Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13254 del 28/06/2016

Cassazione civile sez. III, 28/06/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 28/06/2016), n.13254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – est. Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16892/2014 proposto da:

B.O.M., (OMISSIS), OS.MA.

(OMISSIS) anche per la figlia minore O.M.,

O.L. (OMISSIS), O.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO

36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO CORNELIO

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

ALLIANZ S.P.A., in persona dei procuratori Dott.ssa G.A.

e Dr. C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANAMA 88, presso lo studio legale SPADAFORA, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIORGIO SPADAFORA e ANTONIO SPADAFORA, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

AZIENDA U.S.S.S. N. (OMISSIS) DEL VENETO, in persona del Direttore

Generale

e legale rappresentante pro tempore Dr. S.B.,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA MANZI che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARIANOVELLA PIGNATA e PIETRO PIGNATA giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

GENERALI ITALIA che si costituisce per INA ASSITALIA SPA in

persona del legale rappresentante pro tempore, quale impresa

assicuratrice per la responsabilità civile del Dott. D.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso

lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAOLO MARIA CHERSEVANI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

D.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 41,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE LUCIO PATTI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CLAUDIO CONSOLO,

ALBERTO STROPPARO giusta procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonchè da:

GENERALI ITALIA S.P.A. già INA ASSITALIA S.P.A. conferitaria del

ramo d’azienda assicurativo Direzione per l’Italia di ASSICURAZIONI

GENERALI SPA – a mezzo della propria mandataria e rappresentante

GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.C.p.a. in persona di C.

P. e P.M. procuratori speciali di GENERALI

BUSINESS SOLUTIONS S.C.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VITTORIO VENETO 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLO TARTAGLIA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO RICCI

giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1358/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/05/2014, R.G.N. 2451/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ENRICO CORNELIO;

udito l’Avvocato PAOLO CHERSEVANI;

udito l’Avvocato SPADAFORA;

udito l’Avvocato GIOVANNI SERGES per delega;

udito l’Avvocato GIANLUCA CALDERARA per delega;

udito l’Avvocato SALVATORE LUCIO PATTI;

udito il P.M.,n persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, e ha concluso: riuniti i ricorsi; per il ricorso

principale accoglimento del 1^, 2^ 3^ motivo rigetto dei restanti;

per il ricorso incidentale D. rigetto; assorbito il ricorso

incidentale condizionato delle Generali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto di citazione del 21 gennaio 1999 B.O.M. e Os.Ma., in proprio e nella qualità di genitori esercenti potestà sulle figlie minori M., G. e L. hanno convenuto in giudizio davanti al tribunale di Treviso il Dr. D.P. e la USSL (OMISSIS), esponendo che:

– la signora B., appena consapevole del proprio stato di gravidanza, si era rivolta all’ostretrico, Dott. D. chiedendo di essere sottoposta a tutti gli accertamenti necessari ad escludere malformazioni del feto;

– la nascita di un bambino sano era stata rappresentata al sanitario come condizione imprescindibile per la prosecuzione della gravidanza;

– il Dott. D. aveva proposto e fatto eseguire alla gestante il solo “tritest” e un’ecografia presso l’ospedale di (OMISSIS), dove lo stesso ostetrico prestava servizio, omettendo di prescrivere accertamenti più specifici al fine di escludere alterazioni cromosomiche del feto;

– il (OMISSIS) era nata la piccola M., affetta da sindrome di Down. 2. Il Dr. D. ha contestato gli addebiti, chiedendo nel contempo l’autorizzazione alla chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice. L’Azienda sanitaria di (OMISSIS) ha eccepito, in rito, la nullità dell’atto introduttivo per mancata specificazione delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali era fondata la domanda, la carenza di legittimazione attiva della minore nonchè il proprio difetto di legittimazione passiva perchè il Dr. D. aveva agito come libero professionista privato, in regime extra moenia, negando nel merito la fondatezza della domanda.

L’Assitalia (compagnia assicuratrice del Dott. D.), nel costituirsi, ha aderito alle difese del proprio assicurato.

