Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13259 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/05/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 17/05/2021), n.13259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21197-2018 proposto da:

DEUTSCHE BANK SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PINCIANA 25, presso lo studio

dell’avvocato STEFANO ROSSI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ILARIO GIANGROSSI;

– ricorrente –

contro

N.C., P.D., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA UGO OJETTI, 16, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO FANTI,

che le rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 451/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Nel novembre 2010, N.C. e P.D. hanno convenuto avanti al Tribunale di Roma la s.p.a. Deusche Bank, chiedendo la dichiarazione di nullità di un contratto di acquisto di obbligazioni Argentina e la condanna della convenuta alla restituzione delle somme così percepite, per una somma complessiva di Euro 207.004,13, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali dalla data del contratto; nonchè, in via subordinata, l’accertamento della violazione, da parte della convenuta, degli obblighi legali di informazione connessi all’indicata operazione, con conseguente sua condanna al risarcimento dei danni per l’effetto patiti.

2. – Con sentenza depositata nel settembre 2013, il Tribunale ha dichiarato la “nullità derivata dell’operazione di acquisto di obbligazioni Argentina oggetto di causa, dacchè effettuate in difetto di un valido contratto quadro”. Ha inoltre condannato la Banca alla restituzione delle somme in tale modo percepite e le attrici alla restituzione, a loro volta, delle somme riscosse a titolo di cedole staccate dai detti titoli, per un montante complessivo di Euro 31.664,01.

Il Tribunale ha rilevato, in particolare, che “condizione preliminare di validità degli ordini impartiti dall’investitore alla Banca, agli effetti delle singole negoziazioni di borsa, è che i primi seguano a un contratto quadro stipulato in forma scritta”. Nella specie, peraltro, “del “documento” contenente il contratto di intermediazione finanziaria asseritamente sottoscritto tra le parti nel febbraio 1999 non vi è traccia alcuna in atti”. D’altra parte – si è proseguito -, è da respingere l’eccezione di prescrizione dell’azione sollevata dalla Banca, dato che la nullità di cui all’art. 23 TUF non risulta equiparabile a un’ipotesi di semplice annullabilità del contratto. Come pure è da negare “valore sanante” al fatto che il contratto sia stato materialmente eseguito, in ragione della radicale impossibilità di “convalidare” un contratto in sè stesso nullo.

Ciò fermato, la sentenza ha poi ritenuto di non potere dar seguito alla pretesa azionata dalla Banca di ottenere – nel caso di ritenuta fondatezza delle doglianze afferenti l’insussistenza di un valido contratto quadro – la declaratoria della “nullità di “ogni operazione effettuata” da N.C. e P.D. presso la Deutsche Bank”. Tale richiesta è stata formulata in termini solo generici (“senza neppure indicare le operazioni oggetto della domanda riconvenzionale di nullità e i titoli e importi pretesi in restituzione”); soprattutto, “rileva la circostanza che la nullità di cui all’art. 23 TUF, in quanto nullità relativa e di protezione, può essere invocata e fatta valere solo dal cliente”.

In prosieguo, il provvedimento ha accolto sia la domanda delle clienti investitrici di restituzione delle somme impiegate nell’operazione (con interessi legali, però, solo a decorrere dalla domanda giudiziale), sia quella della Banca di intesa alla restituzione dei titoli obbligazionari e delle somme riscosse, per questi, a titolo di interessi cedolari: posto che la declaratoria di nullità “determina il venir meno ex tunc della giustificazione causale degli spostamenti patrimoniali operati in esecuzione del negozio”.

3. – La Banca ha impugnato il provvedimento avanti alla Corte di Appello di Roma. Nel resistere all’impugnazione, N.C. e P.D. hanno formulato appello incidentale. Con sentenza depositata in data 18 gennaio 2018, la Corte romana ha rigettato sia l’appello principale, che quello incidentale.

4. – Ribadita la natura imprescrittibile dell’azione di nullità di protezione con riferimento al contratto quadro e agli ordini di acquisto delle obbligazioni Argentina, la Corte territoriale ha rilevato – con riguardo all’eccezione di prescrizione formulata dalla Banca nei confronti dell’ulteriore pretesa di ripetizione ex art. 2033 c.c. articolata dalle investitrici – che la tardività di tale eccezione risultava per tabulas. Nei fatti, questa era stata svolta solo nella comparsa conclusionale del primo grado: l’eccezione di prescrizione svolta dalla Banca in modo tempestivo riguardando esclusivamente l’azione contrattuale e quella risarcitoria, di natura ben diversa da quella della condictio indebiti.

Nel prosieguo, la sentenza ha ritenuto essere “ormai passata in giudicato” la statuizione con cui il Tribunale ha dichiarato la nullità del contratto quadro e, di conseguenza, pure quella derivata delle operazioni di investimento in questione. Per aggiungere che “anche la statuizione relativa agli obblighi restitutori – sia della banca, sia delle clienti attrici originarie è ormai passata in giudicato”.

La pronuncia ha poi respinto la pretesa della Banca di “vedere dichiarate nulle tutte le operazioni di investimento eseguite in ragione del contratto quadro dichiarato nullo e fino al nuovo contratto del marzo 2000″. Richiamate le ragioni addotte dal giudice del primo grado al riguardo, la pronuncia ha pure rilevato che l'”investitore ex artt. 99 e 100 c.p.c. può selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo agli acquisti (o più correttamente ai contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio”.

In via ulteriore, la sentenza ha ritenuto la non convalidabilità del negozio affetto da nullità di protezione. Ha escluso, altresì, la ricorrenza in fattispecie dei presupposti richiesti per l’applicazione della norma dell’art. 1227 c.c..

Da ultimo, con riguardo all’appello incidentale proposto dalle investitrici la sentenza ha rilevato che, nella specie, non risultava provata la sussistenza della mala fede della Banca nel percepire le somme relative all’acquisto delle obbligazioni Argentina, sì che sulle somme dovute in restituzione gli interessi venivano a correre solo dal tempo della proposizione della domanda giudiziale.

5. – Avverso la sentenza della Corte di appello ha presentato ricorso la s.p.a. Deutsche Bank, articolando sette motivi di cassazione.

Hanno resistito, con controricorso, N.C. e P.D..

6. – Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. – Il primo e il sesto motivo di ricorso sono da esaminare in modo congiunto. Le censure così proposte investono, infatti, un identico nodo tematico.

Col primo motivo, in particolare, il ricorrente assume la violazione degli artt. 1418,1422,1441 e 14412 c.c., nonchè dell’art. 23 TUF. Il senso motivo dichiara, a sua volta, la violazione dell’art. 1444 c.c..

Ad avviso del ricorrente, la “natura e la funzione del rimedio invalidante di cui all’art. 23 TUF è ben diverso da quello ordinario di cui all’art. 1418 c.c.”. Si tratta di una nullità relativa, annotano i due motivi: “come tale”, essa è “assimilabile all’annullabilità”.

Ne consegue che, di questo secondo istituto, si deve applicare la normativa di base: la nullità di protezione, dunque, “è passibile di convalida” e risulta, altresì, “sottoposta a un termine di prescrizione di cinque anni”.

8. – Il primo e il sesto motivo di ricorso sono infondati.

La giurisprudenza di questa Corte è salda nell’escludere che il “peculiare regime giuridico”, che è proprio delle nullità di protezione, comporti che le stesse non siano da annoverare nell’ambito delle vere e proprie ipotesi di nullità negoziale. Tanto meno può ritenersi che alle stesse venga ad applicarsi uno o altro profilo della disciplina che connota la diversa figura dell’annullabilità.

Il solco che separa l’annullabilità dalle nullità di protezione si manifesta in realtà netto, incolmabile.

“La legittimazione dell’altra parte” – quella del partner, cioè, del contraente che risulta “protetto” da tale forma di nullità “è radicalmente esclusa, trattandosi di nullità che operano al fine di ricomporre un equilibrio quanto meno formale tra le parti” (cfr. Cass. S.U., 4 novembre 2019, n. 28314; ivi pure la formula richiamata appena sopra).

D’altra parte, come ha puntualmente riscontrato già la pronuncia di Cass. S.U., 12 dicembre 2014, n. 26242, “la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo”.

9. – Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione della norma dell’art. 2938 c.c.. Ad avviso del ricorrente, la Corte romana ha “tratto conseguenze giuridiche, con riferimento all’estensione dei limiti e alle modalità operative della previsione di non rilevabilità d’ufficio della prescrizione, errate”.

Nel concreto, il ricorrente imputa alla sentenza di avere ritenuto essere onere della parte, che formula l’eccezione di prescrizione, di indicare e specificare a quale diritto risarcitorio o restitutorio intenda contrapporre l’eccezione. Nei fatti, il ricorrente sostiene che – per sollevare l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito – è sufficiente avere “tempestivamente opposto l’inerzia delle clienti nell’invocare giudizialmente le proprie pretese”.

10. – Il motivo non è fondato.

