogo, è inammissibile poichè si basa su un fatto storico (conoscenza da parte delle Po. dell’esistenza di un chiamato per rappresentazione all’eredità T.) che le stesse hanno sempre negato e che non risulta accertato dal giudice di merito (nemmeno quanto all’asserito rapporto di parentela tra le Po. ed il T., risultando soltanto che le prime fossero “nipoti” della Pe., cioè legate da rapporto di parentela diretta con quest’ultima, e non col marito). Il ricorrente dà per scontati fatti non accertati, senza censurare questo mancato accertamento.

In conclusione il terzo motivo del ricorso principale va rigettato.

RICORSO INCIDENTALE. 5.- Col primo motivo le ricorrenti incidentali Po. denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2230, 1218, 1223, 1175, 1176, 1374, 1375 e 2697 c.c., al fine di censurare la loro condanna al pagamento della somma di Euro 686,90 in favore del P., a titolo di rimborso delle spese sostenute per la trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità T. da parte della loro dante causa Pe..

Sostengono che questa spesa avrebbe dovuto essere ascritta a responsabilità del notaio M., con conseguente condanna di quest’ultima al pagamento della somma corrispondente in favore del P..

5.1.- La medesima censura è riproposta, sotto altri profili, col secondo e col terzo motivo, con i quali si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 649 c.c., comma 1 e art. 2648 c.c., u.c. e vizio di “omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, circa la conferma della condanna delle convenute al pagamento delle spese di trascrizione della mancata accettazione tacita di T.A. e sul rigetto della domanda di manleva spiegata nei confronti del notaio M.”.

6.- A prescindere dall’inammissibile riferimento alla norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo non più in vigore (atteso che, essendo stata la sentenza pubblicata il 27 settembre 2012 si applicherebbe, tutt’al più, la norma introdotta del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. nella L. n. 134 del 2012), motivi sono manifestamente infondati.

La Corte d’appello ha correttamente rilevato che “la trascrizione del testamento olografo di Pe.Al., dal quale risultava l’accettazione tacita dell’eredità di T.A., era necessaria per la continuità delle trascrizioni riguardanti l’immobile di (OMISSIS). Nel rapporto con il P. la trascrizione e le relative spese erano pertanto onere di Po.Ma.Cr. e Lu., in quanto venditrici dell’immobile loro attribuito a titolo di legato”.

6.1.- La lunga illustrazione a sostegno dei motivi in esame non scalfisce questa, che è l’evidente, unica, ragione per la quale la pretesa delle Po. risulta manifestamente infondata, consentendo di trarre le conclusioni di cui appresso:

– quanto al primo motivo, anche se il notaio M. le avesse informate della necessità della trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità T. (come si è detto che avrebbe dovuto fare, perchè la trascrizione in parola era comunque necessaria ai sensi dell’art. 2650 c.c.), la spesa relativa sarebbe stata comunque a loro carico – trattandosi di spesa inevitabile, a meno di rinunciare alla vendita dell’immobile di provenienza ereditaria;

quindi, è assurda la pretesa di farne sostenere l’onere al notaio rogante, a titolo di risarcimento danni per violazione di un obbligo di informazione il cui rispetto non avrebbe potuto preservarle dall’esborso;

– quanto ai motivi secondo e terzo, i rapporti tra le legatarie Po. e gli eredi testamentari della Pe. sono evidentemente estranei al presente giudizio, mentre è corretta la decisione della Corte di gravare della spesa le venditrici Po.

nei rapporti con l’acquirente P..

I primi tre motivi del ricorso incidentale vanno perciò rigettati.

7.- Col quarto motivo del ricorso incidentale (erroneamente rubricato come quinto), si denuncia violazione e falsa applicazione ed omessa motivazione in ordine al regolamento delle spese liquidate in primo ed in secondo grado, in riferimento all’art. 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Le ricorrenti sostengono che la compensazione parziale non sarebbe stata motivata.

Il motivo è inammissibile.

Vi è stata una soccombenza reciproca parziale, che tuttavia ha comportato l’accoglimento di una delle domande avanzate dal P. nei confronti delle Po..

Va fatta applicazione del principio per il quale la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (così Cass. n. 2149/14).

In conclusione, sia il ricorso principale che l’incidentale vanno rigettati.

La soccombenza reciproca rende di giustizia la compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità.

Avuto riguardo all’epoca di proposizione di entrambi i ricorsi (posteriore al 30 gennaio 2013), la Corte dà atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) nei confronti delle ricorrenti incidentali. Non sussistono invece i presupposti per l’applicazione della norma nei confronti del ricorrente principale in quanto ammesso al gratuito patrocinio.

PQM

La Corte, decidendo sui ricorsi principale ed incidentale, li rigetta entrambi. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti incidentali in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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