La compagnia Assicurazioni Generali (originaria assicuratrice della USL) ha eccepito la cessazione degli effetti della polizza stipulata con la struttura sanitaria al 30 giugno 1996, ha negato ogni responsabilità vicaria per i fatti successivi a tale data; fatte proprie, nel merito, le difese della propria garantita, ha chiesto, in caso di condanna del sanitario, di essere da questi rimborsata di quanto eventualmente tenuta a corrispondere agli attori.

La RAS (succeduta alle Generali nel rapporto assicurativo con l’unità sanitaria) ha eccepito la non operatività della polizza, per essere la vicenda di danno lamentata dagli attori riferibile ad un’epoca anteriore alla data del suo subingresso alla precedente compagnia, contestando poi nel merito le pretese risarcitorie.

3. Il tribunale di Treviso, previa declaratoria di difetto di legittimazione attiva della minore O.M., ha rigettato le domande dei genitori e delle sorelle e la corte di appello di Venezia, con sentenza del 2 novembre 2010, ha confermato la decisione di primo grado affermando:

– quanto alla legittimazione attiva di O.M., che, come già ritenuto da Cass. n. 14888/2004, “verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l’essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto di informazione, messa in condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo ricorso all’aborto”;

– con riferimento alla pretesa risarcitoria dei familiari, fondata sull’inadempimento contrattuale del sanitario, ha ritenuto quest’ultimo del tutto esente da colpa, osservando, in particolare, che la sola indicazione del cd. “tritest” quale indagine diagnostica funzionale all’accertamento di eventuali anomalie fetali doveva ritenersi del tutto giustificata, alla luce dell’età della signora B. (al tempo dei fatti soltanto ventottenne) e dell’assenza di familiarità per malformazioni cromosomiche, onde l’esecuzione di un test più invasivo come l’amniocentesi avrebbe potuto essere giustificata soltanto da una esplicita richiesta, all’esito di un approfondito colloquio con il medico sui limiti e vantaggi dei test diagnostici, mentre non risultava nè provato nè allegata la richiesta di sottoposizione a tale esame.

La corte territoriale ha inoltre osservato che anche l’accertamento di un’eventuale malformazione fetale “non è di per sè sufficiente a legittimare un’interruzione di gravidanza”, posto che, nella specie, tale interruzione sarebbe stata praticata nel secondo trimestre, mentre la sussistenza dei relativi presupposti di legge, della L. n. 194 del 1978, ex art. 6, non era neppure stata adombrata dagli attori, onde nessuna prova poteva dirsi legittimamente acquisita al processo in ordine alla esposizione della donna a grave pericolo per sua la vita o per la sua salute fisica o psichica in caso di prosecuzione della gravidanza nella consapevolezza della malformazione cromosomica del feto. Inoltre lo “spostamento” della quaestio iuris sul versante della carenza di informazione, operato in sede di appello, doveva ritenersi del tutto estraneo e diverso rispetto alla fattispecie come originariamente rappresentata, in funzione esclusivamente risarcitoria per l’inadempimento del sanitario e non per essere stata la B. privata del diritto di scelta a causa di esami fatti male o non fatti.

4. Il ricorso per cassazione proposto contro la decisione della corte d’appello di Venezia è stato accolto con sentenza n. 16754/2012, con la quale è stato affidato al giudice del rinvio il compito di “rivalutare ex novo la fondatezza della richiesta risarcitoria sia della minore, sia dei suoi familiari”.

Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte, premesso che la questione relativa alla sufficienza del livello di consenso informato relativamente alla portata e ai limiti del “tristest” era già stata posta con l’atto introduttivo e, pertanto, non era un novum sollevato per la prima volta in appello, ha affermato che:

a) risultava provato (anche all’esito della mancata contestazione da parte del medico, non potendosi ritenere tale la generica affermazione di stile, contenuta nell’atto di costituzione in giudizio del Dott. D., volta alla “contestazione analitica di tutti gli assunti di parte attrice”) che la gestante aveva espressamente richiesto un accertamento medico-diagnostico per esser resa partecipe delle eventuali malformazioni genetiche del feto, così da poter interrompere la gravidanza;

