Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13249 del 16/06/2011

Cassazione civile sez. I, 16/06/2011, (ud. 16/05/2011, dep. 16/06/2011), n.13249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M.A.B. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ZARA 13, presso l’avvocato

RONDININI FLAVIO, che la rappresenta e difende, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BE.GI. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA 15, presso l’avvocato MASTROLILLI

STEFANO, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

Z.L., R.T.I. – RETI TELEVISIVE ITALIANE S.P.A., V.

J., GRUNDY PRODUCTION ITALY, B.O., P.G.;

– intimati –

Nonchè da:

RETI TELEVISIVE ITALIANE S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del

procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CICERONE 60, presso l’avvocato PREVITI STEFANO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.M.A.B., Z.L., BE.GI.,

GRUNDY PRODUCTION ITALY, V.J., B.O., P.

G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3030/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/05/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato RONDININI FLAVIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato MASTROLILLI S. che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

PREVITI CARLA, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione in data 22 gennaio 2002% M.M.A.B. conveniva dinanzi at Tribunale di Roma V.R., Be.Gi., P.G. e B.O., nonchè la spa Mediaset, chiedendo che fosse accertata la propria paternità dei “format” dei programmi televisivi (OMISSIS), regolarmente depositati presso la SIAE, e il plagio degli stessi nei programmi (OMISSIS) trasmessi sul canale televisivo “Italia 1” della società Mediaset e l’infedele espletamento da parte dei suindicati dell’incarico fiduciario ricevuto. Era, quindi, chiesta la condanna in solido dei convenuti al risarcimento del danno nella misura di Euro 70.000,00, salvo altro importo di giustizia, e della società Mediaset al pagamento di un equo compenso per l’utilizzazione dei “format” liquidato in misura da determinarsi.

I convenuti si costituivano affermando l’infondatezza delle pretese.

Il V. chiedeva anche, in riconvenzione, la condanna dell’attrice al risarcimento del danno per lesione della propria immagine professionale e per lite temeraria nella misura di Euro 15.000,00 per la prima voce e di Euro 10.000,00 per la seconda. Il B., dichiaratosi consulente della società Pearson Television, oggi Grundy Production, chiedeva di essere, in ogni caso, manlevato dalla società predetta. La società Mediaset eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva perchè la rete televisiva su cui erano stati trasmessi i programmi menzionati dall’attrice era gestita dalla propria controllata RTI – Reti Televisive Italiane.

La Grundy Production si costituiva affermando di essere estranea alla vicenda, instando per il rigetto della domanda e chiedendo di essere, a sua volta, manlevata dal chiamante.

La M., con successivo autonomo atto di citazione, conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la società RTI- Reti Televisive Italiane chiedendo, oltre all’accertamento della paternità del “format” e del plagio, la condanna della convenuta al risarcimento del danno, anche da concorrenza sleale o per ingiustificato arricchimento. La società predetta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e il risarcimento del danno da lite temeraria.

All’esito, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 21745 in data 13 ottobre 2005 Rigettava tutte le domande proposte in giudizio con la compensazione integrale delle spese di lite.

La M. proponeva appello, con atto notificato il 24/27 novembre 2006, affermando l’erroneità della decisione di primo grado con riferimento: alla violazione della L. n. 633 del 1941, artt. 1 e 2 per l’affermata mancanza di protezione dei “format” televisivi;

all’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla valutazione dei “format” depositati dall’attrice, costituenti opere tutelate, e dei programmi realizzati da RTI, concretanti plagio delle stesse; all’insufficiente motivazione in merito all’esclusione di responsabilità dei convenuti B., V., Be. e P. invece corresponsabili della lesione dei diritti dell’appellante; all’errata motivazione in relazione all’esclusione della concorrenza sleale invece ravvisabile in considerazione della professione svolta dalla M.; al rigetto della domanda ex art. 2041 cod. civ. invece fondata. L’appellante concludeva chiedendo, perciò, l’accoglimento delle proprie pretese con l’espletamento degli indicati mezzi istruttori. La società RTI si costituiva il 9 marzo 2007 affermando l’infondatezza dell’impugnazione di cui era chiesto il rigetto. Era anche proposto appello incidentale in relazione al mancato accoglimento della domanda di danni ex art. 96 cod. proc. civ. e alla disposta compensazione delle spese di lite. Il Be. si costituiva il 21 marzo 2007 chiedendo il rigetto dell’impugnazione. Il B. si costituiva il 3 aprile 2007 dichiarando di reiterare l’eccezione di estinzione del giudizio di primo grado ex art. 307 cod. proc. civ. per avere la M. omesso di integrare il contraddittorio nei confronti della RTI nel termine perentorio fissato dal giudice. Nel merito era chiesto il rigetto dell’impugnazione ed era riproposta, in caso di suo accoglimento, la domanda di manleva contro la società Grundy Production. Il P. si costituiva il 3 aprile 2007 chiedendo il rigetto dell’appello. La Grundy Production si costituiva il 3 aprile 2003 eccependo preliminarmente il litisconsorzio necessario nei confronti dei coautori dei programmi televisivi che, secondo la M., costituivano plagio dei “format” da lei depositati. Il V. rimaneva contumace.

