Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13257 del 28/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 28/06/2016, (ud. 08/10/2015, dep. 28/06/2016), n.13257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1168-2013 proposto da:

A.M., (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIACOMO TARTAGLIONE, COSTANTINO MONTESANTO

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A.R.;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è rappresentato e difeso

per legge;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 794/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/10/2012, R.G.N. 320/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/10/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità.

Fatto

I FATTI

A.M. convenne dinanzi al Tribunale di Salerno B. A.R. e il Ministero dell’interno, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui subiti in conseguenza dell’indebita ufficializzazione di una formale comunicazione di alcune notitiae criminis relative all’attività di indagine che lo avevano riguardato e dalle quali non erano emersi estremi di reato a suo carico.

Il giudice di primo grado respinse la domanda.

La Corte di appello di Salerno, investita dell’impugnazione proposta dall’attore in prime cure, la rigettò.

Per la cassazione della sentenza della Corte campana A. M. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo di censura.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Il Ministero dell’interno si è costituito, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1 per la partecipazione alla discussione orale.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo ed unico motivo, si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo – con il quale il ricorrente lamenta l’omesso esame, da parte della Corte territoriale, del fatto, a suo dire decisivo, consistito nell’avere il funzionario di polizia inserito, in una relazione avente ad oggetto comunicazioni di reato al P.M., il nome dell’ A. (che non era mai stato indagato), i risultati delle indagini e le sue personali valutazioni nonostante la riconosciuta irrilevanza penale – è privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che una ricostruzione obbiettiva dei fatti, fondata sulla documentazione acquisita al processo, non potesse che condurre alla conclusione della assoluta legittimità dell’operato del funzionario di Polizia, volta che il coinvolgimento nelle indagini dell’odierno ricorrente (a prescindere dal successivo esito, irrilevante ai fini del presente giudizio) era emersa da alcune intercettazioni telefoniche (ritualmente autorizzate sulle utenze telefoniche di N. M. e Ap.Si.), comprovanti significativi contatti tra l’ A. e i predetti esponenti di un movimento di estrema destra, denominata (OMISSIS), dedita ad attività antisemita e razzista, nella cui sede era stato rinvenuto un ordigno incendiario.

Con la sua relazione, l’ufficiale di P.G. si limitava a dare atto della contiguità ideologica a tale movimento (e delle contribuzioni economiche erogate) da parte dell’ A., oltre a riferire di due specifiche vicende il cui contenuto appariva idoneo ad offrire possibili indizi in ordine alla commissione di eventuali attività delittuose (sia pur non direttamente collegate con l’attività dell’associazione, poichè riguardanti vicende personali dei due indagati, emerse nel corso dei colloqui con l’ A.).

Nessuna “personale valutazione” sui risultati di tali indagini risultano, pertanto formulate dal funzionario di polizia nella redazione del rapporto, come correttamente e condivisibilmente ritenuto dalla Corte salernitana, essendosi egli limitato a riferire fatti storici dai quali, ipso facto, emergeva il rapporto di contiguità dell’odierno ricorrente con gli esponenti del movimento (OMISSIS).

Tutte le attività di indagine si svolsero, peraltro, come ancora condivisibilmente osserva la Corte territoriale, nell’ambito della delega conferita dal P.M., onde l’obbligo gravante sull’ufficiale di P.G. di riferire su tutto quanto emerso nel corso del relativo svolgimento appariva correttamente adempiuto.

Pertanto, la censura mossa alla sentenza oggi impugnata, nel suo complesso, pur formalmente abbigliata in veste di denuncia di un decisivo difetto di motivazione, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale (nella specie, avente ad oggetto la valutazione del contenuto di un documento) a scapito di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove e la relativa significazione.

Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) si come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 8200, di cui 200 per spese.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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