Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13248 del 28/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13248 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 17007-2010 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. 01585570581, già
FERROVIE DELLO STATO, SOCIETA’ DI TRASPORTI E
SERVIZI, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G.
FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA
2013
1457

ARTURO, che la rappresenta e difende, giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

MALASPINA FABIO DOMENICO MLSFDM71M29H224R, MARINO

Data pubblicazione: 28/05/2013

PAOLO

VELARDO

MRNPLA55B04H224U,

SANTO

VLASNT66L26A552V, FEDELE GIUSEPPE FDLGPP67C15H224E,
PECORA GIUSEPPE PCRGPP71E02H2240, GATTUSO PIETRO
GTTPTR63C12F112E, MARINO DOMENICO MRNDNC48H2OH224K,
CAMPOLO VINCENZO CMPVCN69H14D877A, SICLARI ANTONINO

CASORIA FABRIZIO CARMELO CSRFRZ270L16H224, CAPRETTI
GIOVANNI ANTONIO CPRGNN64R15H224B, PAVONE PAOLO
PVNPLA70M21H224T,

LA

BARBERA

SALVATORE

LBRSVT67M28H224M, ZAVETTIERI VINCENZO
ZVTVCN61C14H224V, ARCATI EMANUELE RCTMNL62H09G317X,
FERRANTE GIUSEPPE FRRGPP55CO2H224, tutti
elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA ORESTE
TOMMASINI 20, presso lo studio dell’avvocato SALAZAR
MICHELE, che li rappresenta e difende giusta delega
in atti;
– controricorrenti nonchè contro

FERROSER S.R.L.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 246/2010 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 03/03/2010 R.G.N.
907/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/04/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;

SCLNNN64E22H224S, TOSCANO MARIO TSCMRA60P27F112B,

udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA
ARTURO;
udito l’Avvocato SALAZAR MICHELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12 febbraio 2010 la Corte d’Appello di
Reggio Calabria, accogliendo l’appello proposto dai
l’intervenuta violazione del divieto di interposizione di
manodopera, dichiarava che tra la soc. Rete Ferroviaria
Italiana s.p.a. e gli odierni resistenti, tutti formalmente
dipendenti di Ferroser s.r.1., si era costituito un rapporto
di lavoro subordinato con diritto dei prestatori ad essere
inquadrati nei profili professionali equivalenti a quelli per
i quali erano stati assunti da Ferroser s.r.1..
Osservava la Corte di appello, preliminarmente, che la
domanda era stata respinta in primo grado sul rilievo che non
era stata allegata dai ricorrenti la data di assunzione
presso l’impresa appaltatrice, ma tale soluzione non poteva
condividersi, trattandosi di circostanza non specificamente
contestata e comunque desumibile dalle buste paga prodotte.
Ciò premesso, osservava che non è lecito l’appalto il cui
oggetto consista nel mettere a disposizione del committente
una prestazione lavorativa lasciando all’appaltatore i soli
compiti di gestione amministrativa del rapporto, senza una
reale organizzazione della prestazione finalizzata ad un
risultato lavorativo autonomo. Nella fattispecie,
dipendenti della Ferroser, quali addetti alla manutenzione
degli accumulatori delle batterie, avevano eseguito precise
disposizioni impartite dal personale ferroviario; la società
committente era proprietaria del materiale, dei locali e
dell’area dove si svolgevano i lavori, dei carrelli
utilizzati per il trasporto, mentre la Ferrofer aveva curato
solo la gestione amministrativa del personale, fornendo il

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lavoratori avverso al pronuncia di prime cure, riscontrata

vestiario, stabilendo i turni di lavoro e provvedendo alle
eventuali sostituzioni, all’organizzazione delle ferie e dei
permessi; alla ditta appaltatrice erano pure segnalate dal
personale ferroviario le eventuali inadempienze dei
committente non risaliva un mero controllo estrinseco e
globale sulla regolarità dell’esecuzione dell’appalto, ma la
vera e propria direzione minuziosa e in via esclusiva della
manodopera fornita dall’appaltatrice.
Osservava la Corte di appello che non poteva trovare
accoglimento l’eccezione di prescrizione dell’azione diretta
a far valere la natura subordinata del rapporto di lavoro,
riproposta in appello da R.F.I. s.p.a., stante
l’imprescrittibilità dell’azione diretta fare accertare la
violazione del divieto di interposizione illecita di
manodopera.
Avverso tale sentenza Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. ha
proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.
Gli intimati lavoratori resistono con controricorso,
illustrato altresì con memoria.
La soc. Ferroser è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione
degli artt. 99, 112 e 414 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, per avere i giudici di
appello violato il principio dell’allegazione, desumendo
dalle buste paga i dati relativi alle assunzioni – la cui
carenza aveva giustificato il rigetto della domanda in primo
grado – e così utilizzando le prove per integrare le lacunose
allegazioni in fatto del ricorso introduttivo.