Nel corso del giudizio veniva,con ordinanza depositata il 30.5.07, dichiarata inammissibile l’eccezione di estinzione del giudizio di primo grado per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della società RTI formulata dall’appellato e veniva altresì rigettata l’istanza di assegnazione della causa alla sezione specializzata in materia di proprietà industriale e proprietà intellettuale sollevata dalla M. con istanza in data 20.4.07.

Tale ultima pronuncia veniva impugnata con ricorso per cassazione ex art. 362 c.p.c. dalla M. e la causa veniva iscritta al numero di ruolo generale 21566/07 di questa Corte.

La Corte d’appello a conclusione del giudizio rigettava poi , con sentenza n. 3030/09, sia l’appello principale della M. che quello incidentale.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattordici motivi, la M. cui resistono con separati controricorsi la RTI ed il Be.. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva .La RTI ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato.

La RTI e la M. hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente chiede che si dichiari la nullità della sentenza impugnata per vizio riguardante la costituzione del giudice poichè nella epigrafe della sentenza impugnata risulterebbe, quale componente il collegio al momento della decisione, il consigliere Cr., precedentemente astenutosi all’udienza di precisazione delle conclusioni del 10 febbraio 2009.

Con il secondo motivo denunzia la nullità della sentenza impugnata per la omessa trascrizione delle conclusioni di essa appellante. Con il terzo motivo lamenta, la nullità della sentenza per non avere riportato il contenuto delle domande delle parti; nonchè per violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato essendosi pronunciata su (OMISSIS) anzichè su (OMISSIS).

Con il quarto motivo, deduce nullità della sentenza per vizio di omessa pronunzia in relazione al motivo di appello sull’illecito concorrenziale. Con il quinto motivo denuncia il vizio di omessa pronunzia sul motivo di appello afferente il mancato accoglimento dell’istanza di esibizione delle puntate delle trasmissioni asserite plagiate nonchè la nullità della sentenza per non avere riportato tutti i motivi di impugnazione.

Con il sesto motivo lamenta la violazione di legge per non avere la Corte d’appello posto a fondamento della decisione le prove di cui era stata chiesta l’ammissione, per avere, invece, ammesso prove inammissibili e per avere, in generale, male interpretato le prove raccolte e per avere giudicato senza un adeguato supporto probatorio.

Con il settimo e ottavo motivo lamenta l’applicazione da parte della Corte d’appello di istituti di diritto straniero in tema di diritto d’autore nonchè la violazione degli art. 1 e 2 L.D.A. perchè, nonostante la tutelabilità dei format televisivi, li abbia ritenuti in concreto privi di protezione e liberamente appropriatali e abbia senza adeguata motivazione escluso il plagio e rigettato le istanze istruttorie.

Con il nono ed il decimo motivo ripropone il vizio di motivazione sull’assenza del plagio e sul rigetto delle istanze istruttorie ,in particolare, quella di visionare le videoregistrazioni.

Con l’undicesimo ed il dodicesimo motivo la ricorrente lamenta sotto diversi profili il mancato riconoscimento della responsabilità ex art. 1218 c.c. dei sottoscrittori degli accordi di confidenzialità presenti in giudizio per avere permesso l’acquisizione e l’illegittimo sfruttamento economico dei format.

Con il tredicesimo ed il quattordicesimo motivo si duole del rigetto della domanda subordinata di indebito arricchimento.

La RTI con il ricorso incidentale condizionato lamenta l’omessa valutazione circa l’originalità del format.

I ricorsi vanno riuniti ex art 335 c.p.c..

Venendo all’esame del ricorso principale, con il primo motivo viene chiesto che si dichiari la nullità della sentenza impugnata per vizio riguardante la costituzione del giudice poichè nella epigrafe della sentenza impugnata risulterebbe, quale componente il collegio al momento della decisione, il consigliere C.M., precedentemente astenutosi all’udienza di precisazione delle conclusioni del 10 febbraio 2009.

Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto che l’indicazione, nell’intestazione della sentenza, del nome di magistrato diverso da quelli componenti il collegio dinanzi al quale la causa è stata discussa e che ha trattenuto la causa in decisione, va ascritta ad un mero errore materiale, come tale non comportante la nullità della sentenza, ma suscettibile di correzione ai sensi dell’art. 287 cod. proc. civ., considerato che detta intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale di udienza, e che, in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati in tale verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza stessa, (ex plurimis Cass. 26372/07;

Cass. 9662/06; Cass. 6564/06; Cass. sez un 118/99).

Altrettanto deve dirsi per quanto concerne il secondo motivo con cui la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per la omessa trascrizione delle conclusioni di essa appellante.

Questo Corte ha infatti già avuto occasione di chiarire che la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una semplice irregolarità formale irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perchè siffatta omissione od incompletezza possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso di averne comportato o una omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati.(Cass 12991/06Cass 209/07;Cass 4208/07).

Alla luce di siffatto principio la ricorrente non ha espressamente lamentato che a causa di detta mancata trascrizione vi siano state delle omissioni o dei vizi motivazionali, onde nessun vizio invalidante può ritenersi verificato.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, la nullità della sentenza per avere riportato in modo inadeguato il contenuto delle domande delle parti, nonchè per violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato essendosi pronunciato su (OMISSIS) anzichè su (OMISSIS).

Le due censure possono essere esaminate congiuntamente e le stesse si rivelano in parte inammissibili ed in parte infondate.

Quanto alla prima ,vale quanto già appena esposto in occasione dell’esame del secondo motivo.

Quanto alla seconda doglianza, la ricorrente riporta il testo della sentenza di primo grado laddove si fa erroneamente riferimento ai format (OMISSIS) invece di (OMISSIS).

La pronuncia di primo grado non risulta, peraltro, essere stata oggetto di impugnazione sul punto da parte della ricorrente, onde la censura proposta ora avverso la sentenza di appello, che – a dire della ricorrente – ha riproposto il medesimo errore, non appare ammissibile.

La doglianza in esame è comunque infondata.

La sentenza impugnata fa infatti un esplicito riferimento al format (OMISSIS) di cui esamina compiutamente il contenuto e non può dunque dirsi che la pronuncia non abbia riguardato il detto format.

Quanto al lamentato esame del format le Iene in luogo di quello delle Iene show, si rileva che la sentenza impugnata è incorsa in un mero errore materiale di citazione. Risulta infatti dalla sentenza di primo grado, riportata integralmente nel ricorso, che il format le (OMISSIS) prevedeva “l’uso di video sui tic e la fisiognomica di personaggi d’attualità, l’intervento di un presunto mago nella trasmissione ed una rassegna stampa paradossale in chiusura”.

A sua volta la sentenza di secondo grado, nell’esaminare il format le Iene, rileva anche in questo caso l’esistenza di un mago, di una rassegna stampa e di un professore di fisiognomica. Il che lascia intendere che il realtà, a prescindere dal nome attribuito al format (il cui errore darebbe come detto semmai luogo ad un errore materiale), la Corte d’appello ha fatto oggetto della propria decisione proprio il format esatto e, del resto, il giudice di merito ha necessariamente effettuato le proprie valutazioni in base al materiale probatorio fornito dalla parte che deve necessariamente presumersi corrispondere a quello relativo ai format di cui si lamentava il plagio.

Del resto la ricorrente, al di là del puro dato nominalistico, non ha in alcun modo dedotto che in realtà la Corte d’appello abbia posto alla base della decisione un format anzichè un altro ed in ogni caso avrebbe dovuto con il motivo in esame addurre argomenti concreti per dimostrare il proprio assunto; dato che invece non si rinviene in alcun modo nel motivo in esame.

Venendo all’esame del quarto motivo, con cui si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di concorrenza sleale si osserva che la sentenza impugnata fa espresso accenno al motivo di appello concernente il rigetto della domanda sleale.

Il motivo è stato preso in considerazione dunque dalla Corte d’appello che però non si è pronunciata sul punto.

Nel caso in esame la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, ha già affermato che alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. 2313/10, Cass 5139/11).

Nel caso di specie, poichè la questione posta non necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il Collegio ritiene di delibare il motivo rilevandone l’infondatezza.

