Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13255 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. I, 17/05/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 17/05/2021), n.13255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea President – –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11783/2019 proposto da:

H.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Miraglia,

come da procura allegata telematicamente al ricorso per cassazione,

con domicilio in Roma, via Muzio Clementi, n. 51, presso lo studio

dell’Avv. Valerio Santagata;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna n. 1201/2019, pubblicato

il 4 marzo 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con decreto del 4 marzo 2019, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto da H.A., cittadino nato in Bangladesh, avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il richiedente ha dichiarato di avere lasciato il proprio paese di origine per alcuni litigi che si erano verificati con dei pescatori perchè insieme al padre e allo zio erano andati a pescare in un certo fiume, a seguito dei quali lo zio era morto e che questi pescatori avevano minacciato di morte lui e il padre se fossero tornati di nuovo; che trasferitosi a Dacca era stato coinvolto nel traffico di armi e droga da un uomo conosciuto nel ristorante dove lavorava.

3. Il Tribunale ha ritenuto, innanzi tutto, che il ricorrente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e che aveva reso dichiarazioni generiche e prive di circostanze di dettaglio proprio in ordine agli episodi verificatisi a Dacca e in ordine al prestito contratto per il suo viaggio non avendo saputo riferire nulla nè in ordine al prestito, nè sulle modalità pattuite per la restituzione; che il giudizio di non credibilità del dichiarante non faceva ritenere concreto il pericolo di rientro nel paese d’origine di subire un grave danno alla persona ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e non sussisteva nemmeno, alla luce delle fonti internazionali aggiornate al 2017-2018, una situazione di violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato; quanto alla protezione umanitaria, non sussisteva alcuna situazione di vulnerabilità, anche in ragione della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente e che la patologia al rene si era risolta e che, quanto alla problematica dell’occhio, questa richiedeva una mera terapia farmacologica.

4. H.A. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a nove motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 5, u.c.; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. h) e h bis), D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. e art. 31 Cost., comma 2 e agli artt. 2 e 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata e resa esecutiva con la L. n. 176 del 1991; l’omesso esame della rilevanza della partenza del Paese di origine e dell’arrivo in Italia a pochi mesi dal compimento della maggiore età, nonchè del grado di sviluppo del grado di scolarizzazione, di maturità e di sviluppo del minore, alla luce dei traumi subiti in giovanissima età.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2; il travisamento dei fatti in ordine ad aspetti essenziali del ricorso e ad ulteriori elementi specificati nella memoria e relativi alle vicende occorse a Dacca.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e l’omesso esame e motivazione circa la natura forzata piuttosto che economica della migrazione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 11; del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. 3, 7,14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., e dell’art. 6CEDU, per violazione del principio del contraddittorio e della parità delle armi, poichè il Tribunale non aveva tenuto in considerazione la sua minore età, la natura forzata della migrazione, quanto occorsogli durante il percorso migratorio e la natura circostanziata del narrato relativo al suo arrivo in Italia.

5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, per la mancata concessione della protezione sussidiaria, ovvero in subordine della protezione umanitaria per omesso esame della rilevanza dei fatti esposti con riferimento alla situazione del Paese di origine.

6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ed del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio di riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria (partenza dal Paese di origine alla minore età imposta dai genitori, con allontanamento da una situazione di sfruttamento minorile, perdita della casa e del villaggio di origine per disastro climatico, prigionia in Libia, l’essere sopravvissuto a un naufragio).

7. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 4 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; difetto di motivazione in ordine alla irrilevanza di quanto occorso e della attuale situazione del Paese di provenienza oltre che di Ritiling’ (nella specie la Libia) interessata da terrorismo e guerra civile e al motivo della fuga del ricorrente, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ovvero umanitaria.

8. Con l’ottavo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 27 contraddittorietà della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, con riferimento alle violenze e alla prigionia subite in Libia.

9. Con il nono motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007 art. 3, comma 4 e comma 5, art. 4 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, con riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e comma 3 bis e all’art. 19, comma 1 e 5, comma 6, T.U. Immigrazione, in relazione all’art. 10 Cost., commi 1 e 3 e art. 117 Cost., comma 1; dell’art. 3 CEDU, relativamente al riconoscimento del diritto di asilo costituzionale in quanto soggetto vulnerabile e per omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio, che il ricorrente è stato vittima di migrazione forzata, non avendo il Tribunale considerato la minore età, le gravi violazioni dei diritti umani e i traumi subiti, nonchè il rischio concreto che in caso di rientro nel Paese di origine potesse essere nuovamente forzato alla migrazione, ovvero ridotto in schiavitù da parte dei creditori ai fini del saldo del debito.