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dipendenti ai fini disciplinari. In conclusione alla società

Il motivo è inammissibile,

fondandosi la sentenza

impugnata su due, concorrenti e autonome

rationes decidendi,

delle quali solo la seconda è stata censurata, ben potendo la
prima sostenere validamente la soluzione adottata.
incidentalmente, ma con chiara valenza di argomento avente
priorità logica – allude alla non contestazione, da parte
convenuta in primo grado, della circostanza che i ricorrenti
fossero – all’epoca dei fatti dedotti in giudizio formalmente dipendenti dalla Ferroser e che lo fossero già al
momento di inizio della loro prestazione presso la soc.
Ferrovie dello Stato, come pure durante l’esecuzione del
rapporto di lavoro e fino all’introduzione del giudizio. La
seconda

ratio decidendi

assume – nel complessivo contesto

argomentativo – significato di una diversa soluzione,
nell’ipotesi in cui non si ritenga di accogliere la prima.
La sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver
aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga
anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione
anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non
incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il
quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti
confluenti nella stessa

ratio decidendi.

Detta sentenza,

invece, configura una pronuncia basata su due distinte
rationes decidendi,

ciascuna di per sé sufficiente a

sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere
del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di
inammissibilità del ricorso (Cass. 13 luglio 2005 n. 14740;
12 marzo 2010 n. 6045; v. pure S.U. 8 agosto 2005 n. 16602).
Nel caso in esame, soltanto la seconda ha formato oggetto
di ricorso da parte della soc. Rete Ferroviaria Italiana, che

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Il primo ordine di considerazioni – sebbene formulato

ha opposto l’inidoneità della prova a supplire la carenza di
allegazioni, non muovendo alcun rilievo alla considerazione
svolta dal giudice di appello che i ricorrenti, per tutto il
periodo di esecuzione dell’appalto come dedotto in giudizio,
erroneamente la domanda fosse stata respinta in primo grado
sulla base dell’erroneo convincimento della insussistenza di
un presupposto di fatto invece incontroverso.
Con il secondo e il terzo motivo la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. l legge n.
1369/1960 e vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.)
per avere la Corte di appello asserito, senza dare conto
delle fonti di prova da cui aveva tratto il proprio
convincimento, che la società committente “dirigeva
minuziosamente” il personale della ditta appaltatrice; che il
materiale veniva prelevato “su precise disposizioni del
personale dipendente dall’ente ferroviario”; che la soc.
Ferrovie dello Stato, “lungi dall’espletare un mero controllo
estrinseco e globale sulla regolarità dell’esecuzione
dell’appalto”, si ingeriva nella gestione del rapporto di
lavoro dei dipendenti Ferroser; che nessuna spiegazione era
stata fornita dal giudice di appello circa il fondamento di
tali asserzioni, sulle quali la motivazione era del tutto
carente, se non addirittura assente.
I motivi sono infondati.
Preliminarmente,

non

esiste

il

denunciato

vizio

motivazionale, avendo la Corte territoriale più volte
rimarcato di avere tratto il proprio convincimento dalle
risultanze della prova testimoniale, da cui erano emerse le
circostanze di volta in volta riportate e sintetizzate in
sentenza. Sono state dunque menzionate le fonti di prova, il

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fossero dipendenti della società appaltatrice e che

cui contenuto è stato riportato nei suoi termini essenziali,
funzionale alla decisione da assumere. N4 una analitica
trascrizione delle deposizioni è richiesta ai fini
sufficiente.
L’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. conferisce alla Corte di
Cassazione il potere di controllare, sotto il profilo logico
– formale e della correttezza giuridica, l’esame e la
valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto
spetta individuare le fonti del proprio convincimento e,
all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e
la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Tale principio, tuttavia, non impone affatto che l’obbligo di
motivazione debba estrinsecarsi in maniera standardizzata con
l’indicazione della specifica individuazione delle fonti
probatorie ritenute idonee a suffragare la ricostruzione
operata dal giudice, potendo egli attestare di aver compiuto
le predette operazioni con una formula sintetica. La parte,
pertanto, può attivare il controllo di legittimità solo se
adempiendo al suo onere di riscontro dell’esistenza di una
relazione di coerenza fra convincimento del giudice e fonti
probatorie denunci, in maniera specifica, le ragioni
dell’inesistenza di tale coerenza. In assenza di tale
denuncia non può imputarsi alcun difetto di motivazione al
giudice di merito che abbia fatto ricorso alla formula
sintetica secondo cui “i fatti sono emersi dall’istruttoria
documentale e testimoniale”, giacché, in assenza di tali
indicazioni, la denuncia non si appaleserebbe sorretta da una
concreta lesione subita dalla parte, ma solo diretta a

