Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13239 del 28/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13239 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA
sul ricorso 10310-2011 proposto da:
TURCO FRANCESCA TRCFNC64C48A512Z, domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa

dall’avvocato FERRARA RAFFAELE, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
1136

contro

CENTRO AGRO AVERSANO DI F.K.T. S.R.L. 01629800614, in
persona del legale rappresentante pro tempore,

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elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96,
presso lo studio dell’avvocato DI PAOLO LUCA,

Data pubblicazione: 28/05/2013

rappresentata e difesa dall’avvocato CASTIGLIONE
FRANCESCO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3525/2010 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 14/05/2010 r.g.n. 10778/08;

udienza del 27/03/2013 dal Consigliere Dott. ROSSANA
MANCINO;
udito l’Avvocato FERRETTI ANNAMARIA per delega
FRANCESCO CASTIGLIONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

10310/2011 r.g.n. Turco Francesca c/Centro Agro Aversano s.r.l.di FKT
Ud 27 marzo 2013

i.

Con sentenza del 14 maggio 2010, la Corte d’Appello di Napoli
respingeva il gravame svolto da Turco Francesca contro la sentenza di
primo grado che aveva rigettato la domanda tendente ad ottenere la
declaratoria di illegittimità, inefficacia del licenziamento intimato dal
Centro Agro Aversano s.r.l.di FKT, per violazione delle garanzie
previste dall’art. 7 legge 300/70 e del principio di proporzionalità.

2.

La Corte territoriale puntualizzava che:
– Turco Francesca, premesso di aver lavorato alle dipendenze del
Centro Agro Aversano s.r.l. con mansioni di massokinesiterapista a
far tempo dall’8/4/1991, esponeva che il datore di lavoro, in data
27.6.2006, le richiedeva la produzione di un attestato per lo
svolgimento delle prescritte mansioni, al quale aveva replicato
rilevandone la pretestuosità, e a cui faceva seguito lettera di
licenziamento in data 7.9.2006 con la quale s’interrompeva il
rapporto di lavoro con decorrenza immediata in dipendenza della
carenza di requisiti soggettivi indispensabili all’espletamento delle
descritte mansioni;
– la lavoratrice deduceva la nullità/inefficacia del recesso,
ontologicamente disciplinare, intimato M violazione delle garanzie
ex art. 7 L.n.300/70 e la violazione del principio di
proporzionalità;
– il primo giudice, nel contraddittorio con il datore di lavoro,
zespingeva la domanda ravvisando, nella speeie, un’ipotesi di
lieefi2iffillPfitO per gingtifiefito motivo oggettivo
efttigft délift
sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione sul
presupposto che il diploma posseduto dalla lavoratrice non potesse
più considerarsi abilitante all’esercizio dell’attività per la quale era
stata assunta, posto che il sopravvenuto dm 27.7.2000 postulava
per l’esercizio dell’attività di massofiosioterapista il possesso di
una formazione professionale specifica, attuata mediante la
frequenza di corsi di durata triennale;
– la sentenza veniva gravata dalla lavoratrice.

3.

A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva:
– infondato il motivo di gravame sul denegato riconoscimento della
natura disciplinare del licenziamento, posto che dalla lettura
complessiva dell’atto si evincevano le ragioni dovute alla
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Svolgimento del processo