La formula riportata nel motivo di ricorso non risulta, in sè, idonea a rappresentare una valida eccezione di prescrizione: proprio perchè non identifica affatto il diritto di cui si sostiene il sopravvenuto venire meno. Sì che neppure si saprebbe – di fronte a una simile formulazione – individuare il dies a quo da cui far decorrere, nel concreto, il termine prescrizionale.

Non v’è dubbio, d’altro canto, che l’azione risarcitoria e quella restitutoria abbiano natura, oggetto e funzione diverse l’una dall’altra, come correttamente rilevato dai giudici del merito. Nei confronti di queste, pertanto, non sembra possibile cogliere nessun genere di interscambiabilità in relazione all’eccezione di prescrizione.

11. – Il terzo motivo assume la nullità della sentenza della Corte romana (art. 360 c.p.c., n. 4), “avendo la medesima omesso l’esame dello specifico motivo di appello della Banca, concernente la statuizione, pronunciata in primo grado, di nullità del contratto quadro”.

Nel concreto, secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe trascurato di esaminare il rilievo per cui l'”uso selettivo dello strumento della nullità da parte delle clienti per chiedere la restituzione dei soli investimenti risultati svantaggiosi rende inammissibile tanto la domanda di nullità, quanto la consequenziale domanda restitutoria”.

In luogo di esaminare tale assunto, la sentenza – conclude il ricorrente – ha incongruamente “dedotto la configurazione di un giudicato interno”.

12.- Il motivo è inammissibile.

Nei fatti, la sentenza si è propriamente confrontata con la motivazione di nullità addotta dall’appellante e attuale ricorrente, per cui il nudo fatto della proposizione di una domanda selettiva di nullità comporterebbe – in sè stesso – l'”inammissibilità” della richiesta. Propriamente ritenendo, ed esplicitando, la soluzione opposta a quella allegata nel motivo di appello dall’attuale ricorrente.

Come già si è richiamato sopra (nel n. 4), in effetti, la sentenza ha ben chiarito, in relazione al disposto dell’art. 23 TUF, che l'”investitore ex artt. 99 e 100 c.p.c. può selezionare il rilievo della nullità e rivolgerlo agli acquisti (o più correttamente ai contratti attuativi del contratto quadro) di prodotti finanziari dai quali si è ritenuto illegittimamente pregiudicato, essendo gli altri estranei al giudizio”.

Per altro verso – è pure da notare -, una lettura coordinata delle motivazione complessiva svolta dalla sentenza della Corte romana rende subito evidente che la valutazione relativa all’avvenuta formazione del giudicato rirgearefe- si fissa propriamente sulla rilevazione dell’inesistenza in fattispecie di un documento rappresentativo del contratto (quadro) che la Banca asserì essere intervenuto tra le parti e sul valore che tale mancanza viene a riflettere sul tema dell'(in)validità dell’operazione posta in essere.

13. – Il quarto motivo di ricorso riprende il tema della selettività della domanda di nullità a suo tempo proposta dalle attuali resistenti, qui considerandolo sotto il profilo della violazione di legge.

In particolare, il motivo intende censurare la violazione delle norme dell’art. 1175 e 1375 c.c., come consistente nel fatto di fare valere il “vizio di forma del contratto quadro, per porre nel nulla non tutte, ma solo alcune delle operazioni compiute”. Tale comportamento – si puntualizza – in sè stesso integra, e a prescindere da ogni altro rilievo, un “abuso dell’azione”. La Corte del merito ha senz’altro errato nel non sanzionarlo.

14.- Il motivo è infondato.

Come si è appena sopra rilevato (n. 12), la sentenza impugnata ha ritenuto consentaneo alla natura della nullità di protezione il fatto che il cliente – quale contraente specificamente “protetto” dalla relativa prescrizione legislativa – ben possa articolare la domanda di nullità, nel concreto formulata, in funzione di farla operare secondo il proprio vantaggio.

Ora, la soluzione così divisata dalla Corte romana è stata fatta propria dalle Sezioni Unite della Corte con la già citata pronuncia n. 28314/2019.

Questa, infatti, ha puntualmente rilevato, tra l’altro, come il testo dell’art. 23 TUF, comma 3, debba “essere interpretato in modo costituzionalmente orientato e coerentemente con i principi di diritto Eurounitario, così da non escludere nè il rilievo di ufficio, nè l’operatività a vantaggio esclusivo del cliente”, secondo quanto esplicitamente disposto, tra l’altro, per altre ipotesi di nullità di protezione (come in specie per la norma dell’art. 36 cod. consumo, comma 3 e per la norma dell’art. 127 TUB, comma 4).

