Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13245 del 16/06/2011

Cassazione civile sez. I, 16/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 16/06/2011), n.13245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro e

Agenzia del Demanio in persona del legale rappresentante, domiciliati

in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che li rappresenta e difende ex lege;

– ricorrenti –

contro

Bianchini Costruzioni s.r.l. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Cosseria 2 presso Alfredo

Placidi, rappresentata e difesa dagli avv. DELLA FONTANA Guglielmo e

Giovan Ludovico della Fontana giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 425/04 del

13.5.2004.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12.5.2011 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Romanelli con delega per la Bianchini Costruzioni;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 10.12.1996 la Bianchini Costruzioni s.r.l.

conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Brescia i Ministeri dei Lavori Pubblici e delle Finanze, per sentir dichiarare infondata la pretesa dell’Amministrazione di vedersi corrispondere un canone di L. 4.800 al metro cubo, anzichè quello di L. 1.300 pattuito, con riferimento al contratto di appalto avente ad oggetto lavori di ripresa di frane della scarpata dell’argine maestro del fiume (OMISSIS) in Comune di (OMISSIS), dichiarati di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili.

In particolare il detto canone era stato concordato sulla base di una precedente perizia del magistrato del (OMISSIS), con riferimento alìescavazione in terreni demaniali di materiali limo-sabbiosi necessari per l’esecuzione dell’opera, ma successivamente veniva inoltrata la richiesta di pagamento della maggior somma sopra indicata, in ragione di quanto disposto dal D.M. 20 luglio 1990, che aveva adottato i parametri della nuova determinazione.

Le due Amministrazioni convenute si costituivano contestando la fondatezza della domanda e sollecitando a loro volta il Tribunale a determinare il debito della Bianchini Costruzioni nella misura richiesta, sollecitazione che viceversa veniva disattesa dal primo giudice, che accoglieva la domanda dell’originaria attrice.

La decisione, impugnata dalle Amministrazioni soccombenti, veniva riformata esclusivamente con riferimento alla legittimazione passiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (subentrato al Ministero dei Lavori Pubblici), che veniva esclusa, mentre veniva invece confermata per il resto.

In proposito la Corte di Appello rilevava, per la parte di interesse, che i due decreti ministeriali sulla cui base era stato determinato il canone di pagamento richiesto (D.M. 20 luglio 1990 e D.M. 2 marzo 1998) erano stati annullati in sede giurisdizionale con efficacia “erga omnes”, circostanza da cui sarebbe discesa l’inconsistenza della pretesa di pagamento di una maggior somma rispetto a quella pattiziamente convenuta, e ciò indipendentemente dall’ulteriore rilievo secondo cui, in assenza di richiesta da parte dell’Amministrazione di pagamento di canoni sulla scorta delle norme introdotte con il D.M. 2 marzo 1998 successivamente adottato, “queste ultime neppure potrebbero essere considerate ai fini pretesi dall’Amministrazione”.

Avverso la decisione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio proponevano ricorso per cassazione affidato ad un motivo, cui resisteva la Bianchini Costruzioni s.r.l. con controricorso, successivamente illustrato da memoria.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 12.5.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il solo motivo di impugnazione i ricorrenti hanno denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando l’erroneità della decisione sotto il duplice profilo dell’affermato annullamento del D.M. n. 258 del 1998, con efficacia “erga omnes” e dell’inapplicabilità della normativa dettata con il decreto in questione, essendo intervenuta la determinazione del canone di cui era stato richiesto il pagamento in applicazione del precedente D.M. 20 luglio 1990.

Entrambi i rilievi sarebbero infatti non condivisibili, quanto al primo, perchè anche successivamente all’annullamento del detto decreto intervenuto con sentenza n. 59 del 31.1.2000 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, la giurisprudenza di tale tribunale e di questa Corte avrebbe statuito nel senso di una sua perdurante validità ed efficacia, ammettendo in linea di principio la facoltà di rinnovare l’atto regolamentare, una volta emendato dei vizi formali; quanto al secondo, perchè la pretesa di riconoscimento del canone maggiorato troverebbe fondamento nella fonte primaria della norma contenuta nel D.L. n. 90 del 1990, art. 12, comma 5, conv. in L. n. 165 del 1990, i canoni sarebbero stati predeterminabili sulla base di un calcolo effettuato in relazione ad elementi prestabiliti dal legislatore, sarebbe stato per ciò irrilevante l’avvenuto richiamo al decreto allora vigente e poi annullato, anzichè a quello sostanzialmente identico introdotto in un secondo momento.