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sopravvenuta
carenza dei requisiti soggettivi indispensabili
all’espletamento delle mansioni per cui era stata assunta;
infondato il motivo di gravame sulla validità, su tutto il territorio
nazionale, del profilo del massoterapista biennale, sulla base del
rilievo secondo cui, ricostruito il quadro normativo di riferimento
delle professioni sanitarie e del passaggio dal vecchio ordinamento
(legge 118/71) al nuovo regime fondato sul previo conseguimento
del diploma universitario (legge 502/92 e successivi d.m.), ai fini
dell’equipollenza dei titoli preesistenti al diploma universitario
prevista dall’art. 4, co.1, legge n. 502 cit., era assolutamente carente
l’allegazione e la dimostrazione circa il possesso di un titolo che
abilitasse la Turco, in base alla normativa pregressa, all’iscrizione
ad un albo professionale o all’esercizio di attività professionale in
regime di lavoro dipendente o autonomo per essere mancante, agli
atti, un riferimento specifico al titolo posseduto, onde non poteva
accedersi
alla
prospettata
equipollenza
caratterizzata
dall’automaticità;
quanto alla seconda ipotesi prevista dal comma 2 del citato art.4 ,
che demanda ad apposito decreto interministeriale
l’individuazione di ulteriori ipotesi di equivalenza, il decreto
interministeriale del 27.7.2000 ha incluso, fra i titoli equipollenti al
diploma universitario di fisioterapista, il diploma di
massofisioterapista purché conseguito all’esito di un corso
triennale, espressamente disponendo, per i possessori di detto
titolo, la non produzione di alcun effetto sulle mansioni esercitate
in ragione del titolo nei rapporti di lavoro dipendente già instaurati
alla data di entrata in vigore del decreto;
il titolo di massofisioterapista conseguito dalla Turco all’esito di un
corso non triennale non più valido per abilitarla allo svolgimento
di detta attività professionale così determinandosi un caso di
impossibilità sopravvenuta della prestazione che legittimava la
società alla risoluzione del rapporto di lavoro;
la mancata deduzione e dimostrazione da parte della lavoratrice , di
aver frequentato un corso per il conseguimento di un valido titolo
ha comportato la definitività dell’impossibilità sopravvenuta;
quanto al repechage, la lavoratrice non aveva allegato un suo
possibile reimpiego in altre mansioni almeno equivalenti, e la
società aveva dimostrato l’impossibilità di utilizzare aliunde la
lavoratrice in quanto l’organico del centro era determinato
dall’azienda sanitaria presso la quale il centro era in regime di
accreditamento provvisorio quale struttura riabilitativa di tipo A,
onde era l’ASL, anno per anno, che stabiliva quantità e qualità
come le figure
delle prestazioni erogabili dalle strutture,

professionali che dovevano essere presenti e la percentuale di
personale dipendente ed autonomo.

Motivi della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia
violazione del principio di immodificabilità dei motivi di licenziamento
per aver la Corte di merito esteso il thema decidendum, che afferiva alla
sola presunta mancanza dei requisiti soggettivi necessari
all’espletamento delle mansioni di massofisioterapista e, in particolare,
al possesso del titolo biennale e non triennale, come sostenuto dalla
società. Assume che, diversamente dal motivo indicato nella lettera di
licenziamento, in sede di giudizio, a suffragio del provvedimento, sono
state poste circostanze diverse, quali eventuali provvedimenti della
ASL sulla cui scorta il centro avrebbe dovuto operare una riduzione di
personale.
6. Con il secondo motivo è denunciata violazione degli artt. 11 c.c., 1
L.403/71, art.6,co.3 d.lgs.502/92 come modif. dall’art. 7,co.3 d.lgs.
517/93, art. 9 L.341/90, d.m. 27.7.2000, artt. 1,2,3, per aver la Corte di
merito erroneamente interpretato la modifica legislativa, in tema di
professioni sanitarie, riferita solo all’acquisizione, da parte dei nuovi
diplomandi, dei relativi titoli specialistici, senza incidere su posizioni
lavorative ultradecennali già acquisite da lavoratori assunti in base al
possesso dei titoli richiesti dalla precedente normativa. Assume, in
particolare, la mancanza di divieti ex lege all’espletamento della
professione in base alla precedente normativa, sulla base della
previsione dei titoli biennali ad esaurimento, del principio di
irretroattività della legge che non può regolamentare ex novo un
rapporto sorto precedentemente con la previsione di una causa di
risoluzione fondata sul possesso di requisiti diversi da quelli previgenti
(il possesso del diploma biennale anziché triennale). Assume che la
legislazione di riforma delle professioni sanitarie non ha riordinato
altresì la figura del massofisioterapista e, invocando all’uopo ,
giurisprudenza amministrativa pronunciatasi in tal senso anche quanto
alla conservazione dei relativi corsi di formazione, conclude che il
massofisioterapista biennale ha un titolo abilitante, non costituisce
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4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Turco Francesca
ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. La parte
intimata ha resistito con controricorso illustrato con memoria ex art.
378 c.p.c.

Con il terzo motivo, deducendo ancora violazione di norme di legge
(art.1464 c.c.), la ricorrente si duole che la corte territoriale non avesse
considerato che non era stata fornita alcuna prova in ordine ad
indicazioni provenienti dalla Regione Campania o dalle aziende
sanitarie circa l’obbligo, per i centri convenzionati, di condizionare il
mantenimento in servizio del personale al possesso del titolo abilitante
(diploma di massofisioterapista conseguito all’esito di un corso
triennale) richiesto dalla società intimata e ad eventuali negative
conseguenze in punto di rimborsi, onde l’attività professionale ben
poteva ancora svolgersi ad esaurimento, salva la possibilità di
conseguire, in costanza di rapporto, il titolo triennale.
8. Con l’ ultimo motivo, la ricorrente lamenta, infine, violazione della L.
n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, ed, al riguardo, osserva che non era stata
esaminata, né comunque provata, l’impossibilità di utilizzare la
ricorrente in altre mansioni.
9.

motivi non sono meritevoli di accoglimento alla stregua del
precedente specifico di questa Corte di legittimità, sentenza n. 8050 del
2012, cui il Collegio intende dare continuità.
I

10. Il primo motivo è infondato.
11. Al riguardo basta osservare che la censura che con tale motivo si
introduce appare del tutto generica, laddove la precisa ragione
giustificativa della decisione si rinviene, in coerenza con le motivazioni
del recesso esercitato dal datore di lavoro e con i poteri di
qualificazione giuridica devoluti al giudice dell’impugnazione,
nell’esistenza di una situazione di impossibilità sopravvenuta della
prestazione di lavoro, derivante dalla mancanza in capo alla lavoratrice,
per effetto di disposizioni normative sopravvenute, del titolo
professionale necessario per l’esercizio dell’attività lavorativa richiesta
dal datore di lavoro e come tale idonea ad incidere sulla funzionalità
della relativa organizzazione di lavoro.
12. Nessuna indebita conversione dei motivi del licenziamento (che,
intimato per mancanza di un requisito soggettivo, sarebbe stato
confermato per ragioni inerenti alla sfera organizzativa dell’impresa) è,
pertanto, ravvisabile, avendo, piuttosto, la Corte territoriale valutato il
recesso alla luce dei criteri normativi previsti dall’art. 1464 c.c., e,
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categoria ad esaurimento ma di profilo valido su tutto il territorio
nazionale.

quindi, alla luce di un criterio prognostico circa la possibile ripresa
della funzionalità del rapporto senza significativi pregiudizi per
l’organizzazione del datore di lavoro.

14. Giova, al riguardo, rammentare come, secondo l’insegnamento di
questa Suprema Corte, il vizio di violazione di legge deve svolgersi
nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del giudice del
merito, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi,
implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, in
coerenza con la funzione di garanzia dell’uniforme interpretazione
della legge assegnata alla Corte di legittimità, mentre l’allegazione di
una presunta erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo
delle risultanze di causa, si rivela estranea all’esatta interpretazione della
legge e rientra nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui
censura è possibile, in sede di legittimità, solo attraverso il vizio di
motivazione (v., ex multis, Cass. 18375/2010).
15. Ciò precisato, deve osservarsi come il ricorso, dopo aver passato in
rassegna le disposizioni normative nel caso pertinenti, non specifica (se
non per il profilo dell’irretroattività della legge) sotto quale aspetto la
ricognizione della fattispecie astratta, operata dalla Corte di merito,
appaia incompatibile con i criteri di interpretazione legale, sì da rendere
l’interpretazione offerta irriducibile al contenuto precettivo della
norma.
16. Ed, al riguardo, basta osservare come la ricorrente assuma che la
lettura della disciplina normativa fatta propria dalla Corte di merito
contrasti con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 5225 del
2007, sulla quale, invece, si fonda, condividendone il contenuto, la
decisione impugnata.
/7. Ha, infatti, rilevato il Consiglio di Stato, escludendo l’illegittimità del
D.I. 27 luglio 2000, il quale annovera fra i titoli equipollenti al diploma
universitario di fisioterapista di cui al D.M. n. 741 del 1992 il diploma
di massofisioterapista, solo se conseguito all’esito di un corso triennale,
che una corretta interpretazione della L. n. 42 del 1999, art. 4, commi 1
e 2, di cui il decreto citato costituisce attuazione, porta a disattendere
un’impostazione secondo cui tutti i titoli preesistenti devono essere
riconosciuti come equipollenti ai diplomi universitari di nuova
istituzione.
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13. Anche il secondo motivo è infondato.

