Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13246 del 16/06/2011

Cassazione civile sez. I, 16/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 16/06/2011), n.13246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Associazione Temporanea di Imprese ATI – tra le ditte Dott. PARISI

Antonio, in. CLAUSI Benedetto, AZZINARI Eugenio in persona della

capogruppo ditta Antonio PARISI, elett.te domiciliato in ROMA,viale

dei Quattro Venti 162 presso l’avvocato MAGRI Gian Carlo dal quale è

rappresentato e difeso giusta procura a margine del ricorso

ricorrente;

– ricorrente –

contro

Comune di Cariati in persona del Sindaco, elett.te dom.to in Roma via

G. Baglivi 3 presso l’avv. T.F. e rapp.to e difeso

dall’avv. Trento Serafino del Foro di Rossano per procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1474 della Corte d’Appello di Roma depositata

il 23.3.2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12.05.2011 dal Consigliere Dott. MACIOCE Luigi;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato G. C. Magri che ha chiesto

accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato E. Caterina, per delega,

che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con lodo 5.12.2003 il Collegio Arbitrale chiamato a definire controversia tra Ditta A. Parisi, mandataria dell’ATI, e Comune di Cariati in ordine a crediti nascenti da appalto 29.6.1992 per lavori di recupero del centro storico e di emergenze monumentali, condannò il Comune a pagare la somma di Euro 1.350.367 oltre accessori e spese.

Il Comune propose impugnazione innanzi alla Corte di Appello di Roma deducendo l’illegittimità della nomina del Collegio, la mancata attivazione del contraddittorio da parte del Collegio e la violazione delle norme in ordine alla quantificazione del credito. Costituitasi l’ATI, la Corte di Roma, con sentenza 23.3.2006, dichiarò inesistente e nullo il lodo impugnato affermando in motivazione:

1) che anche d’ufficio dovevasi rilevare la carenza di regolare costituzione del Collegio, avendo le parti pattuito la clausola con richiamo volontario alle regole di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962 e quindi alla composizione di cinque membri del collegio nel mentre il collegio stesso si era insediato nella vigenza del D.P.R. n. 554 del 1999 contemplante tre membri; che essendo la ricezione della clausola del capitolato generale meramente volontaria, il suo risultato, di natura convenzionale, era insuscettibile di modificazioni ope legis;

che la questione ben poteva essere rilevata dal giudice dell’impugnazione anche d’ufficio, purchè non preclusa da giudicato, e pertanto dovevasi dichiarare la nullità insanabile del lodo;

2) che nel merito, che si esaminava per mera completezza, era fondata anche la censura afferente la violazione del contraddittorio posto che, effettuato il sopralluogo da parte dell’arbitro delegato, e quand’anche nulla di nuovo fosse all’esito emerso, occorreva dare alle parti termine per interloquire, a nulla rilevando che il Collegio avesse ex post rilevato la superfluità del sopralluogo;

3) che era anche fondato il rilievo sulla nullità della nomina del Presidente, effettuata dalla Camera Arbitrale in base al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 150, comma 3 tale disposizione essendo stata annullata dal Consiglio di Stato con decisione 6335 del 2003; della quale il Comune aveva tempestivamente dichiarato di volersi avvalere (con dichiarazione resa il 28.11.2003).

Per la cassazione di tale sentenza l’ATI ha notificato un primo ricorso il 12.7.2006 contenente tre motivi ed al quale il Comune nel controricorso 28.9.2006 ha opposto l’inammissibilità per difetto dei quesiti di diritto e l’infondatezza nel merito. L’ATI ha quindi rinotificato ricorso in data 4.10.2006 contenente conclusiva formulazione dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c. Entrambe le parti hanno depositato memorie ed i difensori hanno discusso oralmente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Riuniti i ricorsi ex art. 335 c.p.c., si dichiara inammissibile il primo (notificato il 12.7.2006), perchè privo dei quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c. ed ammissibile il secondo, tempestivamente notificato in integrale sostituzione del primo il 4.10.2006 (vd. S.U. e 24762 del 2009 e Cass. 5053 del 2009 e 22957 del 2010). Nè, ad escludere la validità della seconda, tempestiva, impugnazione varrebbe addurre l’irrilevante sua intitolazione quale “ricorso integrativo”, e non “ricorso sostitutivo”, rilevando solo che sia stato proposto un ricorso nella piena osservanza dei requisiti di legge quanto ad esposizione dei fatti ed articolazione delle censure. E detto ricorso effettivamente sostitutivo contiene i quesiti imposti dalle norme applicabili ratione temporis.