b) oggetto del rapporto professionale medico-paziente doveva ritenersi, nella specie, non un accertamento “qual che esso fosse”, compiuto all’esito di una incondizionata e incomunicata discrezionalità da parte del sanitario, bensì un accertamento doppiamente funzionale alla diagnosi di malformazioni fetali e (condizionatamente al suo risultato positivo) all’esercizio del diritto di interrompere la gravidanza e, pertanto, gravava sul sanitario l’onere di provvedere ad una completa informazione circa le possibilità (tutte le possibilità) di indagini diagnostiche, più o meno invasive, più o meno rischiose, e circa le percentuali di falsa negatività offerte dal test prescelto (pari al 40% di “falsi negativi”), onde il suo carattere, più che di vero e proprio esame diagnostico, di screening del tutto generico quanto alle probabilità di malformazione fetale, onde consentire alla gestante una decisione il più aderente possibile alla realtà della sua gestazione;

c) non risultava conforme a diritto la motivazione della decisione impugnata secondo la quale non era stata fornita dalla signora B. la prova che, anche se a conoscenza della malformazione cromosomica del feto, avrebbe potuto interrompere la gravidanza, perchè “non vi era alcun elemento dal quale desumere – ovviamente con giudizio ex onte – che la prosecuzione della gravidanza avrebbe esposto la signora a grave pericolo di vita o grave pericolo per la sua salute fisica o psichica”, in quanto a fronte di una precisa istanza diagnostica espressamente funzionale ad una eventuale interruzione della gravidanza, poteva e doveva essere utilizzata la presunzione che a seguito della scoperta della paventata malformazione fetale sarebbe insorta, come poi effettivamente si era verificato, una patologia materna sotto forma di danno biologico psichico;

d) quanto alla titolarità di un diritto al risarcimento del danno da riconoscersi iure proprio in capo al minore handicappato – nato a seguito della omessa rilevazione da parte del sanitario della malformazione genetica da madre che, contestualmente alla richiesta dell’esame diagnostico, aveva manifestato la volontà di non portare a termine la gravidanza nell’ipotesi di accertata malformazione -, questione in precedenza risolta in modo negativo dalla giurisprudenza della Corte, è stato affermato il principio di diritto secondo il quale la propagazione intersoggettiva dell’illecito legittima un soggetto di diritto, quale il neonato, per il tramite del suo legale rappresentante, ad agire il giudizio per il risarcimento di un danno che si assume in ipotesi ingiusto, risultando tanto necessario quanto sufficiente considerare il nascituro oggetto di tutela, se la qualità di soggetto di diritto (evidente astrazione rispetto all’essere vivente) è attribuzione normativa funzionale all’imputazione di situazioni giuridiche e non tecnica di tutela di entità protette;

e) in particolare:

e1) in ordine alla legittimazione soggettiva a proporre la domanda, doveva darsi risposta positiva trovando la domanda risarcitoria il suo fondamento negli artt. 2, 3, 29, 30 e 32 Cost., dovendosi osservare, altresì che il vulnus lamentato consisteva non nella malformazione nè nella nascita in sè considerate, bensì nello stato funzionale di infermità, nella condizione evolutiva della vita handicappata intesa come proiezione dinamica dell’esistenza – non semplice somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi di vita ed handicap, sintesi generatrice di una vita handicappata- con conseguente violazione: a) dell’art. 32 Cost. (intesa la salute non soltanto nella sua dimensione statica di assenza di malattia, ma come condizione dinamico/funzionale di benessere psicofisico), b) della più generale norma di cui all’art. 2 Cost., per la limitazione del diritto del minore allo svolgimento della propria personalità sia come singolo sia nelle formazioni sociali, c) dell’art. 3 Cost., per la limitazione al pieno sviluppo della persona, d) degli artt. 29, 30 e 31 Cost., perchè l’arrivo del minore in una dimensione familiare “alterata” – come lasciava presumere il fatto che la madre si fosse già emotivamente predisposta, se correttamente informata della malformazione, ad interrompere la gravidanza, in previsione di una sua futura malattia fisica o psichica al cospetto di una nascita dichiaratamente indesiderata – impediva o rendeva più ardua la concreta e costante attuazione dei diritti-doveri dei genitori sanciti dal dettato costituzionale, che tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimento sotto il profilo dell’istruzione, educazione, mantenimento dei figli;

e.2) per quanto riguarda l’individuazione dell’evento di danno, la Corte ha osservato che l’esercizio del diritto al risarcimento da parte del minore in proprio non era in alcun modo riconducibile ad un impersonale “non nascere”, ma si riconnetteva, personalmente e soggettivamente, a quella singola, puntuale e irripetibile vicenda umana che riguarda quel determinato (e altrettanto irripetibile) soggetto che, invocando un risarcimento, fa istanza al giudice di piena attuazione del dettato costituzionale dianzi evocato, onde essere messo in condizione di poter vivere meno disagevolmente;