La costante giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che la concorrenza sleale è fattispecie propria dei soggetti del mercato in concorrenza, perciò il rapporto di concorrenzialità costituisce il presupposto della sua configurabilità concorrenza e non è configurabile, pertanto, ove manchi tale presupposto soggettivo, anche se non occorre, come risulta dalla lettera dell’art. 2598 c.c., n. 3, che l’atto di concorrenza sia posto in essere direttamente dall’impresa concorrente (Cass 17459/07;Cass 6117/06; Cass 37071/03; Cass 5375/01; Cass. 18 dicembre 1991, n. 13623; Cass. 15 marzo 1985, n. 2018; Cass. 16 aprile 1983, n. 2364).

I requisiti per l’ipotizzabilità della concorrenza sleale sono dunque la natura di imprenditori delle parti e l’esistenza di un rapporto di concorrenza.

Nel caso di specie, non rivestendo l’autore di un opera la qualità d’imprenditore, deve escludersi possano essersi verificati atti di concorrenza sleale.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia il vizio di omessa pronunzia sul motivo di appello afferente il mancato accoglimento dell’istanza di esibizione delle puntate delle trasmissioni asserite plagiate nonchè la nullità della sentenza per non avere riportato tutti i motivi di impugnazione.

Quanto alla prima doglianza, la stessa è infondata.

Invero nella parte narrativa della sentenza impugnata si da atto che l’appellante aveva concluso per l’accoglimento delle proprie pretese con l’espletamento degli indicati mezzi istruttori.

Ciò sta a significare che la Corte d’appello aveva contezza del motivo di impugnazione e la mancanza di menzione di esso nella parte motiva sta a significare che la doglianza è stata implicitamente rigettata in base alla ritenuta superfluità della prova di acquisizione della registrazione delle trasmissioni sulla base di quanto già ritenuto dal giudice di prime cure.

In tal senso questa Corte ha già avuto occasione di affermare che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass 16499/09), potendosi al riguardo dedursi la superfluità dei mezzi non ammessi in via implicita dal complesso delle argomentazioni contenute nella sentenza. (Cass 14611/05; Cass 6570/04).

La seconda doglianza è ripetitiva di quella avanzata con il secondo motivo di ricorso ed è per le stesse ragioni infondata.

Il sesto motivo lamenta la violazione di legge per non avere la Corte d’appello posto a fondamento della decisione le prove di cui era stata chiesta l’ammissione, per avere, invece, ammesso prove inammissibili e per avere male interpretato le prove raccolte nonchè per avere giudicato senza un adeguato supporto probatorio.

In particolare, con alcune doglianze ci si duole del rigetto della istanza di esibizione delle trasmissioni da parte della RTI nonchè dell’ordine di esibizione dei titoli d’acquisto del format Tacchi a spillo e dei contratti dei singoli autori ed ideatori dei format.

Tali doglianze sono inammissibili.

Il provvedimento di cui all’art. 210 cod. proc. civ. è espressione di una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, che non è tenuto ad indicare le ragioni per le quali ritiene di avvalersi, o no, del relativo potere, il cui mancato esercizio non può, quindi, formare oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione. (ex plurimis da ultimo cass 22196/10).

Il fatto dunque che la Corte d’appello, a prescindere dalla proponibilità o meno in sede di appello di tali istanze, le abbia implicitamente rigettate non risulta scrutinabile in questa sede di legittimità.

Nè vi è stata violazione dell’art. 115 c.p.c. poichè tale articolo prevede che “il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti”, ma questo non vuoi dire che il giudice deve ammettere qualunque mezzo istruttorio richiesto dalle parti, onde la norma va interpretata nel senso che il giudice deve porre a base della propria decisione le prove fornite dalle parti o acquisite a seguito dei mezzi istruttori richiesti dalle stesse e regolarmente ammessi.

Nel caso di specie non si rinviene neppure violazione dell’art. 156 bis l.d.a poichè ad esso vanno applicati gli stessi principi stabiliti per l’art. 210 c.p.c., poichè spetta comunque al giudice il potere e la facoltà di valutare la rilevanza e la pertinenza dei documenti di cui si chiede l’esibizione.

Nel caso di specie non si rileva poi violazione dell’art. 116 c.p.c. poichè l’asserita estraneità al giudizio delle prove prodotte dalla RTI costituisce una valutazione della parte che non ha fatto oggetto di specifica domanda nè di specifico accertamento da parte del giudice di merito, si tratta dunque di una semplice asserzione che non trova riscontro in alcun dato processuale.

Infondata è la doglianza relativa alla mancata traduzione in lingua italiana del contratto depositato.