Si esaminano quindi dette censure.

Con il primo motivo l’ATI censura la decisione di ritenere viziata la costituzione del Collegio. Afferma al proposito che era arbitrario affermare che la natura pattizia della recezione del D.P.R. n. 1063 del 1962 rendesse la composizione ivi prevista del Collegio indifferente al sopravvenuto D.P.R. n. 554 del 1999, che la questione non poteva essere rilevata d’ufficio ma, attenendo alla composizione del Collegio, doveva, come non fatto, essere posta agli arbitri.

Con il secondo motivo si censura la decisione di ritenere fondata la denunziata violazione del contraddittorio. Con il terzo motivo si duole dell’avere la CdA affermato che l’annullamento fatto dal CdS, con la decisione 6335 del 2003, del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 150, comma 3 nella parte in cui demandava alla Camera Arbitrale la nomina del terzo Arbitro-Presidente, avesse travolto la nomina stessa e quindi viziato la costituzione del Collegio, come tempestivamente denunziato. Ad avviso della ricorrente ATI la invalidità sopravvenuta non poteva travolgere gli atti compiuti e nella specie la nomina già avverata.

Ritiene il Collegio che sia indiscutibilmente fondata la censura di indebito rilievo officioso contenuta nel testè sintetizzato primo motivo nel mentre debbano essere dichiarati inammissibili i motivi secondo e terzo.

Va premesso, a chiarificazione del quadro normativo di riferimento, che la decisione arbitrale imposta dal compromesso di cui al contratto del 29.6.1992 era non già correlata, come erroneamente affermato dalla Corte territoriale, ad una scelta di volontaria ricezione del c.g.a.oo.pp. approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962, altrimenti non applicabile (Cass. 5965 del 2008), bensì ad un preciso obbligo di legge: nella specie occorre rammentare che la legge regionale della Calabria 30.5.1983 n. 18 all’art. 14 considerava obbligatorie le disposizioni del detto capitolato, fatte salve quelle di cui all’art. 15 successivo che, in materia di collegio arbitrale, dettava disciplina legale ma speciale (disciplina non modificata, se non marginalmente, dalla L.R. 2 maggio 2001, n. 7, art. 4 bis, comma 2). Detta disciplina contemplava infatti un collegio di quattro membri la cui struttura poneva e pone, come esattamente notato dall’ATI in memoria finale, problemi di compatibilità con il funzionamento di un collegio arbitrale rituale (problemi pervero privi di rilevanza, giusta quanto appresso precisato).

Tanto premesso sul piano della natura della fonte dell’arbitrato in disamina, va rammentato, in primo luogo, alla stregua del costante indirizzo di questa Corte (Cass. 14182 del 2002 e n. 16205 del 2004;

anche, e da ultimo, Cass. n. 23056 del 2010) che il lodo deve essere ricondotto, come è costante insegnamento di questa Corte (S.U. n. 527 del 2000), nell’ambito di una decisione richiesta per la soluzione della controversia sul piano privatistico. La L. n. 20 del 1994 di modifica dell’istituto ne ha pervero accentuato la natura privatistica, delineando un istituto “….nel quale gli arbitri non svolgono funzioni giurisdizionali, non si sostituiscono agli organi dello Stato, ma si inseriscono in una vicenda negoziale, con il compito di dare assetto a determinate posizioni in conflitto mediante un dictum che esprime adempimento d’incarico contrattuale (S.U. n. 3075 del 2003)”; neanche le modifiche apportate all’istituto, attraverso l’introduzione dell’art. 819 ter c.p.c. (D.Lgs. n. 40 del 2006 appaiono poi idonee a condurre ad una diversa linea ricostruttiva dell’istituto stesso.

