Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13238 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 30/06/2020), n.13238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25211/2018 proposto da:

L.R., rappresentato e difeso dall’avv. Maria Monica Bassan;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore

domiciliato ex lege in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale di Verona Sezione di Padova;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

19/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 1/10/2019 dal Cons. Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.R. (alias R.), cittadino (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno e della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione di Padova e avverso il decreto n. 4112/2018 del 19 luglio 2018, emesso dal Tribunale di Venezia e in detta data comunicato, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere, in via principale, il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria, ovvero, in via subordinata, la protezione umanitaria.

A fondamento della domanda il ricorrente ha sostenuto di essere fuggito dal suo Paese in quanto accusato dai familiari della sua ragazza di essere il responsabile della morte di costei, avvenuta a seguito dell’assunzione di un medicinale per abortire; ha pure riferito di essere stato rintracciato in un’altra città dove si era rifugiato e di aver saputo dal fratello che alcune persone si erano introdotte nella sua casa, mentre era assente, minacciando di ucciderlo.

In particolare il primo Giudice ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione generale del (OMISSIS), descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

L’intimata Commissione non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5) in relazione all’applicazione dell’onere probatorio attenuato così come affermato dalle S.U. con la sentenza n. 27310 del 2008”.

2. Il secondo motivo è così rubricato: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) per mancata valutazione della situazione del Paese del richiedente ((OMISSIS)) ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

3. I motivi, da trattare unitariamente, perchè strettamente connessi, devono essere, comunque, disattesi per le ragioni più avanti indicate, evidenziandosi che la rituale costituzione in giudizio della P.A. – nella specie del Ministero dell’Interno, cui comunque fa capo la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione di Padova, pure destinataria del ricorso -, senza che la stessa abbia operato alcun disconoscimento della conformità della copia analogica della decisione impugnata, redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, priva di attestazione di conformità, nonchè del ricorso predisposto in originale telematico e notificato a mezzo pec, senza attestazione di conformità agli originali del predetto atto, della relata di notifica e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna depositati in copia analogica, anche ai fini della tempestività della notifica del ricorso, comporta la procedibilità e la tempestività del ricorso alla luce dei principi già affermati al riguardo da questa Corte (Cass., sez. un., 25/03/2019, n. 8312 e Cass., sez. un., 24/09/2018, n. 2243).

3.1. Le doglianze proposte con il primo motivo, con le quali si sostiene che il rigetto del ricorso sulla base della ritenuta non credibilità del ricorrente costituirebbe un “tentativo di elusione del compito, che grava… sul Giudice di prime cure, di valutazione della situazione del (OMISSIS) e della condizione in cui si troverebbe a vivere il ricorrente in caso di rimpatrio”, “in violazione del principio di collaborazione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3” sono in parte inammissibili e in parte infondate.

Ed invero, lo stabilire se una persona sia credibile o meno costituisce apprezzamento di fatto che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità.

Con riferimento specifico alla protezione internazionale, questa Corte ha già avuto modo di precisare condivisilmente che “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass., ord., 5/02/2019, n. 3340; v. anche Cass., ord., 7/08/2019, n. 21142 e Cass., ord., 30/10/2018, n. 27503).

Vanno rigettate le doglianze, formulate sia nel primo che nel secondo motivo, relative alla lamentata inosservanza, da parte del primo Giudice, del principio di cooperazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale va data continuità in questa sede, secondo cui, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass., ord., 27/06/2018 n. 16925; Cass., ord., 12/11/2018 n. 28862; Cass., ord., 12/06/2019, n. 15794; v. anche Cass., ord., 30/10/2018, n. 27503).

A quanto precede va aggiunto che, con specifico riferimento al riconoscimento della protezione sussidiaria, è stato già osservato da questa Corte che il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass., ord., 19/02/2019, n. 4892).

Inoltre va osservato che, citando fonti internazionali attendibili e sufficientemente aggiornate (v. p. 3 e 4 del decreto impugnato), il Tribunale ha pure accertato in fatto l’insussistenza, nei paese di origine del ricorrente, di un conflitto armato in corso, di una situazione di violenza indiscriminata tale da mettere a rischio la vita della popolazione, di una sistematica violazione dei diritti umani fondamentali e del rischio, per la parte ricorrente, di un danno grave alla propria incolumità in caso di rimpatrio.

3.2. Parimenti da disattendere sono le doglianze relative alla mancata valutazione dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Va evidenziato che la pretesa del ricorrente secondo cui deve essergli riconosciuta, ai fini del concessione della protezione umanitaria, una situazione di vulnerabilita da proteggere per il fatto stesso che, qualora tornasse nel Paese d’origine, sarebbe messo nella condizione di rischiare il carcere e subire abusi da parte della polizia (OMISSIS), e le doglianze relative alla mancata individuazione, nei familiari della sua ragazza, dai suoi persecutori nonchè all’omessa considerazione del percorso di integrazione del ricorrente, da parte del Tribunale, non colgono la ratio decidendi. Il Giudice del merito, infatti, anche alla luce della condizione del Paese d’origine, ha ritenuto, nella specie, non allegate o dimostrate circostanze di particolare vulnerabilità che possano assumere rilievo ai fini della protezione umanitaria, sul rilievo che la vicenda personale del ricorrente non vale a rappresentare un rischio specifico in caso di rimpatrio proprio per la genericità e inattendibilità del racconto (il che risulta in linea con i principi affermati da Cass., ord., 24/04/2019, n. 11267; Cass., ord., 20/12/2018, n. 33096), e ha reputato, altresì, la documentazione prodotta comunque non sufficiente a dimostrare l’integrazione in Italia del ricorrente, evidenziando che neppure una compiuta integrazione lavorativa nel nostro Paese può valere di per sè sola a giustificare la protezione umanitaria in mancanza di un rischio specifico per l’ipotesi di rimpatrio, che sia giustificato dalla vicenda personale del ricorrente e dalle condizioni del Paese di origine.

Va peraltro rimarcato che il fattore dell’integrazione sociale in Italia è recessivo qualora difetti la vulnerabilità, come affermato da questa Corte proprio con la sentenza 23/02/2018, n. 4455, richiamata nel decreto impugnato nonchè dallo stesso ricorrente.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del Ministero controricorrente in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA