Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13258 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/05/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 31/05/2010), n.13258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ETTORE

ROLLI 24, presso lo studio dell’avvocato SFORZA ARTURO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.U.S.L. – AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE (OMISSIS);

– intimata –

e sul ricorso n. 32693/2006 proposto da:

A.U.S.L. – AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE (OMISSIS), in persona

del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA (OMISSIS) PRESSO ASL, presso lo studio dell’avvocato

FERRARA FABIO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.G.;

– intimato –

e sul ricorso n. 33429/2006 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ETTORE

ROLLI 24, presso lo studio dell’avvocato SFORZA ARTURO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.U.S.L. – AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE (OMISSIS);

– intimata –

e sul ricorso n. 1833/2007 proposto da:

A.U.S.L. – AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE (OMISSIS), in persona

del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA (OMISSIS) PRESSO ASL, presso lo studio dell’avvocato

FERRARA FABIO, che lo rappresenta e difende, giusta mandato in calce

al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 8683/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/03/2006 r.g.n. 1696/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/03/2010 dal Consigliere Dott. MELIADO’ Giuseppe;

udito l’Avvocato SFORZA ARTURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e di quello incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 7.12.2005 – 2.3.2006 la Corte di appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dalla Azienda Unita’ Sanitaria Locale (OMISSIS) (in prosieguo l’Azienda) avverso la sentenza resa dal Tribunale di Roma il 4.3.2002, rigettava la domanda proposta da C.G. per la “ripetizione delle somme dovute a titolo di stipendio, trattenute dall’Amministrazione resistente durante il periodo di sospensione cautelare dal servizio” per pendenza di procedimento penale. Osservava in sintesi la corte territoriale che, avuto riguardo alla data della revoca della sospensione cautelare (22.9.1995), gli effetti della stessa venivano ad essere disciplinati dall’art. 32, comma 7 del CCNL del comparto del personale del SSN per gli anni 1994 – 1997 (parte normativa), entrato in vigore l’1.9.1995, che, al riguardo, prevedeva una integrale restituito in integrum solo per l’ipotesi di proscioglimento con formula ampia (laddove, nel caso, era stata dichiarata la prescrizione dei reati), con conseguente inapplicabilita’ delle disposizioni del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 96 e 97 espressamente disapplicati dall’art. 56 del CCNL cit., a norma del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 1.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso C.G. con due distinti atti di impugnazione, illustrati con memoria.

Resiste l’Azienda con controricorso e ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del primo ricorso (notificato il 18.10.2006) il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 29, 32 e 56 del CCNL 1.9.1995 del Comparto Sanita’ e al D.Lgs. n. 19 del 1993, art. 72, commi 1 e 2, nonche’ vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che la corte territoriale aveva erroneamente attribuito carattere innovativo alla disposizione dell’art. 32, comma 7 del CCNL, sebbene la stessa risultasse sostanzialmente ripetitiva della disciplina pubblicistica (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 97, comma 1) ed aveva trascurato, altresi’, di considerare la connessione esistente fra il provvedimento di sospensione cautelare e la sanzione inflitta, in esito ad un procedimento da ritenersi illegittimo in quanto contrastante con le sopravvenute norme contrattuali.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72 e dei principi sulla successione delle leggi nel tempo, rilevando che, alla luce della norma transitoria prevista nell’art. 72 cit., al provvedimento di sospensione cautelare dal servizio, adottato a far data dall’1.10.1992, doveva applicarsi la disciplina del D.P.R. n. 3 del 1957 (vigente sino al 31.8.1995), mentre la disciplina contrattuale avrebbe potuto trovare applicazione solo dall’1.9.1995 (data di entrata in vigore del contratto di settore), con conseguente attrazione nella stessa del procedimento disciplinare, introdotto dalla contestazione degli addebiti del 7.11.1995.

Con il primo articolato motivo del secondo ricorso (notificato nel novembre 2006) il ricorrente prospetta violazione, oltre che delle norme gia’ considerate nel corrispondente motivo del precedente gravame, anche degli artt. 110, 112, 346 e 434 c.p.c. rilevando, in aggiunta alle considerazione gia’ svolte, che la corte territoriale aveva preso in esame, ai fini dell’accoglimento dell’appello, una questione di diritto (la revoca della sospensione cautelare, in data 22.9.1995) non ricompresa nei motivi di impugnazione, con conseguente “dubbio” di ultrapetizione e violazione, altresi’, delle disposizioni regolatrici della giurisdizione, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 per trattarsi di questione attinente a fatto anteriore al 30.6.1998, e, pertanto, attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Con il secondo motivo, infine, il ricorrente ripropone le censure e le considerazioni svolte nel corrispondente motivo del precedente ricorso.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’Azienda reitera la contestazione relativa alla giurisdizione del giudice adito, rilevando che l’atto originario del procedimento disciplinare (contestazione degli addebiti) era intervenuto con nota del 7.11.1995, e, quindi, ben prima del 30.6.1998, e che doveva, invece, ritenersi irrilevante che il provvedimento disciplinare fosse stato adottato con deliberazione del 13.12.1999, trattandosi di atto inidoneo ad “attribuire la giurisdizione al giudice ordinario”, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69.