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dell’assolvimento dell’onere di esprimere una motivazione

caducare la decisione per ragioni meramente formali (Cass. n.
13747 del 2004).
In punto di diritto, la Corte di appello ha applicato le
disposizioni di legge in senso del tutto conforme ai
Corte, proprio con riguardo alla società ricorrente, per
distinguere nell’ambito degli appalti “endoaziendali” caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di
tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al
complessivo ciclo produttivo del committente – le fattispecie
lecite dalle ipotesi di illegittima interposizione di
manodopera.
La Corte territoriale ha osservato che era stata violata la
L. 23 ottobre 1960, n. 1369, difettando qualsiasi carattere
di autonomia gestionale da parte della Ferroser, la quale nella concreta attuazione dell’obbligazione assunta verso
l’appaltante – si era limitata a provvedere alla gestione
amministrativa del rapporto di lavoro dei dipendenti, senza
alcuna effetiva e sostanziale ingerenza circa le modalità
esecutive della prestazione lavorativa .
Con specifico riferimento alle Ferrovie dello Stato, questa
Corte, con molteplici pronunce (cfr., fra le tante, Cass. n.
14302/2002 e, più recentemente, Cass. nn. 6215, 7194 e 24625
del 2009, nn. 3681 e 8454 del 2010) ha già avuto modo di
affermare che il divieto di intermediazione ed interposizione
nelle prestazioni di lavoro (ai sensi della L. n. 1369 del
1960, art. 1), in riferimento agli appalti “endoaziendali”,
caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di
tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al
complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le
volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del

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consolidati principi affermati da molto tempo da questa

committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo
all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione
amministrativa del rapporto (quali retribuzione,
pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità
reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad
un risultato produttivo autonomo.
A tale pienamente condivisibile orientamento ermeneutico,
da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, si è
sostanzialmente attenuta la sentenza impugnata la quale ha
accertato che i dipendenti della Ferroser provvedevano a
prelevare le batterie da collocare sulle vetture ferroviarie
su precise disposizioni del personale F.S.; che il controllo
della corretta esecuzione del lavoro competeva parimenti al
personale di Ferrovie dello Stato, mentre la Ferroser curava
solo la gestione amministrativa del personale (fornitura del
vestiario, organizzazione dei turni di lavoro e delle
sostituzioni dei lavoratori assenti, organizzazione delle
ferie e dei permessi); il potere disciplinare, seppure
esercitato dalla società appaltatrice, era avviato su
segnalazione proveniente dalla committente.
La Corte territoriale, valutando le prove acquisite in
modo adeguato e congruo (per le ragioni già dette), con
esposizione coerente ed immune da vizi logici, ha così
ritenuto integrata la fattispecie dell’illecita
interposizione nella prestazione lavorativa, vietata dal
ridetto L. n. 1369 del 1960, art. l, applicabile

ratione

temporis, ancorché attualmente abrogata.
Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa
applicazione degli art. 2946 e 2948 c.c. per avere la Corte
di appello respinto, insieme all’eccezione di prescrizione

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della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una

decennale dei diritti derivanti dalla qualificazione del
rapporto di lavoro, altresì quella quinquennale relativa ai
crediti retributivi consequenziali alla conversione legale
ex tunc del rapporto medesimo.
di appello, per l’ipotesi che la pronuncia di appello si
interpreti come limitata alla sola prescrizione dei diritti
connessi alla sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato alle dipendenze di R.F.I.: si denuncia error in
procedendo

(art. 360 cod. proc. civ., n.4) per omessa

pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.) in ordine alla
prescrizione quinquennale dei crediti sorti antecedentemente
al quinquennio dalla notifica del ricorso, avvenuta il
24.5.2003.
I motivi sono entrambi inammissibili.
Il quarto motivo allude ad una decisione di rigetto
dell’eccezione di prescrizione (quinquennale) dei crediti,
laddove nessuna decisione – neppure implicita – è dato
rinvenire nella sentenza di appello avente ad oggetto
siffatta eccezione; pertanto, il motivo è privo di attinenza
al decisum.