10. I motivi, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, sono inammissibili per plurime ragioni.

10.1 I motivi sono, innanzi tutto, inammissibili perchè formulati mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5 (ed anche n. 4), non essendo consentita in sede di legittimità la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874).

10.2 I motivi sono pure inammissibili perchè le plurime violazioni di legge oggetto di doglianza sono limitate alla mera enunciazione dei referenti normativi e non sono accompagnate sul piano argomentativo dalla necessaria illustrazione delle ragioni per cui il provvedimento impugnato le avrebbe violate, stante che secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass., 21 agosto 2020, n. 17570; Cass., 5 agosto 2020, n. 16700; Cass., 29 novembre 2016, n. 24298; Cass., 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038).

10.3 Anche i vizi di omesso esame lamentati dal ricorrente sono inammissibili perchè non rispettano le prescrizioni sulle modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come individuate dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, che ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

10.4 I motivi sono pure inammissibili perchè il ricorrente con essi mira a sovvertire l’accertamento in fatto contenuto nel decreto impugnato.

10.5 Il Tribunale ha, difatti, evidenziato che il ricorrente non era credibile e aveva reso dichiarazioni generiche e prive di circostanze di dettaglio proprio in ordine agli episodi verificatisi a Dacca e in ordine al prestito contratto per il suo viaggio non avendo saputo riferire nulla nè in ordine al prestito, nè sulle modalità pattuite per la restituzione; che il giudizio di non credibilità del dichiarante non faceva ritenere concreto il pericolo di rientro nel paese d’origine di subire un grave danno alla persona ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) e non sussisteva nemmeno, alla luce delle fonti internazionali aggiornate al 2017-2018 e specificamente indicate, una situazione di violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato; quanto alla protezione umanitaria, non sussisteva alcuna situazione di vulnerabilità, anche in ragione della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente e che la patologia al rene si era risolta e che, quanto alla problematica dell’occhio, era richiesta una mera terapia farmacologica.

10.6 A questa ricostruzione il ricorrente, non confrontandosi minimamente con le ragioni del decidere poste dal Tribunale a fondamento della decisione impugnata, oppone la giovane età del richiedente (che comunque era già maggiorenne all’atto dell’ingresso in Italia), la natura forzata della migrazione, la diversa lettura delle circostanze evidenziate nel decreto, la situazione di violenza nel Paese di transito (la Libia) e riconosce rilievo dirimente ai fini della concessione della protezione umanitaria alla circostanza, considerata anche dal Tribunale, delle condizioni di salute, con ciò sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

10.7 Ciò posto, senza prescindere dalla ritenuta non credibilità del racconto del ricorrente non efficacemente censurata, va anche richiamato, quanto al profilo della censura concernente l’omessa motivazione della rilevanza della situazione del Paese di transito (nel caso di specie, la Libia), l’indirizzo in base al quale nella domanda di protezione internazionale l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare, come nel caso in esame, quale connessione vi sia fra il transito attraverso quel Paese e il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. 21 novembre 2019, n. 30408).

10.8 Va aggiunto, in merito alla protezione sussidiaria, che il Tribunale ha correttamente escluso la sussistenza del “danno grave” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a) e b), nella ritenuta inattendibilità del racconto del richiedente e ha, altresì, provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), valorizzando l’assetto sociale, economico e politico del Bangladesh, quale emerso dalle fonti internazionali aggiornate al 2017-2018 specificamente individuate (pag. 7 del decreto impugnato).

10.9 In ultimo, quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale era chiamato a valutare la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).

La valutazione è stata adeguatamente svolta, là dove il Tribunale ha evidenziato che, al cospetto della mancanza di specifici indici di protezione e non ritenendo decisiva, con un accertamento di fatto non censurabile in questa sede, la situazione di salute del ricorrente, non era comunque emersa una situazione di radicamento dell’istante nel territorio italiano.

10.10 In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito – come sostanzialmente dedotto nella specie – ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 17 gennaio 2019, n. 1229).

10.11 Nè il ricorrente, in relazione ai profili di censura sollevati, ha allegato specifiche circostanze bisognose di approfondimento istruttorio, nè ha indicato le fonti dalle quali emergerebbero situazioni diverse rispetto a quelle ritenute dal Tribunale sia con riferimento al paese di origine, che a Dacca, che alla Libia, questi ultimi paesi di transito; il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli ai migranti in Libia non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

11. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla deve disporsi sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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