Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13238 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. II, 31/05/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 31/05/2010), n.13238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.P.C. (OMISSIS), B.F.,

D.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RANABOLDO CARLO;

– ricorrenti –

contro

GROUP SOFIM SRL P.IVA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

BANCHI NUOVI 39, presso lo studio dell’avvocato MARIANI RENATO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCHEDA ROBERTO;

– controricorrente –

e sul ricorso n. 1749/2008 proposto da:

T.P.C. (OMISSIS), B.F.,

D.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RANABOLDO CARLO;

– ricorrenti –

contro

GROUP SOFIM SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI BANCHI NUOVI, presso lo

studio dell’avvocato MARIANI RENATO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SCHEDA ROBERTO;

– controricorrenti –

avverso le sentenze n. 1242/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 29/07/2004 e la sentenza n. 1488/07 depositata

01/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/04/2010 dal Consigliere Dott. BURSESE Gaetano Antonio;

udito l’Avvocato RANABOLDO Carlo, difensore del ricorrente che ha

chiesto di riportarsi alle conclusioni gia’ assunte in atti;

udito l’Avvocato MARIANI Renato, difensore del resistente che ha

chiesto di riportarsi agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso previa riunione rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notif. in data 7.9.99 T.P.C., B. F. e D.L. convenivano innanzi al Tribunale di Vercelli la societa’ GROUP SOFIM a rl, e, premesso di essere comproprietari di un fondo sito in (OMISSIS) di mq. 5810, descritto a catasto F. (OMISSIS), servito da una strada posta sul confine sud che lo collegava con la via (OMISSIS), lamentavano che, la societa’ convenuta aveva occupato la strada stessa mediante l’edificazione di alcuni edifici ostruendo in tal modo totalmente il transito su di essa. Chiedevano quindi gli attori la condanna della societa’ alla remissione in pristino stato della strada in questione con liberazione di ogni ostacolo o costruzione, previo occorrendo accertamento del diritto di passaggio, derivante, nella fattispecie, da usucapione ultraventennale ovvero dalla natura vicinale della strada stessa. La societa’ convenuta nel costituirsi, contestava la domanda avversa, negando che il fondo di essi attori avesse mai goduto della vantata servitu’ di passaggio. La causa veniva istruita mediante la produzione di documenti e l’audizione di testi; quindi il tribunale adito, con sentenza n. 267 in data 24.05.2002 rigettava la domanda attrice facendo riferimento ad uria scrittura privata sottoscritta da tutte le parti in data 31.1.97 con a quale gli attori, in sostanza, avevano tacitamente rinunciato al loro diritto di transito sulla strada in argomento, della cui asserita natura vicinale, peraltro, non era stata fornita alcuna prova.

Avverso la decisione ricorrevano in appello gli attori, riproponendo le precedenti domande, sostenendo, in specie, che non vi era stata alcuna rinuncia al loro diritto di transito sulla strada in questione. L’adita Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1242 depos. in data 29.7.2004, dopo aver inquadrata l’azione proposta dagli attori nell’ambito dell’actio confessoria servitutis, rigettava l’impugnazione giudicando infondata la domanda originaria per inesistenza della reclamata servitu’ di passaggio, che non era usucapibile, difettando il requisito dell’apparenza di cui all’art. 1061 c.c., e neppure riconducibile all’asserita ma non provata natura vicinale della strada stessa.

Avverso la suddetta pronuncia gli odierni esponenti propongono ricorso per Cassazione sulla base di 4 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso la Group Sofim srl.