5. La corte di appello di Venezia, dinanzi alla quale si è celebrato il giudizio rescissorio, dopo aver sinteticamente riportato il contenuto della sentenza rescindente, ha ritenuto:

a) inammissibile la domanda risarcitoria proposta da O.M. “giacchè nessuna richiesta risulta in tal senso formulata nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado dinanzi al tribunale di Treviso”, aggiungendo poi che “in esso non è contenuta alcuna allegazione circa il pregiudizio patrimoniale e non subito da O.M.”, di talchè “la richiesta risarcitoria formulata solo in sede di rinvio” doveva “ritenersi inammissibile”;

b) infondata la domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’azienda sanitaria, essendo intercorso tra le parti un rapporto privatistico, nell’ambito dell’attività libero-professionale esercitata dal Dott. D., che operava in regime cd. di extra moenia;

c) fondata la domanda risarcitoria di danni non patrimoniali della madre della minore, alla quale il c.t.u. aveva diagnosticato una menomazione dell’integrità psico-fisica conseguente alla nascita della piccola M. sfociata in un danno biologico permanente indicato nella misura dell’8%, liquidando tali danni, sulla base delle tabelle milanesi, con una personalizzazione pari a un aumento del 50%, in considerazione della peculiarità della situazione e dei notevoli disagi, nella misura all’attualità di 24.502,00;

d) fondata la domanda risarcitoria di danni non patrimoniali dei padre della minore, al quale era stato riconosciuto dal CTU un danno biologico permanente nella misura del 6%, liquidandoli in Euro 15.186,00, sempre in base alle tabelle milanesi e alla personalizzazione pari a un aumento del 50%;

e) fondata la domanda risarcitoria di danno non patrimoniale delle due sorelle della minore, equitativamente liquidata nella misura di Euro 5.000 ciascuna;

f) fondata la domanda di risarcimento di danno patrimoniale, liquidata equitativamente (sia pur prendendo a parametro il costo mensile di una collaboratrice domestica) in Euro 720.000, 00.

Su tutte le somme, liquidate all’attualità, dovevano essere corrisposti gli interessi al tasso legale dalla data della decisione.

6. Avverso tale pronuncia B.O.M., Ma., M., G. e L. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.

Resistono D.P., l’Azienda ospedaliera Veneto (OMISSIS), le compagnie assicuratrici Generali Italia, Assicurazioni generali e Allianz. D.P. ha proposto anche ricorso incidentale fondato su tre motivi e Assicurazioni generali ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi.

Tutte le parti, tranne l’Azienda ospedaliera, hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso dell’Azienda ULSS n. (OMISSIS) Veneto perchè, in violazione del combinato disposto dell’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., n. 3, è privo dell’esposizione sommaria dei fatti della causa.

2. I primi tre motivi del ricorso principale censurano sotto vari profili (di violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., con il primo; di violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., con il secondo e di violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., con il terzo) la statuizione della corte territoriale secondo la quale la domanda risarcitoria da parte di O.M., la cui legittimazione ha formato oggetto del principio di diritto affermato dalla Corte, in realtà non risulterebbe essere stata mai proposta.

Le censure sono ammissibili e fondate.

Non meritano accoglimento, innanzi tutto, le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dai controricorrenti, sia sotto il profilo di un preteso difetto di autosufficienza che per la dedotta esorbitanza delle censure dai limiti del giudizio di legittimità. Infatti, dalla lettura integrata dei motivi che si stanno esaminando emerge che i ricorrenti prospettano, anche se non in modo molto chiaro, due questioni di diritto di natura processuale:

quella dei limiti oggettivi del giudizio di rinvio e quella del rilievo del giudicato interno implicito in tale giudizio.

