Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13245 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 30/06/2020), n.13245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27891/2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Milano, viale Stefini,

n. 2 presso lo studio dell’avv. Vincenzo Forti e VIRARDI Davide;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 691/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2019 da Dott. PIERLUIGI DI STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M., cittadino del (OMISSIS), ricorre con quattro motivi avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze del 15 gennaio 2018 che rigettava il suo appello avverso l’ordinanza del Tribunale che confermava il diniego da parte della Commissione territoriale del riconoscimento del suo status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Espone la Corte di appello:

il ricorrente deduce di aver subito minacce da membri di un partito avverso a quello per il quale si occupava di attacchinaggio di manifesti. Vi avevano fatto seguito due aggressioni presso l’abitazione di famiglia nel corso delle quali, in sua assenza, suo padre era stato picchiato e la casa devastata.

Come già ritenuto dal primo giudice, la vicenda era inverosimile: era stata riferita tardivamente e non sin dalle prime occasioni di contatto con le autorità italiane, era stata riferita ogni volta in modo difforme e, comunque, risultava in sè non era credibile. Escludeva che tali difformità derivassero dalla cattiva gestione della sua audizione, come sostenuto dal ricorrente.

– In definitiva, non risultano accertati fatti significativi di persecuzione nei confronti del richiedente.

– Quanto alle richieste subordinate, nel paese di provenienza non ricorrono situazioni definibili di violenza indiscriminata in un contesto di conflitto armato, tali da giustificare la protezione sussidiaria, nè si apprezzano condizioni di vulnerabilità del richiedente per giustificare la protezione umanitaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9 e 14, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), b) e c), artt. 4, 5 e 19. Svolge argomentazioni per sostenere che l’istruttoria è stata condotta in modo inadeguato.

Il motivo è infondato. Nonostante la apparente ampiezza degli argomenti, quelli svolti sono soltanto temi di carattere generale, esposti in modo ridondante con deduzioni solo stereotipate, riferibili a qualsiasi caso perchè non vi è alcun aggancio con il caso concreto.

Con il secondo motivo deduce la violazione del diritto di difesa per “omessa traduzione del provvedimento di diniego in lingua conosciuta”.

il motivo è infondato.

In esso si contesta sia la mancata traduzione del contenuto dispositivo dell’atto che delle modalità di proposizione dell’impugnazione. Non si rileva, però, quale sarebbe il “diritto di difesa” violato: difatti la parte ha proposto impugnazione e svolto le sue difese con chiaro riferimento al contenuto del provvedimento.

Va, quindi, considerato che, esclusa la concreta difficoltà di impugnazione, la omessa traduzione, quale atto successivo, non potrebbe essere ragione di invalidità del provvedimento antecedente. Si veda, inoltre, Sez. 1, Ordinanza n. 20245 del 2019 in cui questa Corte, ha affermato che, essendo oggetto del giudizio il diritto soggettivo dell’istante alla protezione invocata, la decisione in sede giurisdizionale “non può concludersi con il mero annullamento del diniego amministrativo della protezione, in tesi illegittimo, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto alla stessa”.

Quindi non vi è neanche interesse alla decisione su tale possibile nullità del provvedimento amministrativo di diniego perchè non coinvolge il giudizio sul merito del diritto alla protezione che è l’effettivo contenuto della decisione del primo e del secondo giudice.

Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 10 Cost.. Si tratta di un motivo infondato in quanto mirato, sulla scorta di argomentazioni generiche, ad ottenere l’applicazione diretta in questa sede della norma costituzionale sul diritto di asilo, sollecitando l’esercizio di poteri di valutazioni di merito che, però, non spettano al giudice di legittimità.

Con il quarto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Rileva che alle date condizioni doveva essere rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Anche tale motivo è da rigettare in quanto formula richieste di merito non consentita in questa sede processuale, peraltro anche in questo caso sulla base di presupposti di fatto già ritenuti con adeguata motivazione del tutto inidonei a fondare le condizioni di vulnerabilità.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte.

La Corte di appello ha revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in favore del richiedente che, pertanto, è tenuto al versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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