Alla presente causa veniva successivamente riunita quella iscritta al n. 1479/08, relativa ad altro ricorso per Cassazione proposto dagli attuali ricorrenti contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1488 in data 1.10. 2007 che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione proposta sempre dai medesimi esponenti, avverso la sentenza della stessa Corte d’Appello di Torino, n. 1242/2004 oggetto del ricorso per Cassazione di cui si e’ detto in precedenza. Tale ricorso si fonda su 4 mezzi; resiste con controricorso la soc. Group Sofin.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In premessa occorre procedere alla riunione dei due ricorsi. Passando all’esame del ricorso n. 388/05, appare preliminare procedere all’esame del 4 motivo, con il quale i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 326 c.p.c.; nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si sostiene che il tribunale aveva comunque riconosciuto l’esistenza del loro diritto di passaggio nonche’ la sua definitiva ostruzione, anche se aveva ritenuto l’avvenuta rinuncia tacita dello stesso diritto, cio’ che aveva indotto il tribunale stesso a rigettare la domanda attrice; su questo punto, a parere degli esponenti, s era formato il giudicato interno in quanto la societa’ avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato, mentre invece aveva chiesto la conferma in foto della sentenza impugnata.

Cio’ avrebbe vincolato la Corte Appello che non poteva piu’ procedere al riesame – come invece poi ha fatto – dell’accertamento condotto dal tribunale circa l’esistenza del diritto di passaggio in parola, per negarne la configurabilita’.

La doglianza non ha pregio.

Invero la corte territoriale ha rigettato la predetta censura con diffusa e articolata motivazione – totalmente condivisa da questo Collegio – in conformita’ della consolidata giurisprudenza di questa Corte, ampiamente riportata nella sentenza stessa. E’ stato affermato che la parte totalmente vittoriosa – come nella fattispecie – non ha alcuna necessita’ ne’ interesse di proporre gravame (attraverso l’impugnazione incidentale), atteso che il “decisum ” tradottosi nel dispositivo della sentenza di primo grado, e’ pur sempre lo stesso che, sia pure per ragioni diverse, la parte appellata avrebbe voluto conseguire”. “Si aggiunga – osserva la corte territoriale – che la norma dell’art. 346 c.p.c. parla semplicemente di domande ed eccezioni non accolte, e non…di domande ed eccezioni assorbite, cosi’ ricomprendendo nella sua dizione anche l’ipotesi di una decisione sfavorevole sulla questione per la parte appellata vittoriosa nel merito”. Nella fattispecie peraltro la societa’ appellata, pur non proponendo appello incidentale, ha pero’ chiaramente ribadito nei suoi scritti difensivi, nel corso dei giudizio d’appello, che il preteso diritto di passaggio era del tutto insussistente, cosi’ manifestando in maniera “inequivoca la sua volonta’ di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.” (Cass. n. 1161 del 27.01.2003; Cass. n. 5721 del 19.4.2002; Cass. n. 1103 del 22.01.2004).

Ritornando all’esame del 1 motivo del ricorso, con esso i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1061 c.c. (servitu’ non apparenti); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Secondo i ricorrenti non e’ vero che non esistessero opere visibili destinate all’esercizio della servitu’. In realta’ l’esistenza del tracciato della strada e del suo collegamento (c.d.

ponte a tubi) costituiva di per se’ opera visibile; non era dunque corretta la nozione di “apparenza” seguita dalla Corte per negare l’usucapibilita’ della servitu’ di passaggio.

La doglianza e’ infondata.

Giova ricordare in proposito che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte “…il requisito dell’apparenza della servitu’, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 c.c.), si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti in modo non equivoco l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, in modo da rendere manifesto che non si tratta di attivita’ compiuta in via precaria, bensi’ di preciso onere a carattere stabile. Ne consegue che non e’ al riguardo pertanto sufficiente l’esistenza di una strada o di un percorso idonei allo scopo, essenziale viceversa essendo che essi mostrino di essere stati posti in essere al preciso fine di dare accesso attraverso il fondo preteso servente a quello preteso dominante, e, pertanto, un “quid pluris” che dimostri la loro specifica destinazione all’esercizio della servitu'” (Cass. n. 2994 del 17/02/2004; Cass. n. 3389 del dell’11.2.2009; Cass. n. 21087 del 28.09.2006; Cass. n. 15447 del 10.07.2007).

