Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13256 del 28/06/2016
Cassazione civile sez. III, 28/06/2016, (ud. 08/10/2015, dep. 28/06/2016), n.13256
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28069-2012 proposto da:
M.F.D., (OMISSIS), elettivamente
domiciliata in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio
dell’avvocato VINCENZO ZENO ZENCOVICH, che la rappresenta e difende
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
CAIRO EDITORE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore
C.U., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO
VISCONTI 8, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI ABBRUZZESE,
rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO SINISCALCHI giusta
procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
MA.SA.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3415/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 23/10/2012 R.G.N. 337/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/10/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato VINCENZO ZENO ZENCOVICH;
udito l’Avvocato SIMONA VALENTINI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE
AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
I FATTI
Il Tribunale di Milano, ritenendo illecito il contenuto di un breve articolo anonimo pubblicato sul periodico (OMISSIS), edito dalla Cairo s.p.a. e diretto dal giornalista Ma.Sa., in quanto lesivo della reputazione della parte attrice, F.D., condannò l’editore e il direttore responsabile a risarcire a costei il lamentato danno non patrimoniale nella misura di 30 mila euro.
Venne considerata diffamatoria, nella specie, la notizia secondo la quale la F., “nonostante fosse stata riempita di miliardi dall’ex marito” (proprietario della casa automobilistica Mercedes) in occasione del divorzio, aveva trovato problematico mantenere il suo altissimo tenore di vita (tanto da essere stata costretta a vendere un gioiello del valore di 9 milioni di Euro), nonchè quella secondo la quale la sua stessa vita sentimentale non era particolarmente fortunata, avendo subito il fascino dell’ex marito di una famosa modella – senza, peraltro, essere ricambiata dall’uomo, che “ancora adorava l’ex moglie, detestata, forse per questo motivo, dalla stessa F.”.
La corte di appello di Milano, investita dell’impugnazione proposta dai convenuti, la accolse, osservando:
– Che una realistica valutazione del carattere ipoteticamente diffamatorio dell’articolo – del cui contenuto l’appellata si doleva – non potesse in concreto prescindere dalle caratteristiche della pubblicazione sulla quale il testo era comparso;
Che il periodico si occupava prevalentemente di notiziole e pettegolezzi riguardanti personaggi dello spettacolo, della moda o di altri simili ambienti, che costituivano l’attrattiva del pubblico cui si rivolgeva – costituito, in genere, da lettori di modesta condizione sociale e modestissima cultura;
– Che risultava, pertanto, impredicabile una qualsiasi possibile relazione tra i lettori di (OMISSIS) e la signora F., inserita nei più prestigiosi ambienti sociali e culturali della scena europea;
– Che il contenuto del periodico non aveva alcuna possibilità di penetrazione in quegli ambienti, e, ove mai ciò fosse casualmente accaduto, non avrebbe in alcun modo potuto compromettere la reputazione dell’appellata, strappando al più un distratto sorriso all’occasionale lettore;
– Che, per altro verso, nessuno dei fatti menzionati nell’articolo (la vendita di un costoso brillante al fine di poter sostenere l’altrettanto costoso tenore di vita della signora, e l’attrazione non ricambiata per un altro uomo) poteva ritenersi idoneo a ledere la reputazione della F. (le ragioni di tale convincimento verranno analiticamente esposte ai ff. 6 e 7 della pronuncia impugnata).
Per la cassazione della sentenza della Corte meneghina M. F.D. ha proposto ricorso sulla base di 3 motivi di censura illustrati da memoria.
Resiste la Cairo Editore con controricorso.
Diritto
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 2043 c.c. e art. 595 c.p.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Il motivo è privo di pregio.
Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto, con una ricostruzione della vicenda asseritamente diffamatoria scevra da vizi logico-giuridici, che, nella specie, non fosse ravvisabile, in punto fatto, ed a prescindere da qualsivoglia operatività di possibili esimenti (in particolare, il diritto di critica), alcuna lesione alla reputazione dell’odierna ricorrente – onde l’inconferenza dei numerosi richiami, contenuti nella censura in esame, alla giurisprudenza penalistica, ai limiti di operatività della predetta esimente, all’esistenza o meno di un interesse pubblico alla notizia (la cui irrilevanza e la cui sostanziale inoffensività è coondivisibilmente apparsa alla Corte territoriale in re ipsa, atteso il tipo di pubblicazione, il contenuto oggettivamente non diffamatorio del brevissimo articolo, il genere di pubblico destinato ad averne notizia, la “impermeabilità” dell’ambiente in cui si muoveva e viveva la F. rispetto ai fatti esposti, tutt’al più idonei ad ingenerare, in quel contesto sociale una reazione divertita).
Della mancanza di qualsivoglia interesse pubblico, d’altronde, discorre la stessa sentenza impugnata, per precisare poi, del tutto condivisibilmente che la notizia non aveva, al di là ed a prescindere da esso, alcuna potenzialità lesiva della reputazione dell’appellata.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla lamentata lesione della riservatezza della ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
Viziata da ultrapetizione, difatti, appare la sentenza di primo grado che, nel giudicare i fatti come lesivi del diritto alla riservatezza della persona, aveva travalicato i limiti imposti dall’originario petitum attoreo, contenente un esplicito quanto limitato riferimento “al fatto illecito integrante gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa”, mentre la richiesta di danni patrimoniali veniva fatta discendere “dalla lesione della propria immagine e reputazione”:
fattispecie, queste, ben diverse, come la stessa ricorrente sottolinea nello svolgimento della censura in esame, dal diritto alla riservatezza – correttamente non considerato, pertanto, nella sentenza d’appello quale ulteriore fonte di pretesi danni risarcibili.
Con il terzo motivo, si denuncia violazione dell’art. 2043 c.c. e art. 595 c.p. anche in relazione all’art. 115 c.p.c. e ad un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
Il motivo è inammissibile, poichè volto a criticare, in sede di giudizio di legittimità, un apprezzamento di fatto operato dalla Corte territoriale – quello, cioè, della platea dei destinatari cui la pubblicazione era diretta – non censurabile dalla Corte, attesane la assenza di vizi logico-giuridici nella ricostruzione del notorio.
Per altro verso, a pena della medesima sanzione della inammissibilità, il motivo non contiene esplicite censure della diversa ratio decidendi che pur sorregge la pronuncia impugnata, costituita dalla rilevata, oggettiva insussistenza di qualsivoglia valenza diffamatoria delle affermazioni contenute nello scritto. Il ricorso è pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.
Liquidazione come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2800, di cui 200 per spese.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016