Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13257 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. I, 17/05/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 17/05/2021), n.13257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea President – –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15707/2020 proposto da:

K.K.J., rappresentato e difeso dall’Avv. Emanuele

Boccongelli, con studio in Roma, Corso Trieste, n. 10, presso il

quale elegge domicilio in virtù di procura speciale a margine del

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di L’Aquila n. 1082/2020, pubblicato

il 4 maggio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con Decreto del 4 maggio 2020, il Tribunale di L’Aquila ha rigettato il ricorso proposto da K.K.J., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il ricorrente ha dichiarato di avere lasciato il paese di origine il 21 giugno 2016 a causa di alcune minacce subite da lui, dalla madre e dai suoi tre fratelli, provenienti dallo zio che, dopo la morte del padre, si era presentato a casa della sua famiglia dicendo che i beni del fratello erano diventati di sua proprietà per diritto ereditario; che si erano trasferiti tutti in un’altra abitazione e che dopo tre mesi un suo fratello era morto in circostanze non pienamente chiarite; che la situazione era diventata insostenibile e così si era determinato a cercare fortuna all’estero.

3. Il Tribunale ha ritenuto che, a prescindere dall’inattendibilità intrinseca del ricorrente, il quale in sede di domanda di protezione, aveva fornito generalità completamente diverse, le motivazioni addotte per spiegare l’abbandono della Costa d’Avorio non potevano in alcun modo costituire il presupposto per il riconoscimento della protezione internazionale, poichè il ricorrente non aveva riferito circostanze di fatto dalle quali desumere il concreto pericolo di subire atti di persecuzione, avendo dichiarato egli stesso di avere lasciato il paese per motivi di carattere economico perchè la famiglia non aveva di che vivere; non sussistevano nemmeno i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto egli non aveva riferito di essere direttamente minacciato dal pericolo di subire torture o condanne a morte; nè, come emerso dal rapporto 23 gennaio2018 del Ministero dell’Interno, Unità COI, sussisteva in Costa d’Avorio un conflitto armato ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); quanto alla protezione umanitaria non esisteva una situazione di particolare vulnerabilità, non potendosi ritenere tali le difficoltà di stampo economico, nè risultava che il richiedente avesse intrapreso un serio percorso di integrazione.

4. K.K.J. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato ad un unico motivo.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e dell’art. 35 bis, comma 9, affermando che, consapevole che le sue generalità erano sbagliate, aveva atteso di trovarsi davanti alla Commissione per correggere l’errore su consiglio della Caritas di Pescara; che aveva cercato una mediazione con lo zio attraverso la sua famiglia e che aveva dichiarato di non potere sostenere le spese di un legale; che le fonti richiamate dal Tribunale non erano aggiornate perchè risalenti al 2017-2018; che una situazione di estrema indigenza, come quella da lui vissuta nel paese di origine, poteva essere considerata una situazione di vulnerabilità e che il giudice, in forza del potere-dovere di indagine) avrebbe dovuto verificare e approfondire se le affermazioni rese avevano un fondamento specifico nella situazione socioeconomica del paese d’origine e comparare le risultanze con la situazione che viveva in Italia.

1.1 Il motivo è inammissibile perchè del tutto generico e diretto a censurare l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale sulla domanda di protezione internazionale, nonchè privo di specifiche indicazioni sulla interpretazione delle norme di diritto asseritamente violate e tantomeno delle ragioni della ravvisata violazione.

1.2 Inoltre, il vizio motivazionale del provvedimento impugnato è stato dedotto con riferimento alla pregressa formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, anzichè l'”omesso esame circa un atto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Ed invero, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. 22 giungo 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che il mancato esame deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

1.3 Ciò posto, senza prescindere dalla ritenuta non credibilità del racconto del ricorrente non efficacemente censurata, la non riconducibilità dell’episodio narrato dal richiedente asilo ad una ipotesi di atto persecutorio e l’esclusione della sussistenza di una situazione del Paese di origine di un rischio di esposizione indiscriminata dei civili a danni gravi scaturenti da conflitto armato interno sono state contestate dal ricorrente in modo sommamente generico, esprimendo semplicemente il proprio dissenso dalle valutazioni formulate dal giudice del merito e argomentando, in modo non completo e parziale, che nella disamina della situazione politica della Costa d’Avorio, il Tribunale aveva sottolineato diverse circostanze che dimostravano che l’assetto sociale e istituzionale del paese di origine del richiedente era suscettibile di mettere in pericolo la sua vita.

1.4 Occorre, poi, ribadire che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass., 21 ottobre 2019, n. 26728).

Va data, dunque, continuità al principio secondo cui “In tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate” (Cass., 18 febbraio 2020, n. 4037).

1.5 Anche in tema di protezione umanitaria il ricorrente si limita a censurare, sempre in modo estremamente generico, le valutazioni del Tribunale circa l’insussistenza di una condizione di personale vulnerabilità e, piuttosto, propone una critica di puro merito relativamente all’accertamento del fatto, inammissibile in sede di legittimità.

1.6 Sul punto, deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, questo, tuttavia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

E’ utile precisare che il fattore dell’integrazione sociale in Italia, peraltro genericamente allegato in ricorso, è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

2. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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