La Corte torinese seguendo tale orientamento giurisprudenziale ha escluso l’esistenza di opere visibili idonei all’usucapione, identificabili “nella stradina che consentiva l’accesso al mappale (OMISSIS) per il semplice fatto di costeggiarlo, senza che fosse mai stata dedotta e provata l’esistenza di opere visibili e permanenti o anche solo un tracciato di accesso al fondo di cui al mappale (OMISSIS) atto a dimostrare l’esistenza oggettiva e visibile del peso”. Ha anche valutata la presenza de fosso colatore interposto tra i fondi interrotto per un piccolo tratto da un varco che ne consentiva l’attraversamento (c.d. ponte a tubi); ha precisato a questo proposito che “..il fatto che i tubi ed il fosso fossero coperti con un mucchio di terra con la conseguente assenza di ostacoli, dimostra solo che il passaggio era materialmente possibile, ma non significa affatto -per la semplice restaurazione della complanarita’ fra i fondi confinanti – che esistessero opere, visibili destinate all’esercizio della servitu'” (v. sentenza p. 32).

In altre parole la Corte ha ritenuto che il mero passaggio tra i due fondi realizzato con la semplice copertura con terra di qualche tubo posto nell’alveo del fosso, non fosse certamente un ponte vero e proprio e comunque non potesse ritenersi opera significativa ai fini della specifica destinazione all’esercizio di una servitu’ di passaggio. Non v’e’ dubbio, peraltro, che il giudizio circa l’esistenza o meno di segni visibili sul fondo, di opere permanenti obiettivamente destinate all’esercizio della servitu’ di passaggio, introduce inevitabilmente questioni fatto non rilevabili nel giudizio di legittimita’, stante la corretta motivazione posta a corredo della decisione.

Con il 2 motivo del ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1100 c.c. e dell’art. 2697 c.c.; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Deducono i ricorrenti di avere agito in giudizio per ottenere il ripristino del passaggio intercluso previo accertamento giudiziale del relativo diritto di passaggio discendente dall’usucapione ventennale della servitu’ ovvero in alternativa, della natura vicinale della strada. Sottolineano che la corte territoriale ha negato la natura vicinale della strada in questione, a motivo della mancata prova del conferimento fondiario per la formazione della strada stessa, invertendo pero’ in questo modo l’onere probatorio. In realta’ trattasi di una strada vicinale privata (non pubblica), della cui natura peraltro gli stessi esponenti avevano fornite prova esaustiva, sia attraverso le dichiarazioni testimoniali, sia per mezzo di documenti (atto d’acquisto del terreno e relativa mappa catastale). Anche tale doglianza non ha pregio.

Intanto non v’e’ dubbio che l’onere della prova della vicinalita’ della strada incombeva sui soli attori, che proprio sulla natura vicinale della strada stessa fondavano il loro diritto di passaggio.

Al riguardo questa S.C. ha precisato che “l’accertamento della comunione di una via privata, costituita” ex collatione agrorum privatorum”, non e’ soggetto al rigoroso regime probatorio della rivendicazione, potendo, tale comunione, al pari di ogni altra “communio incidens”, dimostrarsi con prove testimoniali e presuntive, comprovanti l’uso prolungato e pacifico della strada da parte dei frontisti e la rispondenza della stessa alle comuni esigenze di comunicazione in relazione alla natura dei luoghi, con la conseguente necessita’ di una valutazione complessiva degli elementi, anche indiziari addotti, al fine di stabilire l’effettiva destinazione della via alle esigenze comuni di passaggio Cass. n. 19994 del 18/07/2008; Cass. n. 17111/2006).