15. – Col quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione delle norme dell’art. 2033 c.c. e dell’art. 23TUF.

“Una volta che il contratto quadro sia stato dichiarato nullo” si rileva – “operano le regole comuni dettate dagli artt. 2033 c.c. non altrimenti derogate, posto che la disciplina del pagamento dell’indebito è richiamata dall’art. 1422 c.c.”. La legittimazione all’azione di nullità riservata all’investitore si precisa – “non impedisce la restituzione reciproca dell’indebito ricevuto”.

16. – Il motivo non è fondato.

Secondo la ricostruzione sviluppata dalle Sezioni Unite nella più volte richiamata sentenza n. 28314/2019, alla vittoriosa proposizione, da parte del cliente investitore, di una domanda di nullità selettiva non segue alcuna “restituzione reciproca” delle prestazioni hinc et inde ricevute. L’intermediario non può – una volta riscontrata la nullità del contratto per violazione di una regola di protezione – agire a sua volta in ripetizione di indebito per gli spostamenti patrimoniali non attivati dal cliente; nè potrebbe paralizzare l’azione in ripetizione posta in essere dal cliente investitore con una eccezione di omologo segno e opposto vettore.

E’ questa, nei fatti, una caratteristica tipica, costitutiva, della figura della nullità di protezione, che segue direttamente al suo operare solo a vantaggio della parte specificamente protetta dalla stessa.

17. – Secondo quanto ricostruito di recente dalla giurisprudenza di questa Corte, nel caso di esercizio vittorioso di un’azione di nullità selettiva, l’altro contraente (non specificamente protetto) può solamente opporre una eccezione di buona fede oggettiva.

Questa eccezione – che si richiama alla nota teorica della natura valutativa (e non solo integrativa) del canone di buona fede e la svolge secondo tipologie standard – abilita l’altro contraente a paralizzare gli effetti selettivi della corrispondente azione di nullità, in modo da poterli neutralizzare “nei limiti dell’utilitas economica ritratta dall’investitore in conseguenza del contratto quadro affetto dalla nullità da lui fatta valere e solo da lui invocabile” (così, nel riprendere diffusamente la traccia sviluppata dalla più volte richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, pure la pronuncia di Cass., 3 giugno 2020, n. 10505). E questo allo scopo – preso particolarmente in considerazione dalla decisione delle Sezioni Unite – di evitare il prodursi di “squilibri eccessivi” nell’applicazione delle “regole di legittimazione in tema di nullità protettive”.

L’uso selettivo della nullità di protezione viene così a confrontarsi – a seguito della proposta eccezione di buona fede – con un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli oggetto dell’azione di (nullità e) restituzione con quelli che ne rimangono esclusi e che pure promanano dallo stesso rapporto in essere tra intermediario e investitore: al fine, appunto, di verificare se permanga, o meno, un pregiudizio per l’investitore corrispondente al petitum azionato. Se un pregiudizio permane, l’investitore ha agito coerentemente con la funzione tipica della nullità protettive, ovvero quella di operare a vantaggio di chi può farle valere. Nel caso opposto, in cui le operazioni non colpite dall’azione di nullità hanno prodotto un profitto superiore alle perdite confluite nel petitum, può allora essere proposta appunto per paralizzare gli effetti “in esubero” della dichiarazione di nullità delle operazioni selezionate – detta eccezione di buona fede oggettiva.

18. – Il settimo motivo assume la violazione dell’art. 92 c.p.c.: il giudizio di appello si è concluso – così si rileva con un’ipotesi di soccombenza reciproca, posto che sono stati respinti sia l’appello principale, sia quello incidentale.

Perciò – si argomenta – il giudice avrebbe dovuto applicare criteri di distribuzione delle spese coerenti con tale situazione. Per contro, la decisione ha addossato per intero le spese del grado sul capo delle Banca.

19. – Il motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza della Corte, in caso di soccombenza reciproca, la ripartizione delle spese processuali, come pure la valutazione delle concrete proporzioni della stessa soccombenza, rientrano nel potere discrezionale dl giudice del merito, che resta pertanto sottratto al sindacato di legittimità (cfr., per tutte, Cass., 210 dicembre 2017, n. 30592).

19.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Il Collegio ritiene equo compensare le spese del giudizio di legittimità, anche in ragione del fatto che la proposizione del ricorso ha preceduto, nel tempo, la pubblicazione delle più volte citata sentenza delle Sezioni Unite sul tema della nullità selettiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Compensa le spese dli giudizio di legittimità.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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