1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. e vanno rigettati per i motivi che si vanno ad esporre.

2. Va quindi, in primo luogo, esaminata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso, formulata dall’Azienda in seno al primo controricorso (ma, invero, non ribadita in quello successivamente depositato, a seguito della notificazione dell’ulteriore ricorso proposto dal ricorrente). L’eccezione e’ infondata.

Deve, al riguardo, ribadirsi il principio, ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimita’, per cui il ricorso per Cassazione deve essere proposto, a pena di inammissibilita’, con un unico atto, avente i requisiti di forma e di contenuto indicati nella pertinente normativa sul rito – ivi compresi quelli richiamati, a seguito della novella del 2006, anche nell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis) – con la conseguenza che e’ inammissibile un nuovo atto successivamente notificato a modifica o ad integrazione del primo, sia che concerna l’indicazione dei motivi, ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione, sia che tenda a colmare la mancanza di taluno degli elementi prescritti, quali la formulazione dei quesiti o l’esposizione dei fatti di causa, o la sintesi della questione di motivazione relativamente al fatto controverso, essendo solo possibile la proposizione di un nuovo ricorso (ove non siano decorsi i termini di impugnazione) in sostituzione, ma non ad integrazione, ne’ a correzione di un ricorso viziato che non sia stato ancora dichiarato inammissibile (v. da ultimo Cass. n. 17246 /2008 (ord); Cass. n. 22390/2008 (ord); S.Un. 19444/2009).

Nel caso in esame, il ricorrente ha depositato, successivamente al primo ricorso, ulteriore e distinto atto di impugnazione (con il quale sono state riformulate le precedenti censure ed aggiunte e puntualizzate ulteriori ragioni di contestazione della legittimita’ della decisione) provvisto dei quesiti di diritto prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., e che, pertanto, non potendo apprezzarsi come atto meramente integrativo o correttivo dell’originario ricorso per Cassazione, esclude l’inammissibilita’ prevista dalla norma di rito.

3. Va, quindi, esaminata, per evidenti ragioni di priorita’ logica, l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, prospettata dall’Azienda in seno al ricorso incidentale, nonche’ dal ricorrente (con riferimento al provvedimento di revoca della sospensione cautelare adottato il 22.9.1995). Anche tale eccezione e’ infondata.

Costituisce giurisprudenza acquisita di questa Suprema Corte che il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69), nel trasferire al giudice ordinario le controversie del pubblico impiego privatizzato, pone il discrimine temporale tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa con riferimento al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base della pretesa avanzata, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia sorta controversia. Ne segue che, nel caso in cui la lesione del diritto del lavoratore e’ prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione, restando irrilevante l’eventuale collegamento dello stesso con altri atti o fatti di epoca anteriore, atteso che il discrimine temporale e’ dato dal provvedimento finale cui si addebita l’efficacia di determinare la lesione (cfr. ad es. Cass. SU n. 2016/2005).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio, rilevando che il fatto che qui assume rilievo e’ il provvedimento, adottato in data successiva al 30 giugno 1998, con cui e’ stata inflitta la sanzione disciplinare che il ricorrente assume illegittima e che lo stesso pone a base della pretesa avanzata in giudizio, in virtu’ del collegamento che si porrebbe fra l’illegittimita’ della sanzione e la richiesta di restituito in integrum, con il pagamento delle retribuzioni relative al periodo di sospensione cautelare dal servizio.

Ne deriva l’irrilevanza, ai fini dell’attribuzione della giurisdizione, degli atti del procedimento disciplinare o di quelli con esso connessi (quali l’atto di contestazione degli addebiti o la revoca del provvedimento di sospensione cautelare) che sono stati adottati prima del perfezionamento della fattispecie che il ricorrente assume quale causa della lesione del proprio diritto e che costituisce l’unico rilevante discrimine normativo ai fini del riparto fra le giurisdizioni nelle controversie relative al pubblico impiego c.d. privatizzato.

4. Infondati devono, quindi, ritenersi entrambi i motivi del ricorso principale, che, in considerazione della loro connessione, ben possono essere esaminati congiuntamente.

