Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13236 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 30/06/2020), n.13236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24649/2018 proposto da:

E.G.O. (alias E.), rappresentato e difeso

dall’avv. Maria Monica Bassan;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione

Padova;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata in data

2/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 1/10/2019 dal Consigliere Dott. SCRIMA ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

E.G.O. (alias E.), cittadino (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno e della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona Sezione di Padova e avverso il decreto del Tribunale di Venezia, depositato il 2 luglio 2018 e in pari data comunicato, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il Tribunale ha ritenuto che non fosse credibile la vicenda personale del ricorrente, di etnia (OMISSIS) e di religione (OMISSIS), il quale aveva riferito di essere fuggito nel 2016 a seguito di un attacco perpetrato ai terreni della sua comunità di appartenenza da parte degli uomini di una comunità vicina, riportando circostanze, per un verso, relative a conflitti per i terreni già in essere dal 2014 tra le diverse comunità e, per altro verso, alla magia nera da parte degli appartenenti alla comunità rivale. Ha evidenziato che non si comprendeva quale fosse il pericolo cui sarebbe stato esposto il ricorrente in caso di rientro nel paese d’origine, avendo lo stesso dichiarato che la madre, tre fratelli e tre sorelle vivono ancora in Nigeria e ha posto in rilievo ulteriori circostanze, specificamente indicate nella motivazione del provvedimento impugnato, a conferma dell’inverosimiglianza del racconto del ricorrente. Quel Giudice ha ritenuto, quindi, che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, tenendo conto pure della situazione generale della (OMISSIS) e dell'(OMISSIS), descritta nel decreto impugnato, con l’indicazione delle fonti, ed evidenziando che il ricorrente non ha allegato o dimostrato circostanze di particolare vulnerabilità che possano assumere rilievo ai fini della protezione umanitaria, che la vicenda personale del ricorrente non vale, per la sua inattendibilità, a rappresentare un rischio specifico in caso di rimpatrio e che, ai fini della concessione di un permesso umanitario, il ricorrente non ha allegato alcuna documentazione idonea a dimostrare una sua integrazione in Italia. A tale riguardo il Tribunale ha reputato non sufficiente la documentazione agli atti inerente alla sua frequenza di un corso di lingua italiana, atteso che nemmeno una compiuta integrazione lavorativa in Italia, nelle more della definizione delle procedure circa la delibazione della domanda di protezione internazionale, potrebbe valere, di per sè e in mancanza di un rischio specifico per l’ipotesi di rimpatrio, che sia motivato dalla vicenda personale e dalle condizioni del Paese di origine, a giustificare la protezione umanitaria, richiamando sul punto il principio di diritto affermato da Cass. 23/02/2018, n. 4455.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

1.1. L’attestazione di conformità del difensore, D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 bis, comma 9-bis, conv., con modif., dalla L. n. 221 del 2012, della copia analogica del decreto impugnato, predisposto in originale telematico, è priva di sottoscrizione autografa, essendo stata autenticata dal difensore mediante firma digitale, e, poichè il giudizio di legittimità non è ancora inserito nel sistema del PCT, questa Corte si trova nell’impossibilità di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale (Cass., ord., 29/11/2017, n. 28473 e Cass., sez. un., 25/03/2019, n. 8312).

In particolare, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza da ultimo citata, hanno precisato che “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata – redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 bis, comma 9 bis, convertito dalla L. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio”.

Nel caso di specie non ricorre alcuna delle suddette ipotesi idonee ad impedire la declaratoria di improcedibilità del ricorso, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede e non avendo il ricorrente proceduto al deposito di rituale asseverazione di conformità entro l’adunanza in camera di consiglio.

1.2. A quanto precede va aggiunto che non risulta neppure attestata la conformità della copia analogica del ricorso predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC senza che sia peraltro stata attestata la conformità agli originali della relata di notifica, della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna depositati in copia analogica, ribadendosi che, nella specie, gli intimati non hanno svolto attività difensiva e il ricorrente non ha depositato le asseverazioni, del difensore, di conformità agli originali delle copie analogiche dei predetti atti sino all’adunanza in camera di consiglio.

Al riguardo si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 24/09/2018, n. 2243 hanno, tra l’altro, affermato che: “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo posta elettronica certificata, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1-bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369 c.p.c. sia nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica di detto ricorso autenticata dal proprio difensore, sia in quello in cui, ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, non ne abbia disconosciuto la conformità all’originale notificatogli.

Anche ai fini della tempestività della notificazione del ricorso in originale telematico sarà onere del controricorrente disconoscere la conformità agli originali dei messaggi di p. e. c. e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente.

Ove, poi, il destinatario della notificazione a mezzo p. e. c. del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato, il ricorrente potrà depositare, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. (e senza necessità di notificazione ai sensi del comma 2 medesima disposizione), l’asseverazione di conformità all’originale (L. n. 53 del 1994, ex art. 9) della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (artt. 380 bis, 380 bis.1 e 380 ter c.p.c.). In difetto, il ricorso sarà dichiarato improcedibile” (v. sentenza citata, in motivazione).

2. Per completezza, si evidenzia che il ricorso è da ritenersi, comunque, inammissibile.

2.1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis) per mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente ((OMISSIS)) e della situazione personale del richiedente ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6”.

2.1.1. In particolare il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, propone doglianze totalmente generiche, con riferimento sia alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia alla situazione della (OMISSIS), sollecitando un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dai Giudici di merito, che hanno, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, anche mediante ampia e dettagliata descrizione della situazione del Paese di origine del richiedente, ed in particolare della zona specifica di provenienza del ricorrente ((OMISSIS)) con indicazione delle fonti.

2.1.2. Va poi aggiunto che il fattore dell’integrazione sociale in Italia, peraltro genericamente allegato in ricorso, è recessivo, qualora difetti la vulnerabilità, come affermato da questa Corte proprio con la sentenza 23/02/2018, n. 4455, richiamata nel decreto impugnato nonchè dallo stesso ricorrente.

Inoltre, il ricorrente non ha in alcun modo censurato l’ulteriore (rispetto a quella relativa al difetto nella specie del requisito della vulnerabilità) affermazione del Tribunale di Venezia secondo cui “ai fini della concessione di un permesso umanitario il ricorrente non ha allegato, poi, alcuna documentazione idonea a dimostrare una sua integrazione in Italia, non potendo in tal senso ritenersi sufficiente la documentazione agli atti attinente alla sua frequentazione di corso della lingua italiana”.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

4. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso; ai sensi dfel D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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