19. Nel caso dei massofisioterapisti la L. n. 403 del 1971, istitutiva di tale
professione sanitaria ausiliaria, non dettava norme sul relativo percorso
formativo, sicché lo stesso è stato disciplinato in modo difforme sul
territorio nazionale, con la conseguenza che i titoli rilasciati all’esito dei
corsi in questione non potevano, in realtà, fruire di alcun
riconoscimento automatico, con piena equiparazione al titolo di
fisioterapista acquisito nel vecchio ordinamento sulla base di percorsi
didattici i cui contenuti erano stati precisamente normati.
20. Il D.I. 27 luglio 2000, è stato, quindi, ritenuto esente da profili di
illegittimità, “prendendo lo stesso atto di una situazione di base
contrassegnata dall’evidente disparità dei vari percorsi formativi,
selezionando all’interno di essi quelli ritenuti in grado di fornire
all’operatore una formazione di livello adeguato all’esercizio di una
attività professionale altrimenti riservata a soggetti che abbiano
conseguito il diploma di scuola media superiore ed abbiano
positivamente frequentato un corso di laurea triennale”.
21. Nel contesto normativo evidenziato, del tutto irrilevante appare,
quindi, l’evocato principio di irretroattività della legge, dal momento
che scopo della normativa in esame è stato proprio quello di
regolamentare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento delle
professioni sanitarie, stabilendo criteri e modalità per garantire, in un
settore particolarmente sensibile e delicato, l’equivalenza dei nuovi
titoli professionali a quelli preesistenti, e, quindi, omogenei livelli
professionali, anche attraverso la partecipazione ad appositi corsi di
riqualificazione (v. L. n. 42 del 1999, art. 4, comma 2).
22. Infondato è anche il terzo motivo.
23. Premesso che, alla luce del quadro normativo evidenziato, il possesso
di un titolo di massofisioterapista conseguito all’esito di un corso
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18. Nell’esaminare, infatti, la disciplina prevista dalla citata L. n. 42 del
1999, la quale ha disciplinato in modo innovativo e con riferimento a
tutte le professioni sanitarie (già definite come “ausiliarie”) il passaggio
dal vecchio ordinamento al nuovo regime, fondato sul previo
conseguimento del diploma universitario, ha osservato il Consiglio di
Stato che l’equipollenza può operare in via automatica solo se il
relativo diploma sia stato conseguito all’esito di un corso già
regolamentato a livello nazionale, e cioè solo in presenza di moduli
formativi la cui uniformità ed equivalenza fosse già stata riconosciuta
nel regime pregresso.

24. A fronte di tale accertamento, le considerazioni svolte dalla ricorrente
improntate sull’assenza di concreti pregiudizi derivati per il datore di
lavoro dalla permanenza presso il Centro della dipendente pur
sprovvista di idoneo titolo professionale, non evidenziano, comunque,
sotto qual profilo non siano, nel caso, ravvisabili i presupposti della
fattispecie normativa dell’art. 1464 c.c., tenuto conto del necessario
nesso di collegamento che deve sussistere fra il possesso di idoneo
titolo abilitativo e lo svolgimento della relativa attività professionale, in
relazione ai requisiti professionali richiesti dalla legge per l’erogazione
delle prestazioni sanitarie eseguibili nella struttura, e della prognosi
negativa che, alla luce delle circostanze del caso concreto, ha ritenuto
di dover formulare la Corte di merito circa la possibilità di una
proficua ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro.
25. Tanto basta per affermare la legittimità del recesso ex art. 1464 c.c.,
rispetto al quale, per come ha chiarito questa Suprema Corte, è
indispensabile stabilire di volta in volta se vi siano elementi in grado di
rendere oggettivamente prevedibile la cessazione dell’impossibilità ed il
tempo occorrente, potendo, in tal contesto, le ragioni organizzative
dell’impresa giustificare l’interesse alla risoluzione del rapporto di
lavoro anche in caso di assenza prevedibilmente di breve durata, come,
al contrario, escluderne l’interesse in caso di assenza prevedibilmente
prolungata, ma pur sempre entro i confini della ragionevolezza (v., ex
~kis, Cass., 1591/2004).
26. Non accoglibile è, infine, l’ultimo motivo.
27. Ha accertato, al riguardo, la Corte territoriale che la società intimata
aveva sofferto di una riduzione di quasi il 50% della capacità operativa
annuale, con conseguente ridimensionamento del personale ammesso
al rimborso, e che, peraltro, la ricorrente stessa non aveva fornito
nessuna, sia pur minima, allegazione circa la possibilità di essere adibita
ad altre mansioni.
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biennale (quale quello posseduto dalla ricorrente) non era più valido
per abilitare allo svolgimento dell’attività professionale, ha accertato,
per il resto, la Corte partenopea che la lavoratrice non aveva dedotto,
né tantomeno provato, di aver frequentato, o almeno iniziato a
frequentare, un corso per il conseguimento di un valido titolo per
l’esercizio della professione di fisioterapista, sicché l’impossibilità della
prestazione non si configurava più solo come temporanea, ma era
divenuta definitiva.

28. Trattasi di valutazione di merito, motivata in termini sufficienti e non
contraddittori e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità.
29. In definitiva il ricorso va rigettato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2013

Il Cons lyere estensore

residente

30. Avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, sulla quale consta un
unico precedente di legittimità, sussistono giusti motivi per
compensare fra le parti le spese del presente giudizio.

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