La giurisprudenza di questa corte ha ripetutamente affermato che il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art. 122 cod. proc. civ., si riferisce agli atti processuali in senso proprio (tra i quali, i provvedimenti del giudice e gli atti dei suoi ausiliari, gli atti introduttivi del giudizio, le comparse e le istanze difensive, i verbali di causa) e non anche ai documenti esibiti dalle parti, onde, quando siffatti documenti risultino redatti in lingua straniera, il giudice stesso, ai sensi dell’art. 123 cod. proc. civ., ha la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, della quale, può farsi a meno allorchè le medesime parti siano concordi sul significato delle espressioni contenute nel documento prodotto ovvero tale documento sia accompagnato da una traduzione che, allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, non sia stata oggetto di specifiche contestazioni della parte avversa. (Cass 27593/06Cass 19756/05). Nel caso di specie il fatto che il giudice abbia disposto la traduzione del documento, poi non più effettuata, deve intendersi come un dato non vincolante avendo implicitamente il giudice revocato l’ordine di traduzione e non essendo del resto sorte contestazioni circa la comprensione del contratto in questione.

Inammissibile è altresì la doglianza che si riferisce alla mancata ammissione della CTU. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice. (Cass. 4060/06). Nella specie, l’inammissibilità della relativa censura prospettata dai ricorrenti circa la mancata ammissione della c.t.u., risulta implicitamente dalla motivazione della sentenza da cui emerge che, nel caso in esame, non si trattava tanto di valutare una questione per la quale era necessario il possesso di particolari cognizioni tecniche, ma di esporre un apprezzamento giuridico della esistenza del plagio alla luce degli elementi probatori già acquisiti.

Con il settimo e ottavo motivo la ricorrente lamenta l’applicazione da parte della Corte d’appello di istituti di diritto straniero in tema di diritto d’autore nonchè la violazione degli art. 1 e 2 L.D.A. perchè, nonostante la tutelabilità dei format televisivi, ha ritenuto quelli di proprietà di essa ricorrente privi di protezione e liberamente appropriagli e per avere senza adeguata motivazione escluso il plagio e rigettato le istanze istruttorie. Il motivo è per certi versi infondato e per altri inammissibile.

Le censure mosse alla decisione impugnata si incentrano prevalentemente sul fatto che questa avrebbe deciso la fattispecie in esame avvalendosi di norme di ordinamenti stranieri e, in particolare, facendo applicazione dei principi propri del copyright anzichè di quelli del diritto d’autore nonchè a giurisprudenza e dottrina straniera.

La censura non coglie in alcun modo la ratio decidendi della sentenza e si basa su una interpretazione di quest’ultima che non trova alcun riscontro nella realtà.

La sentenza impugnata nei suoi diversi passaggi ha dapprima rilevato che il giudice di prime cure non aveva escluso aprioristicamente la tutelabilità dei format come opere dell’ingegno ma aveva semplicemente affermato “che gli stessi godono del “copyright” solo se dotati di compiutezza espressiva rispetto alle idee racchiuse nello schema del programma i cui elementi compositivi definitivamente esteriorizzati, non possono essere facilmente sostituiti senza rischio di alterazione dell’esito complessivo del programma e della sua identità”.

La Corte d’appello ,dunque, in questo passaggio motivazionale si è limitata a riferire le argomentazioni del giudice di primo grado ed è di tutta evidenza che ha fatto riferimento al termine copyright come espressione alternativa di diritto d’autore. E’ ben vero che le due definizioni sottendono principi diversi , ma nel caso di specie si è chiaramente trattato dell’uso improprio di un termine per far riferimento al diritto d’autore come si evince, tra l’altro, dalla frase successiva ove si afferma che l’affermazione della sentenza di primo grado è conforme alla costante giurisprudenza di legittimità in riferimento alla Legge sul diritto d’autore, art. 2. Del resto anche la ricorrente è incorsa in siffatto uso improprio quando nel quesito relativo al tredicesimo e al quattordicesimo motivo (pg.103 del ricorso) formula la seguente frase “in presenza di azione tipica infondata per l’assenza di lesione del copyright”.

In un secondo passaggio la Corte d’appello ha argomentato che per aversi plagio o contraffazione del format è necessaria” la riproduzione del programma nella sua struttura complessiva o, quantomeno, nei suoi elementi significativi, mentre l’appropriazione di singoli spunti o idee non tutelati dal copyright non può essere considerata illecita. Si tratta di un principio di diritto già affermato dalla giurisprudenza straniera (Corte Suprema dell’Afa nel caso Big bang- broche – Survivor) che appare conforme alla disciplina italiana del diritto d’autore”.