Il quinto motivo, vertente su pronuncia che si

assume omessa in ordine ad eccezione sollevata (rectius,
riproposta) in appello, è inammissibile per difetto di
autosufficienza, il quale deve essere osservato pure nel caso
in cui siano dedotti

errores in procedendo. In tale ipotesi

la Corte di legittimità diviene anche giudice del fatto
(processuale) ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere
direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti
processuali; tuttavia, si prospetta preliminare ad ogni altra
questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in
relazione ai termini in cui è stato esposto, con la

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In alternativa al precedente, si formula il quinto motivo

conseguenza che, solo quando sia stata accertata la
sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare
la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente
nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di
all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 1221 del
2006, conf., da ultimo, Cass. 17 gennaio 2012 n. 539).
Specificamente, l’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. richiede
l’esposizione sommaria dei fatti della causa, la quale è
concretamente richiesta – appunto in virtù del principio
dell’autosufficienza – nei limiti in cui è necessaria (senza
ricorrere ad altre fonti) per consentire di rendersi conto
delle censure sollevate (cfr. Cass. 21 luglio 2004 n. 13550;
conf. Cass. 15 aprile 2005 n. 7863, 29 novembre 2005 n.
26046; S.U. 18 maggio 2006 n. 11653, Cass. 19 ottobre 2006 n.
22385).
In particolare, il ricorso è carente dell’esposizione
dell’iter processuale attraverso il quale l’eccezione di
prescrizione quinquennale dei crediti sarebbe stata proposta
in primo grado e reiterata in appello. Difatti, sebbene
risulti dalla sentenza che la soc. R.f.I. ebbe a proporre
appello incidentale condizionato per riproporre l’eccezione
di prescrizione, questa è da intendersi riferita – in difetto
di ulteriori specificazioni che era onere dell’attuale
ricorrente fornire ex art. 366 cod. proc. civ. – alla sola
eccezione di cui il giudice di appello ha riferito in
sentenza, ossia all’eccezione di prescrizione “dell’azione
diretta ad accertare che fra i lavoratori- attuali parti
appellanti in via principale e la Ferrovie dello Stato s.p.a.
si è a tutti gli effetti instaurato un rapporto di lavoro
subordinato_”.

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cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed

Proprio con riguardo a rapporti di lavoro costituiti in
violazione del divieto d’intermediazione ed interposizione
sancito dall’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, occorre
distinguere l’azione (imprescrittibile) di accertamento della
divieto predetto- dalla questione del decorso o meno, in
pendenza del rapporto, della prescrizione (quinquennale) di
specifici diritti del lavoratore, che deve essere verificata
alla stregua della disciplina applicabile al rapporto in base
alle concrete modalità (anche soggettive) di svolgimento del
rapporto medesimo (cfr. Cass. n. 4551 del 1990). Trattandosi
di questioni giuridiche diverse, non può ritenersi che
nell’eccezione con cui si denuncia (infondatamente) la
prescrizione del diritto all’accertamento della sussistenza e
decorrenza del rapporto subordinato alle dipendenze della
società committente sia inclusa implicitamente l’eccezione di
prescrizione dei crediti derivanti dal rapporto così
qualificato con effetto ex tunc.
A ciò aggiungasi che dalla sentenza impugnata non risulta
che sia stata proposta dai lavoratori nel presente giudizio
alcuna domanda di condanna, neppure generica, al pagamento
delle differenze retributive scaturenti dal riconosciuto
rapporto di lavoro alle dipendenze di Ferrovie dello Stato
s.p.a., ora R.F.I. s.p.a..
In conclusione, il ricorso va respinto.
In considerazione delle alterne vicende del giudizio di
merito, ricorrono giusti motivi per compensare tra R.F.I.
s.p.a. e i lavoratori resistenti le spese di lite del
giudizio di legittimità. Nulla va disposto quanto alle spese
nei confronti di Ferroser s.r.1., rimasta intimata.
P.Q.M.

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nullità del contratto di lavoro stipulato in violazione del

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio
di legittimità. Nulla per le spese nei confronti di Ferroser
s.r.1..
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2013
Il Presidente

Il Consigliere est.

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