Su tali premesse, per le quali il lodo, regolato per intero da norme statali e regionali che ne confermavano la natura di decisione privatistica, non può in alcun modo accostarsi ad un dictum giurisdizionale, devesi affermare che non aveva alcuna plausibilità la affermazione – formulata nell’impugnata sentenza -per la quale la decisione di collegio invalidamente costituito sarebbe stata affetta da inesistenza perchè adottata in carenza di potestas judicandi.

Consegue che il vizio afferente l’invalida od irregolare costituzione del Collegio arbitrale, anche costituito per obbligo di legge, può essere dedotto non già attraverso l’improprio richiamo all’art. 158 c.p.c. che afferisce ai vizi della costituzione del giudice, ma nell’ambito della ipotesi di nullità di cui all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 2, le volte in cui la nomina degli arbitri sia stata effettuata in violazione dei modi e delle forme di cui ai capi 1 e 2 del titolo ottavo del libro quarto del codice di rito.

Deve, pertanto, constatarsi come la questione che venne espressamente prospettata agli arbitri, e certamente riconducibile alla testè ricordata ipotesi di nullità, era solo quella afferente la (pretesa) indebita nomina del terzo arbitro da parte della Camera Arbitrale in attuazione di disposizione regolamentare (invalidate da pronunzia del G.A.), ma non era affatto quella afferente la irregolare costituzione numerica del Collegio (tre componenti in luogo dei quattro imposti dalla legge regionale).

Pertanto erroneamente, come denunziato, la Corte di merito ha ravvisato ipotesi di difetto di potestas judicandi ed ha rilevato d’ufficio la invalidità del lodo qualificandola come inesistenza del lodo stesso, altrettanto erroneamente ritenendosi dispensata dall’onere del giudizio rescissorio. Di contro l’assenza di alcuna eccezione di nullità sul versante della costituzione del Collegio a tre componenti, avrebbe imposto di rifiutare alcuna disamina sulla validità della questione stessa, sol dovendosi il giudice del merito dedicare all’esame delle ragioni di impugnazione (quella afferente la violazione del contraddittorio e quella relativa al vizio sopravvenuto di nomina del Presidente del Collegio) ed in ogni caso, pur accolta l’una e/o l’altra ragione, essendo obbligato al giudizio rescissorio.

Quanto agli altri due motivi di ricorso, dei quali si è data in premessa sintetica esposizione, appare evidente la loro inammissibilità essendo diretti a contestare la esattezza non già di autonome, concorrenti, rationes decidendi, ma soltanto di passaggi argomentativi estesi ad abundantiam dalla Corte di Roma. Del carattere puramente “illustrativo” delle relative argomentazioni è stata del resto ben convinta la Corte di merito posto che, dopo l’assorbente rilievo della inesistenza del lodo per difetto di potestas judicandi, ha premesso al passaggio alla disamina dei motivi l’inequivoco riferimento alla esistenza di ragioni di completezza di motivazione e che, in conclusione della parte motiva, ha ben tenuto a precisare che il diniego di esame nel merito delle questioni era correlato al carattere assorbente della invalidità rilevata (Poichè nel caso in esame vi è stato un giudizio arbitrale al di fuori della clausola compromissoria, neppure può passarsi alla fase rescissoria).

E poichè è la stessa Corte che, con la sua errata ma specifica ed assorbente decisione di inesistenza del lodo, si era completamente spogliata della propria potestas judicandi sulle questioni sottoposte dalla impugnazione, ne discende (al seguito dei principi posti da S.U. n. 3840 del 2007) che nessun interesse aveva il soccombente Comune ad impugnare le ulteriori sovrabbondanti argomentazioni di merito e che pertanto sono privi di interesse, e quindi inammissibili, i motivi che la difesa del Comune stesso, per comprensibile scrupolo, ha articolato su dette argomentazioni (ferma restando la necessità del loro esame in sede di rinvio, afferendo ad argomenti sui quali nessuna “decisione” vi è stata).

Nei precisati termini, pertanto, si cassa con rinvio la sentenza in esame e si rimette alla Corte di rinvio anche la regolamentazione delle spese del qui concluso giudizio.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso notificato il 12.7.2006 ed esaminato il ricorso notificato il 4.10.2006, ne accoglie il primo motivo e ne dichiara inammissibili il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, diversa sezione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2011

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