In ordine alla prima questione è costante affermazione di questa Corte che il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico-

giuridico della sentenza stessa, in quanto non è possibile porre nel nulla o limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa.

Ora è evidente che la sentenza rescindente aveva esaminato la questione della legittimazione della minore a propone la domanda sull’imprescindibile presupposto logico-giuridico che tale domanda fosse stata ritualmente proposta in prime cure. Ritenere il contrario, come ha fatto il giudice del rinvio, equivale a ritenere che la sentenza di Cassazione sia stata inutiliter data.

D’altra parte la sussistenza di tale presupposto logico-giudirico deriva anche dal rilievo che, in applicazione del principio della “ragione più liquida”, ormai recepito nella giurisprudenza di questa Corte, sulla base del quale il giudice, per evidenti ragioni di economia processuale (art. 111 Cost., comma 2), ha il dovere di esaminare, anche a prescindere dall’eventuale ordine logico delle questioni l’esistenza di un impedimento all’accoglimento della domanda. Tale sarebbe stata necessariamente la sua mancata proposizione.

Quanto alla circostanza che l’avvenuta proposizione della domanda risarcitoria costituisce anche oggetto di giudicato implicito, rappresentando il presupposto logico-giuridico, non solo della sentenza rescindente, ma, ancor prima, della sentenza del tribunale di Treviso, che non è stata impugnata sul punto, è vero che, come è stato anche di recente affermato (Cass. 30 luglio 2015, n. 16171) il principio della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, come già rilevato, con l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza, ancorchè non dedotte o rilevate in quel giudizio, sicchè il giudice di rinvio non può prendere in esame neppure la questione concernente l’esistenza di un giudicato esterno o (come nella specie) interno, qualora l’esistenza di quest’ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio, tuttavia, nella specie dalla sentenza rescindente non solo non risulta escluso, neppure implicitamente, il giudicato sull’esistenza della domanda risarcitoria della minore, ma deve ritenersi che tale giudicato abbia costituito il necessario presupposto della decisione.

La corte territoriale, pertanto, non avrebbe potuto ritenere non proposta alcuna domanda risarcitoria da parte della minore, esulando la questione dell’esistenza di tale domanda dai limiti del giudizio di rinvio segnati dalla sentenza di cassazione, ma anche perchè l’esistenza di tale domanda costituiva oggetto del giudicato interno implicito formatosi già sulla sentenza di primo grado. Il giudice del rinvio avrebbe dovuto esclusivamente valutare la fondatezza nel merito della domanda risarcitoria, come espressamente indicato nella sentenza rescindente.

A seguito della cassazione della sentenza impugnata tale compito spetta, quindi, al nuovo giudice di rinvio.

3. Con il quarto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. e art. 1228 c.p.c., i ricorrenti censurano il rigetto della domanda risarcitoria proposta nei confronti della USL. Il motivo è inammissibile in quanto i ricorrenti non deducono l’esistenza di vizi logico-giuridici della motivazione, ma contestano, nel merito l’accertamento di fatto compiuto dal giudice del rinvio in ordine alla natura libero-professionale del rapporto tra la signora B.O. e il Dott. D., e all’insussistenza di obblighi informativi gravanti sul medico che ha eseguito l’ecografia nell’ambito della struttura ospedaliera su prescrizione dell’ostetrico, essendo l’ecografista del tutto all’oscuro delle ragioni e delle finalità che avevano indotto la gestante, su indicazione del medico curante, ad eseguire l’approfondimento diagnostico.

4. Con il quinto e il sesto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e artt. 1226, 2059 c.c., con riferimento alla liquidazione del danno subito dai genitori e dalle sorelle, perchè tale liquidazione non avrebbe compreso la voce principale, cioè l’angoscia che si protrae per tutta la loro vita per le condizioni psico-fisiche della figlia e della sorella e il danno alla vita di relazione delle sorelle, chiamate a doversi prendere cura della minore dopo la morte dei genitori e quindi con difficoltà a creare una propria famiglia. I motivi sono infondati.