Anche in questo caso la Corte torinese, analizzando le risultanze probatorie, ha escluso il requisito della vicinalita’, con accertamento di merito non censurabile in sede di legittimita’, stante la congrua e corretta motivazione da cui e’ sorretto, immune da vizi logici e giuridici. Ha invero correttamente sottolineato il giudice dei gravame che “l’istituto della comunione incidentale della strada vicinale privata nata ex collatione agrorum provatorum presuppone necessariamente un apporto di terreno effettuato dal singolo compartecipe, che pero’ nel caso in esame “non e’ provato ne’ dedotto come specifico motivo di gravame per contrastare la ratio decidendi della sentenza impugnata”. Nel caso in esame dunque il giudice ad quem aveva escluso che vi fosse la prova degli apporti di terreno per costituire la strada in questione da parte dei proprietari dei fondi il cui sedime costituiva la superficie della via agraria.

Con il 3 motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Lamentano che la Corte d’appello aveva negato l’esistenza della denunciata turbativa, erroneamente ritenendo che essa consistesse nella mera costruzione del muro di recinzione oggetto della convenzione in data 31.1.1997 e in un cancello. Invece la turbativa non era identificabile in quelle opere essendo costituita proprio dalla costruzione dei palazzi a causa dei quali la strada non esiste piu’ perche’ anche il fosso era stato coperto. Si tratterebbe in realta’ di un errore di fatto in relazione al quale era stato interposto anche gravame per revocazione, qui riproposto per “tuziorismo”, nel caso non fosse ritenuto errore di fatto ma di giudizio.

Anche tale doglianza e’ infondata.

Occorre premettere che, una volta negata l’esistenza di un diritto di servitu’ di passaggio sulla strada, la doglianza appare del tutto inconferente non essendo configurabile alcuna turbativa giuridicamente rilevante di tale diritto (gli attori infatti, nella presente sede, non hanno agito in possessoria, avendo proposto un’ actio confessoria servitutis). D’altra parte la questione stessa e’ controversa in quanto la societa’ Group Sofim ha ammesso di avere realizzato solo la recinzione di cui alla convenzione 31.01.1997, deducendo che nessun addebito poteva esserle mosso per la realizzazione di altre diverse opere; in ogni caso era onere dei ricorrenti fornire la prova che tali edifici fossero stati realizzati da essa societa’ sui propri terreni.

La Corte territoriale peraltro ha ritenuto che le risultanze istruttorie escludessero tali circostanze proprio sulla base di siffatte contestazioni della societa’. Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato.

Passando all’esame del ricorso n. 1479/08, proposto dagli attuali ricorrenti contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1488 in data 1.10.2007 che ha dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione da essi proposta avverso la sentenza della stessa Corte d’Appello di Torino, n. 1242/2004 oggetto del ricorso per Cassazione di cui si e’ detto in precedenza. Con tale ricorso in revocazione i ricorrenti ritenevano che la sentenza della Corte torinese fosse frutto di due errori di fatto costituiti:

1) dall’erronea supposizione che fosse necessario un quid pluris rispetto al mero collegamento tra strada e fondo, mentre dagli atti di causa risultava che detto collegamento era costituito da un c.d.

ponte a tubi;

2) in ordine alla denunciata turbativa della servitu’ di passaggio, identificata nel muro di recinzione, mentre andava ricercata nelle costruzioni residenziali edificate, che avevano invaso la strada, di fatto eliminandola.

La Corte torinese aveva ritenuto insussistenti i dedotti errori di fatto in quanto l’accertamento della loro esistenza o della loro insussistenza presupponeva l’esame delle risultanze probatorie, esame che e’ precluso nel giudizio di revocazione.

Il presente ricorso per Cassazione si fonda su 4 mezzi; resiste con controricorso la soc. Group Sofin. Passando all’esame delle singole censure, con il primo motivo gli esponenti deducono il vizio di motivazione della sentenza, di cui lamentano la sinteticita’, essendo “carente di ogni disamina logico – giuridica degli elementi dai quali il giudicante ha desunto il proprio convincimento” ove ha ritenuto che i due errori di fatto non potevano considerarsi tali in quanto la loro analisi presupponeva la valutazione delle risultanze probatorie. In realta’ la sentenza impugnata ha immaginato il fosso completamente ricoperto di terra supponendo quindi una situazione di complanarita’ tra fondo ed adiacente strada, mentre non ha considerato che lo stesso fosso era coperto solo per alcuni metri in corrispondenza del c.d. ponte a tubi (ovvero passaggio intubato); per quanto riguarda la turbativa della servitu’, la stessa non era identificata nel muro di recinzione “ma nelle costruzioni residenziali che la convenuta si e’ fatta lecito di edificare invadendo la strada e cosi’ eliminandola a tutti gli effetti”.

