Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13258 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/05/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 17/05/2021), n.13258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9569-2018 proposto da:

T.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE ONORATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CAGLIARI

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositato il

12/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MURO DI

MARZIO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. – T.I. ricorre per un mezzo, nei confronti del Ministero dell’Interno, contro il decreto del 12 febbraio 2018 con cui il Tribunale di Cagliari ha respinto l’impugnazione da lui proposta avverso il diniego, da parte della competente commissione territoriale, del riconoscimento della protezione internazionale o umanitaria.

2. – L’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. – Il ricorso contiene un solo motivo con cui il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere il Tribunale omesso di esaminare la ricorrenza dei requisiti per la protezione umanitaria, in particolare con riguardo all’opportunità di continuare a svolgere attività lavorativa in Italia, sulla base delle più di elementi di fatto tratti non si sa da quale fonte.

Ritenuto che:

4. – Il collegio ha disposto la redazione del provvedimento in forma semplificata.

5. – I il motivo è inammissibile.

Esso difatti non coglie la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata.

Il Tribunale, lungi dall’omettere di pronunciare sulla domanda di protezione umanitaria, ha difatti osservato che:

-) il ricorrente non aveva neppure dedotto una specifica ed individuale situazione di vulnerabilità, avendo viceversa ammesso di essere espatriato per ragioni di indigenza derivanti dalle condizioni di povertà del paese di origine, il Bangladesh;

-) neppure la protezione umanitaria poteva essere riconosciuta per l’opportunità di continuare a svolgere un’attività lavorativa in Italia, in forza di un contratto a termine peraltro già spirato, trattandosi di attività non indicativa di un avvenuta integrazione, considerata l’epoca di arrivo, la conoscenza della lingua, la mancanza di rapporti al di là della stretta cerchia dei suoi connazionali.

Orbene, questa Corte ha già avuto modo di osservare che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della chiesta protezione non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 27336-18, Cass. 18197-15).

Questo sta a dimostrare che il ricorrente non ha colto la prima ragione di rigetto della sua domanda, fondata sulla mancata allegazione di una personale condizione di vulnerabilità, ragione a fronte della quale egli avrebbe dovuto innanzitutto specificare in qual modo e in qual senso, invece, l’allegazione dei fatti fosse stata specificata.

Quanto alla questione dell’integrazione lavorativa in Italia, le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 13 novembre 2019, n. 29460 hanno stabilito che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria “occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, sulla scia del principio secondo cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari… considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza” (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072), giacchè “la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo” (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304), il tutto in vista della verifica “se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Nel caso in discorso, allora, è agevole osservare che il tema della sproporzione tra i due contesti non risulta affatto sollevato le dinanzi al giudice di merito, nè in questa sede, con l’ulteriore conseguenza che la censura non è, neppure per tale aspetto, idonea a demolire la motivazione addetta dal Tribunale a sostegno della propria decisione.

6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

 

 

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