La corte territoriale nel quantificare il danno per menomazione dell’integrità psico-fisica dei genitori, nella misura indicata dal c.t.u., e nell’applicare, conseguentemente, le tabelle in uso presso il tribunale di Milano, ha poi proceduto all’aumento della voce di danno biologico nella misura del 50%, così mostrando di considerare, a fini di quantificazione, tanto i peculiari aspetti dinamico-

relazionali della vicenda quanto il disagio morale sopportato dai genitori per la crescita della figlia affetta da handicap. Ha poi proceduto alla liquidazione in via equitativa del danno delle sorelle per l’incidenza della nascita della minore con menomazioni psico-

fisiche sulle relazioni con i propri genitori.

Tale liquidazione unitaria del danno non patrimoniale è immune da vizi giuridici perchè conforme all’orientamento inaugurato come le sentenze n. 26972 e 26974 del 2008 secondo il quale il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva; è, pertanto, scorretto e non conforme al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. “danno morale soggettivo”, inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali.

Ogni altro profilo di censura, inoltre, incontra il noto limite dell’incensurabilità in sede di legittimità degli accertamenti di fatto motivato in modo logico e giuridicamente corretto.

5. Con il settimo motivo, si lamenta della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e artt. 1226, 2059 c.c., per avere la corte territoriale fatto decorrere gli interessi sulle somme rivalutate dalla data della pronuncia invece che sulle somme devalutate dalla data del fatto dannoso e poi sulle somme rivalutate anno per anno.

Il motivo è fondato.

E’ costante orientamento di questa Corte (Cass., n. 21396/2014; n. 5671/2010, n. 3931/2010; n. 4791/2007) che, in materia di fatto illecito extracontrattuale, il danno da ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria va liquidato applicando un saggio di interessi scelto in via equitativa dal giudice o sulla semisomma (e cioè la media) tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all’epoca dell’illecito, ovvero – per l’identità di risultato – sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno.

6. Il primo e secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale del Dott. D., lamentano la violazione dell’art. 101 c.p.c., art. 384 c.p.c., comma 2 e art. 394 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuta vincolante l’affermazione della sentenza di questa Corte secondo la quale doveva ritenersi provato, anche per mancata puntuale contestazione, che la signora B. aveva richiesto che fossero eseguiti tutti gli accertamenti diagnostici al fine di valutare l’eventualità di un’interruzione della gravidanza, senza procedere ad autonomo accertamento dei fatti.

I motivi sono infondati.

E’ costante orientamento (Cass. n. 8225/2013, n. 3458/2012) che, la sentenza con la quale viene cassata una decisione non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato. Nè, alla stregua dello stesso principio, è sindacabile l’affermazione dell’esistenza della prova di un fatto (richiesta di accertamenti diagnostici per valutare se interrompere la gravidanza) basata sulla non contestazione da parte del convenuto, posta a premessa di un rilevato vizio di motivazione, e quella relativa alla legittimità della utilizzazione della presunzione della volontà di interrompere la gravidanza, basata sulla avvenuta richiesta di accertamenti diagnostici, sulla quale si fonda il principio di diritto affermato nella sentenza rescindente.

Del tutto correttamente il giudice di rinvio si è ritenuto, sul punto, esonerato sotto tale profilo da qualsiasi onere di indagine.

Nell’ipotesi inoltre in cui le censure mosse dalla difesa D. alla sentenza di legittimità dovessero invece avere ad oggetto la erronea supposizione, da parte di questa Corte, di un fatto la cui verità sarebbe incontestabilmente esclusa dagli atti, il rimedio esperibile sarebbe stato unicamente quello revocatorio.

7. La dichiarazione di inammissibilità del quarto motivo del ricorso principale (avente ad oggetto l’esclusione della responsabilità della USL n. (OMISSIS)) comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto da Generali Italia s.p.a., assicuratrice della USL. All’accoglimento dei primi tre motivi e del settimo motivo del ricorso principale consegue la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e il rinvio ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Milano, che si pronuncerà attenendosi ai principi di diritto suesposti, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo e il settimo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il quarto e rigetta il quinto e il sesto e settimo motivo; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato delle Generali Assicurazioni e rigetta il ricorso incidentale D.; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la liquidazione delle spese alla Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2016

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