Ancora una volta l’uso del termine copyright è evidentemente avvenuto a titolo di sinonimo (improprio) di diritto d’autore e il richiamo alla giurisprudenza olandese è avvenuto a titolo meramente esemplificativo, del tutto privo di valenza decisoria, al solo fine di dire che il principio affermato in quel paese era conforme alla disciplina italiana del diritto d’autore, senza che da ciò discendesse evidentemente alcuna conseguenza ai fini della decisione adottata.

Del resto la normativa del diritto d’autore è ormai fortemente comunitarizzata, per cui le legislazioni degli Stati membri della UE sono in molti aspetti uniformi e si rifanno tutte ai medesimi principi, per cui appare certamente accettabile che una decisione di un giudice italiano riporti a titolo esemplificativo ed informativo decisioni di giudici dei paesi UE al solo fine di evidenziare che certi principi trovano applicazione uniforme nell’ambito della Unione europea senza che da ciò possa discendere un carattere di precedente o esplicare qualunque rilevanza ai fini della decisione sostituendo all’applicazione della normativa italiana quella straniera.

Non mette neppure conto di far riferimento al termine weak patents usato ancora nella sentenza poichè tale termine inglese è stato usato soltanto per spiegare il concetto che i format sono combinazioni di elementi singolarmente presi privi di protezione.

In conclusione, nessuna applicazione di normativa straniera è stata effettuata dalla sentenza impugnata che ,quindi, in alcun modo ha violato la legge sul diritto d’autore.

La questione della non tutelabilità di singoli parti del format è proposta anche con i motivi nono e decimo e verrà esaminata qui di seguito unitamente a tali motivi.

Questi ultimi contengono diverse doglianze.

In primo luogo ripropongono il vizio di motivazione sull’assenza del plagio e sul rigetto delle istanze istruttorie in particolare quella di esibizione delle videoregistrazioni delle trasmissioni della controparte. Tale seconda doglianza sul rigetto delle istanze istruttorie è già stata oggetto decisione in occasione dell’esame del sesto motivo di ricorso e si rimanda quindi a quanto in precedenza esposto. Circa la prima doglianza l’argomentazione in punto di diritto si fonda sul fatto che, avendo la Corte d’appello riconosciuto al tutelabilità in quanto opere dell’ingegno dei format per cui è causa, la stessa non poteva escludere poi il plagio rilevando che ad essere ripresi nei programmi che si assumevano plagiati erano solo alcuni punti non significativi nè qualificanti dei format. La protezione secondo la ricorrente doveva infatti estendersi ad ogni componente del format. L’assunto è erroneo.

Va preliminarmente rammentato che questa Corte ha già riconosciuto l’astratta tutelabilità dei format qualora in essi siano riscontrabili la condizione della creatività di cui alla Legge sul diritto d’autore, art. 1 (vedi Cass. 3817/10), dovendosi a tale proposito rilevare che il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la norma L. n. 633 del 1941, ex art. 1 non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della Legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perchè l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia (Cass. 2 dicembre 1993, n. 11953; Cass. 12 marzo 2004, n. 5089Cass 20925/05).

La pronuncia della Corte d’appello, nel riconoscere la tutelabilità dei format per cui è causa, avendo in fatto riscontrato la sussistenza del loro carattere creativo , appare quindi conforme all’orientamento già espresso da questa Corte.

La Corte di merito , però ,dopo un circostanziato esame delle caratteristiche dei format creati dalla ricorrente ed un confronto con quelli che si assumono costituire plagio, ha osservato che questi riprendevano solo alcuni aspetti non rilevanti dei primi e che ciò faceva escludere la realizzazione del plagio.

Tale valutazione appare corretta in linea di diritto.

Va osservato infatti che la creatività, la quale, nell’ambito di tali opere dell’ingegno, non è costituita dall’idea di per sè, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere d’autore, come è ovvio nelle opere degli artisti, le quali tuttavia sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione. (Cass 15943/04; Cass 20925/05).

In altri termini, a titolo di esempio, è ben possibile che opere pittoriche ritraggano lo stesso soggetto, ma le diverse modalità con cui questo viene ritratto rendono ciascuna opera frutto della creatività individuale di ciascun artista per cui ognuna è suscettibile di autonoma protezione . Analogamente ,è possibile che un opera si ispiri, ovviamente in modo non pedissequo, ad elementi della trama od a parti del contenuto di altra opera, ma la diversa espressione con cui la prima viene rappresentata ne fa escludere la contraffazione della seconda. Parimenti è possibile che un opera riprenda un particolare non significativo, secondario e minore di altra opera per trasformarlo ed inserirlo in un contesto del tutto diverso senza che in tal caso possa ritenersi sussistente alcuna contraffazione proprio perchè la diversità con cui l’idea viene espressa non costituisce violazione del diritto di un altro autore.