Con il 2 motivo gli esponenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in riferimento alla via di accesso al fondo; deducono che il giudice era incorso in errore di fatto “nella percezione del significato letterale e logico della deposizioni testimoniali”;

Con il 3 motivo i ricorrenti deducono la medesima violazione della legge processuale, in riferimento alla via di accesso al fondo;

sostengono che costituisce errore denunciabile per revocazione, il travisamento dei fatti consistito nella specie nell’avere supposto il giudice un mero collegamento per complanarita’ tra strada e fondo latistante quando invece il collegamento era dato da un c.d. ponte a tubi posto sul fosso interposto tra strada e fondo; cio’ si tradurrebbe nell’inesatta percezione da parte del giudice stesso, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento (nella specie volto ad escludere l’apparenza del passaggio sulla strada al fondo) in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo.

Con il 4 motivo denunziano sempre la violazione e falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in riferimento alla turbativa del diritto di passaggio; deducono che costituisce vizio revocatorio il travisamento dei fatti costituiti nell’avere il giudice ritenuto che la turbativa della servitu’ di passaggio fosse costituita in un muro di cinta anziche’ nella costruzione di edifici residenziali sul sedime della strada.

Le suddette doglianze – che possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse – sono del tutto infondate. Bisogna premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto, che legittima l’impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c. consiste in una falsa percezione della realta’, in un errore, cioe’, obiettivamente e immediatamente rilevabile, tale da aver indotto il giudice ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti o dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo positivamente accertato in essi (sempre che tale fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale sia intervenuta adeguata pronuncia). L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilita’, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non puo’ consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per Cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. (Cass. n. 3652 del 20/02/2006; Cass. n. 10637 del 9.05.2007; Cass. n. 23856 de 18.9.2008).

Nella fattispecie in esame i pretesi errori di fatto (presenza del ed. ponte a tubi e la turbativa costituita dalla costruzione delle palazzine) non hanno di certo le caratteristiche indicate dalla giurisprudenza e certamente non sono (come definite dagli stessi ricorrenti) una “mera svista materiale”, in cui era caduto il giudice. D’altra parte neppure si tratta di punti non assolutamente controversi, atteso che la societa’ ha sempre negato di avere costruito alcunche’ oltre la recinzione di cui alla convenzione del 31.01.97; quanto al c.d. ponte a tubi il giudice non l’ha affatto ignorato e lo ha preso in esame sia pure per ritenerlo del tutto irrilevante ai fini dell’opera visibile e permanente richiesta per la costituzione della servitu’ apparente (opera strumentale al passaggio) (v. pag. 31 – 32 sentenza n. 1242/04; v. quanto sopra precisato sub 1 motivo del ricorso n. 388/05).

Certamente poi non puo’ costituire errore di fatto, la valutazione delle dichiarazione dei testi che il giudice ha operato (v. al riguardo: Cass. n. 1099 del 3.2.1994), non essendo di certo possibile ritenere che vi sia stata una sorta di totale travisamento del significato delle stesse deposizioni ad opera del giudice stesso, che al contrario si e’ dimostrato attento, preciso e puntuale nella valutazione dei fatti e delle prove. Infine la sollevata questione di illegittimita’ costituzionale dell’art. 366 bis c.p.c. e’ inammissibile essendo del tutto irrilevante ai fini della decisione.

Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere rigettati: le relative spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta ; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 4.800,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

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