La censura è infondata. Osserva al riguardo il Collegio che la Corte di Appello ha ritenuto non accoglibile la pretesa dell’Amministrazione di vedersi corrispondere il canone di L. 4.800 al metro cubo, anzichè quello di L. 1.300 pattuito, sulla base di due considerazioni, e cioè: a) i due decreti ministeriali (20.7.1990 e 2.3.1998) che avrebbero legittimato la richiesta erano stati espunti dall’ordinamento, in quanto annullati; b) il riferimento al D.M. 2 marzo 1998, sarebbe stato comunque improprio, poichè l’istanza dell’Amministrazione di riconoscimento di un credito maggiore rispetto a quello risultante dall’accordo precedentemente stipulato con la Bianchini Costruzioni era stata formulata esclusivamente con riferimento al disposto del D.M. 20 luglio 1990, e non anche, dunque, del D.M. 2 marzo 1998, del quale non era stato fatto alcun cenno.

Orbene, tali ragioni della decisione sono state contrastate sotto un duplice verso, vale a dire: a) in quanto non vera la circostanza relativa al preteso annullamento con efficacia “erga omnes” del D.M. 2 marzo 1998, come desumibile anche dalla giurisprudenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (02/8) e di questa Corte (quest’ultima ribadendo il permanere della potestà regolamentare in capo alla P.A., pur a seguito dell’incontestato annullamento del D.M. 20 luglio 1990), che ne aveva affermato la validità (C. 04/18262);

b) in quanto superfluo il richiamo ai decreti ministeriali (sicchè sarebbe del tutto irrilevante il mancato collegamento della pretesa creditoria con il D.M. 2 marzo 1998), atteso che il diritto al riconoscimento di una maggior somma da parte della P.A. troverebbe il suo fondamento direttamente nella L. n. 165 del 1990.

Entrambi i rilievi sono tuttavia privi di pregio.

Quanto al primo, come già evidenziato dalla Corte di appello cui era stata prospettata identica censura, l’annullamento del decreto in questione risulta incontestabilmente dalla sentenza n. 59 in data 31.1.2000 del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che ha disposto nel senso indicato per effetto di un rilevato vizio formale (il D.M. era stato sottoscritto da un sottosegretario, e non dal Ministro concertante), nè alcuna rilevanza in senso contrario (vale a dire rispetto alla rappresentata perdurante efficacia del decreto) può avere la circostanza che in due successive decisioni (di questa Corte e dello stesso Tribunale Superiore) il D.M. 2 marzo 1998 abbia trovato applicazione.

Quanto al secondo, è sufficiente considerare che i decreti ministeriali in questione sono espressione della potestà regolamentare del Ministro, cui il legislatore ha demandato il compito di completare ed integrare, con normazione secondaria, la disciplina dettata con la normazione primaria (D.L. 27 aprile 1990, n. 90, art. 12, comma 5, conv. in L. n. 165 del 1990 recita infatti “Con decreto del Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro del Tesoro .. sono stabiliti i criteri per la rideterminazione .. dei canoni, proventi, diritti erariali ed indennizzi .. per l’utilizzazione dei beni immobili del demanio o del patrimonio indisponibile e disponibile dello Stato ..”, circostanza da cui discende che l’integrazione regolamentare assume la funzione di condizione di applicabilità e di attuazione della norma primaria e, correlativamente, che in mancanza quest’ultima non può trovare applicazione.

I termini di formulazione della censura, e quindi i limiti del suo contenuto, esimono poi il Collegio dall’esame degli ulteriori profili astrattamente riconducibili al disposto della L. n. 305 del 2003, art. 2, commi 42 e 43, entrato in vigore dopo l’inizio del giudizio.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2011

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