4.1. Con riferimento, innanzi tutto, alla disciplina applicabile, deve notarsi che la corte di merito ha correttamente ritenuto che le disposizioni del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 96 e 97 rientrano nelle “norme previgenti” divenute inapplicabili, nei confronti del personale del comparto, a seguito dell’entrata in vigore del primo contratto collettivo del settore ed e’ pervenuta a tale soluzione sulla base dell’inequivoco disposto dell’art. 56 del ccnl del personale del servizio sanitario nazionale 1994/1997, che (sotto la rubrica “disapplicazioni”) dichiara espressamente inapplicabili, con decorrenza dall’1.9.1995, “a norma del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 1…nei confronti del personale del comparto, tutte le norme previgenti incompatibili con quelle del presente contratto in relazione ai soggetti ed alle materie dalle stesse contemplate, nonche’, in particolare,alle disposizioni…” espressamente individuate nel testo contrattuale, ivi compresi “con riferimento agli artt. dal 29 al 32…il D.P.R. n. 3 del 1957, artt. da 78 a 123″.

A ragione pertanto, la sentenza impugnata ha individuato nella disciplina contrattuale (e precisamente negli artt. da 29 a 32 cit.) l’unica fonte regolatrice della questione controversa, ritenendo attratta nella regolamentazione contrattuale (in relazione alla sua vigenza dall’1.9.1995) la disciplina del rapporto fra il procedimento penale e il procedimento disciplinare (conclusosi, per come si e’ gia’ detto, con provvedimento del 13.12.1999) e degli effetti che, in relazione alla stessa, venivano a determinarsi per la sospensione cautelare, in relazione all’asserita illegittimita’ del provvedimento conclusivo della procedura di disciplina.

Il che all’evidenza assorbe ogni ulteriore censura, sia con riferimento all’”autonomia” della sospensione cautelare (ed alla sua vigenza pro parte in un arco temporale anteriore all’1.9.1995), sia con riferimento alla asserita novita’ della questione esaminata dalla corte territoriale, che non solo non trova nelle difese del ricorrente adeguata documentazione, in conformita’ al canone di necessaria autosufficienza del ricorso (che, pur nell’ipotesi di error in procedendo, impone che il relativo motivo sia ammissibile e contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale; v. per tutte, Cass. n. 14133/2007), ma, comunque, risulta contrastata dalla considerazione, svolta dalla Amministrazione resistente, che essa aveva espressamente sottoposto al giudice di appello la questione dell’inapplicabilita’, a seguito dell’entrata in vigore della contrattazione collettiva, delle disposizioni previgenti del TU sul pubblico impiego, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1 e art. 71.

4.2. Anche in ordine alle restanti censure il ricorso e’ infondato, non emergendo dai motivi stessi, in conformita’ alle prescrizioni imposte dall’art. 366 c.p.c. una individuazione dei fatti, sostanziali e processuali, rilevanti ai fini dell’impugnazione, che, per la loro specificita’ e completezza, risultino idonei a far ben comprendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla decisione del giudice a quo, evidenziando in modo compiuto le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa avanzata in giudizio, che si assume illegittimamente disattesa dalla sentenza impugnata. Osserva il ricorrente che, “per effetto della disapplicazione del provvedimento disciplinare da parte del giudice di primo grado” (o, in altri termini, dell’”annullamento della sanzione inflitta…”) “e’ maturato il diritto…alla restituzione delle somme non corrispostegli durante la sofferta sospensione cautelare dal servizio, travolta dalla caducazione della sanzione inflittagli a conclusione dell’illegittimo procedimento disciplinare, contrastante con le sopravvenute norme contrattuali del 1995”.

E’ da rilevare, nondimeno, che la sentenza di appello ha integralmente riformato la decisione di primo grado, e, rigettando la domanda del ricorrente, non ha fatto sopravvivere alcuna delle statuizioni in quest’ultima contenuta, ivi compresa la “disapplicazione” della sanzione connessa alla sospensione cautelare.

Per contro, nessuna indicazione si rinviene, in seno al ricorso, circa le specifiche disposizioni contrattuali che sarebbero state violate dell’Amministrazione nell’ambito del procedimento disciplinare e circa i relativi presupposti fattuali, ed ancor prima in ordine alla rituale allegazione di tali fatti e difese nei precedenti gradi del giudizio. Il ricorrente, in altri termini, ha provveduto ad elencare le disposizioni in tema di procedimento disciplinare introdotte ex novo dalla contrattazione collettiva, ma si e’ sottratto all’onere, necessario ai fini della giustiziabilita’ della pretesa, della sussunzione in tali previsioni dei fatti in concreto rilevanti e controversi. Con la conseguenza che appare del tutto indeterminata la connessione fra gli atti che, nel caso, hanno scandito la sequenza della procedura disciplinare e la loro regolamentazione sulla base della disciplina contrattuale applicabile, e,quindi, circa i vizi prospettabili e l’eventuale loro incidenza sulla legittimita’ della procedura. E cioe’ circa requisiti preliminari ad ogni valutazione delle conseguenze che l’inefficacia o l’invalidita’ del procedimento disciplinare e’ suscettibile di assumere, sulla base del rapporto che si instauri nelle fonti regolative, rispetto al provvedimento di sospensione cautelare.

Anche il ricorso principale va, pertanto, rigettato.

5. Stante la reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

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