Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13234 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 30/06/2020), n.13234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23156/2018 proposto da:

I.W., rappresentato e difeso dall’avv. Maria Monica

Bassan;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale di Verona Sezione di Padova;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato in data

8/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 1/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.W., cittadino (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno e della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione di Padova e avverso il decreto n. 3298/2018 del Tribunale di Venezia, depositato in data 8 giugno 2018 e in pari data comunicato, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, il riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 10, comma 4 e art. 19, comma 1.

A fondamento della proposta domanda, il ricorrente aveva dedotto di aver lasciato il suo Paese per il timore di essere ucciso perchè perseguitato della setta degli (OMISSIS), precisando che il nonno era stato capo di tale setta del villaggio e che il padre si era poi convertito al cristianesimo ed aveva dato sepoltura al nonno secondo il rito cristiano e ciò aveva scatenato l’opposizione dei membri della detta setta alla quale egli aveva rifiutato di aderire.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

La Commissione intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, art. 14, lett. b) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria”.

2. Con il secondo motivo si deduce “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) per mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente ((OMISSIS)) ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

3. I motivi, da trattare unitariamente, perchè strettamente connessi, devono essere disattesi per le ragioni che seguono.

3.1. Le doglianze proposte con il primo motivo in relazione alla ritenuta non credibilità del ricorrente, che ha al riguardo lamentato l’errata valutazione delle dichiarazioni rese in merito ai metodi di reclutamento della società degli (OMISSIS) nonchè l’errata valutazione dell’estrazione sociale della sua famiglia, ad opera dei Giudici di primo grado, sono inammissibili. Ed invero, lo stabilire se una persona sia credibile o meno costituisce apprezzamento di fatto e, come tale, sfugge al sindacato di legittimità.

In particolare si osserva che, proprio con riferimento specifico alla protezione internazionale, questa Corte ha già avuto modo di precisare condivisibilmente che “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass., ord., 5/02/2019, n. 3340, v. anche Cass., ord., 7/08/2019, n. 21142).

Nella specie, in sostanza, il ricorrente censura, peraltro veicolando erroneamente le sue doglianze ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la valutazione delle sue dichiarazioni operata dal Tribunale, il quale ha ampiamente motivato in tema di non credibilità della detta parte (v. p. 6 e 7 del decreto impugnato).

3.2. Vanno rigettate le doglianze relative alla lamentata inosservanza, da parte del Tribunale, del principio di cooperazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto, cui va data continuità in questa sede. Questa Corte ha, infatti, affermato che “In tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass., ord., 19/02/2019, n. 4892). E’ stato pure condivisibilmente precisato dalla giurisprudenza di legittimità che “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., ord., 12/06/2019, n. 15794).

Va pure evidenziato che questa Corte ha altresì affermato che “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass., ord., 30/10/2018, n. 27503) e nella specie, con accertamento in fatto, il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal ricorrente sono poco credibili e che non vi è certezza sull’autenticità della provenienza dei documenti prodotti (dichiarazione resa dal fratello del ricorrente e report di polizia), motivando al riguardo (v. p. 3, 4 5 e 6 del decreto impugnato).

Stante la ritenuta non credibilità del suo racconto, il ricorrente non può, quindi, dolersi della “mancata individualizzazione da parte del Giudice della persecuzione che il ricorrente vivrebbe in caso di rientro nel proprio paese”.

3.3. A quanto precede va aggiunto che, citando fonti internazionali attendibili e sufficientemente aggiornate (v. p. 6 e 7 del decreto impugnato), il Tribunale ha pure accertato in fatto che: 1) nella specifica zona di provenienza del ricorrente ((OMISSIS)) la situazione non è caratterizzata da guerra diffusa o violenza generalizzata, essendo i contrasti confinati nelle regioni del nord della (OMISSIS); 2) non sono emersi elementi dai quali desumere l’impossibilità del ricorrente di avvalersi, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 6 della protezione delle autorità competenti; 3) dai fatti narrati non si deduce l’esistenza di un fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel paese d’origine a causa della razza, della religione, della nazionalità nè il ricorrente appare possedere caratteristiche specifiche e attendibili tali da esporlo, sotto tale profilo, a differenziato e qualificato rischio; 4) deve escludersi che il ricorrente corra un rischio specifico legato ad un contesto di minore violenza, stante la rilevata mancanza di credibilità del racconto e, per le medesime ragioni, non sussiste alcun motivo di persecuzione rilevante ai fini della protezione sussidiaria. In particolare il Tribunale, a tale ultimo riguardo, ha ritenuto, sempre in base ad un accertamento di merito, non censurabile in questa sede, che i fatti specificati dal ricorrente non configurano nè una persecuzione, nè un danno grave, nè un pericolo di persecuzione o di danno ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e che il ricorrente non ha dedotto argomenti convincenti in base ai quali ritenere che, se tornasse nel suo Paese, potrebbe essere perseguitato e potrebbe correre i pericoli per contrastare i quali è prevista la tutela richiesta.

3.4. Parimenti da disattendere sono le doglianze relative al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

A tale proposito il ricorrente sostiene che debba essere a lui riconosciuta una situazione di vulnerabilità, “determinata dalla persecuzione per opera della setta degli (OMISSIS), i cui membri minacciano la (sua) vita… per aver rifiutato di aderire al (loro) culto” nonchè “per il rischio dell’instabilità che vive la zona di provenienza a causa dei gruppi armati per la liberazione del (OMISSIS) dallo sfruttamento selvaggio delle risorse petrolifere ad opera delle multinazionali”, evidenziando che la protezione umanitaria, a suo avviso, va riconosciuta “tutte le volte in cui vi sia una situazione di insicurezza, anche temporanea, del Paese o della zona di provenienza del ricorrente”.

Le censure sono inammissibili in quanto, con esse, il ricorrente, sia con riferimento alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia in relazione alla situazione del suo Paese, tende ad una rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dal Tribunale, il quale ha escluso, con adeguata motivazione, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva e oggettiva, evidenziando anche la ritenuta non credibilità del ricorrente (v. in particolare p. 7 e 8 del decreto impugnato).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del Ministero controricorrente, in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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