Questa Corte del resto ha già avuto modo di chiarire che ” si ha violazione dell’esclusiva non solo quando l’opera è copiata integralmente (riproduzione abusiva in senso stretto); ma anche quando si ha contraffazione dell’opera precedente, contraffazione la quale implica delle differenze oltre che delle somiglianze. Ora, quando si tratta di valutare se c’è o no contraffazione non è determinante, per negarla, l’esistenza di differenze di dettaglio:

ciò che conta è se i tratti essenziali che caratterizzano l’opera anteriore sono riconoscibili nell’opera successiva ” (Cass 7077/90).

Deve conseguentemente escludersi la contraffazione quando vengono ripresi elementi secondari o di dettaglio.

Parimenti, non si ha contraffazione quando le rassomiglianze e conformità siano dovute a comune ispirazione da opere precedenti:

quando cioè non l’una è contraffazione dell’altra ma ambedue si ispirano a medesimi precedenti. (Cass 7077/90).

Nel caso di specie, pur in assenza di qualunque definizione a livello normativo che possa costituire un preciso punto di riferimento, può approssimativamente ritenersi (e senza che ciò costituisca alcuna definizione) che il format sia il canovaccio di uno spettacolo nelle articolazioni delle sue fasi sequenziali e tematiche, in cui di volta in volta si inseriscono improvvisazioni costituite dalle prestazioni dei partecipanti allo spettacolo stesso , costituito normalmente da un titolo, una struttura narrativa di base,un apparato scenico e personaggi fissi (v. in senso analogo Cass 3817/10). Va però evidenziato che diversi dei citati elementi costitutivi sono sovente già noti ed in precedenza utilizzati o comunque privi, isolatamente presi, del carattere della creatività ovvero consistono in semplici idee, per cui ciò che determina il carattere creativo dei format in questione è la presenza tra detti caratteri di alcuni del tutto originali, che informano di essi l’intero format, ovvero la particolare e nuova combinazione degli stessi per cui il format presenta caratteri tali di novità ed originalità che possano farlo ritenere una opera frutto di creatività autonoma.

Ciò fa sì che ,come correttamente osservato dalla Corte d’appello, la riproduzione di particolari non significativi o già noti o che rappresentano delle semplici idee diversamente rappresentate, non può comportare contraffazione dell’intero format.

L’accertamento del carattere di creatività di un format nel senso dianzi specificato costituisce un apprezzamento di fatto del giudice di merito, le cui conclusioni possono essere sindacate in sede di legittimità soltanto per vizio della (si vedano tra le altre, in argomento Cass 581/07Cass. 27-10-2005, n. 20925, e Cass. 2-12-1993, n. 11953;Cass. 10 marzo 1994, n. 2345).

Nel caso di specie, il giudice di seconde cure, dopo avere esaminato il contenuto dei programmi (OMISSIS) ha rilevato che ” in concreto, per quanto riguarda il programma le (OMISSIS), il collegamento tra il personaggio della ragazza svampita e ignorante, del tutto privo di originalità, e quello dell’esperta di cabala appare inesistente. La presenza fissa di uno sketch con protagonista una mago e di una rubrica di rassegna stampa, genericamente definita sui generis, così come un allestimento scenico, richiamante lo studio di un telegiornale, disordinato e con oggetti incongrui, sono comuni a moltissimi programmi televisivi e non caratterizzanti. Unico elemento identificabile del “format” che, sulla base delle deduzioni dell’appellante appare ripreso dal programma Le (OMISSIS) è quella del professore di fisiognomica che analizza le espressioni di personaggi noti. Anche in questo caso si tratta di una mera idea, peraltro non nuova, liberamente appropriabile.

Esaminando quanto dedotto dall’appellante in relazione al programma (OMISSIS) emerge, anche in questo caso, che le lamentate appropriazioni riguardano singole idee, prive di originalità. Si tratta in particolare dell’utilizzo dei provini di casting, di video autopromozionali, dell’utilizzo di pedane girevoli per la presentazione dei concorrenti con indicazione delle loro caratteristiche di notorio e comunissimo uso nei programmi televisivi”.

La Corte d’appello ha fornito in conclusione una valutazione sintetica, ma anche sufficientemente analitica, che appare assolutamente adeguata e corretta non essendo necessario precedere ad esami dettagliati sulla qualità e quantità di tutte le conformità e le difformità che la seconda opera presenta rispetto alla prima.

(Cass 7077/90).

In particolare, corretta appare sotto il profilo giuridico la motivazione laddove rileva che i diversi elementi dei format creati dalla ricorrente che appaiono ripresi nei programmi (OMISSIS) sono comuni a svariate altre trasmissioni televisive onde gli stessi non presentano alcun carattere di creatività.

Le censure che la ricorrente muove a tale motivazione tendono a fornire una diversa ricostruzione in fatto rispetto a quella effettuata dal giudice di merito e, come tali, non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

In effetti, la ricorrente,deducendo vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia riesamina in modo analitico i singoli elementi dei diversi format oggetto di giudizio ed, in tal modo, censura la complessiva valutazione delle risultanze processuali compiuta dai giudici di appello a cui contrappone una sua diversa interpretazione, così mirando alla revisione da parte della Corte di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 8 maggio 2000, n. 5806; 20 novembre 2003, n. 17651; 12 agosto 2004, n. 15675Cass 7972/07).

Assume rilievo a tale riguardo il principio, più volte affermato da questa Corte, e pienamente condiviso dal Collegio, che i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (Cass. 25 agosto 2003, n. 12467), o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta (Cass. 4 giugno 2001, n. 7476) o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass 7972/07;Cass. 7 agosto 2003, n. 11918).

Non sussiste, infine, alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., perchè è ben vero che spetta a chi fa valere un diritto fornire la prova della esistenza dello stesso e nel caso di specie ciò è avvenuto tramite il deposito della documentazione SIAE, ma è altresì vero che spetta al giudice, a prescindere da qualunque eccezione e prova contraria di controparte, valutare se le prove fornite dall’attore sia tali da dimostrare l’esistenza del diritto fatto valere.

Con l’undicesimo ed il dodicesimo motivo la ricorrente lamenta sotto diversi profili il mancato riconoscimento della responsabilità ex art. 1218 c.c. dei sottoscrittori degli accordi di confidenzialità presenti in giudizio per avere permesso l’acquisizione e l’illegittimo sfruttamento economico dei format. I motivi sono inammissibili.

La Corte d’appello ha dichiarato l’assorbimento di tutte le censure riguardanti le predette parti.

Accertato quanto sopra, va rammentato che la sentenza di appello assorbe e sostituisce quella di primo grado, sicchè la portata della pronuncia confermativa va desunta dai limiti fissati dalla nuova motivazione (Cass. sez un 6706/93; Cass. 2271/03). Ciò posto, questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che la declaratoria di assorbimento di una questione, , non da luogo ad alcuna decisione sul merito della questione assorbita, bensì ad una pronuncia di mero rito: quella dichiarativa appunto dell’assorbimento (Cass 10545/08), con la conseguenza ulteriore che le questioni decise non si possono considerare decise e che possono essere riproposte in separato giudizio (Cass 2506/62; Cass 1364/63,Cass 542/78).

Alla luce di tale giurisprudenza, i motivi di ricorso avrebbero dovuto esclusivamente censurare la ritenuta sussistenza di ragioni per procedere all’assorbimento, costituente il presupposto per la pronuncia in rito di assorbimento. Nulla di tutto ciò si rinviene invece nei due motivi in esame ove vengono proposte delle censure che riguardano una ipotetica e mai pronunciata decisione di rigetto della domanda di responsabilità.

Il tredicesimo ed il quattordicesimo motivo di ricorso contestano il mancato riconoscimento della fondatezza dell’azione ex art. 2041 c.c.. I motivi sono inammissibili.

La Corte d’appello, come già in precedenza chiarito, ha riconosciuto che i format della ricorrente erano tutelabili quali opere ai sensi della Legge sul diritto d’autore e, dunque, gli stessi dispongono già di una tutela prevista dalla legge. Il fatto che nel caso di specie non si sia riscontrata una violazione del diritto d’autore spettante alla ricorrente non vuol dire che possa farsi valere una protezione sussidiaria che, per nessuno strumento di tutela è approntato dalla legge, basta a tale proposito ricordare il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte che ha ribadito che l’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorchè chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. (Cass 28042/08).

Il motivo di ricorso incidentale condizionato risulta assorbito.

In conclusione dunque il ricorso principale va rigettato, assorbito l’incidentale.

La novità e la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2011

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