Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13231 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 30/06/2020), n.13231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18990/2018 proposto da:

S.L.M., (alias S.L.), rappresentato e difeso

dall’avv. Maria Monica Bassan;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato ex lege in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale di Verona – Sezione di Vicenza;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato in data

8/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 1/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.L.M. (o S.L.) ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi nei confronti del Ministero dell’Interno e della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona – Sezione di Vicenza e avverso il decreto del Tribunale di Venezia n. 2347/2018, depositato in data 8 maggio 2018 e in pari data comunicato, di rigetto del ricorso dallo stesso proposto in primo grado e volto ad ottenere, in via principale, il riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria, stante la persecuzione nei suoi confronti messa in atto dai propri fratellastri (figli della prima moglie del padre del ricorrente) e la dedotta impossibilità di trovare protezione presso lo Stato, alla luce delle denunce da parte di Amnesty International sui processi iniqui relativi alla repressione dell’indebita appropriazione di terre che si svolgono in (OMISSIS) e l’elevato tasso di corruzione della polizia (OMISSIS), e, in subordine, il riconoscimento della protezione umanitaria, tenuto conto non solo della violazione dei diritti umani in (OMISSIS) (anche a fronte di una possibile carcerazione) ma anche del rischio di essere vittima “di un sistema di vendette” da parte dei fratellastri e in considerazione, altresì, delle vessazioni subite in Libia e del percorso di integrazione nel nostro Paese.

In particolare il primo Giudice, “stante la non credibilità dei riferiti episodi e l’insussistenza di una minaccia grave ed individuale per la vita del ricorrente in relazione causale diretta con la condizione soggettiva da questi narrata”, ha ritenuto non sussistenti presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Quel Tribunale ha reputato, altresì, non sussistenti i presupposti per la protezione sussidiaria di cui alla lett. c), non risultando la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nello Stato di origine del ricorrente ((OMISSIS)), tale da determinare un concreto pericolo per la vita o l’incolumità dei civili, evidenziando che la situazione socio-politica della Libia non poteva venire in considerazione, trattandosi di un mero Paese di transito nel quale il ricorrente non aveva alcun riferimento parentale o di lavoro. Infine, il Tribunale adito ha ritenuto non ravvisabili nella vicenda in parola elementi tali da integrare gravi motivi di carattere umanitario per la concessione della misura di protezione umanitaria, rilevando che “nel valutare la vulnerabilità della persona, se tale condizione deriva dalle esperienze vissute prima dell’arrivo in Italia, non si può prescindere dalla credibilità dello straniero, analogamente a quanto accade per lo status di rifugiato e per la protezione (eccezione fatta per la protezione sussidiaria ricollegabile ad una situazione di violenza indiscriminata)”.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – errata motivazione sulla credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente”.

Con tale mezzo la parte ricorrente contesta le motivazioni addotte dal Tribunale circa la ritenuta sua non credibilità.

2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) per mancata valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente ((OMISSIS)) ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

3. I motivi, da trattare unitariamente, perchè strettamente connessi, devono essere, comunque, disattesi per le ragioni più avanti indicate, in disparte la questione dell’inammissibilità del ricorso per difetto del requisito – prescritto dall’art. 365 c.p.c. – di specialità della procura per il giudizio di cassazione, in ossequio all’orientamento più restrittivo che si è andato consolidando nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 16/12/2004, n. 23381; Cass., 21/03/2005, n. 6070; Cass., ord., 24/07/2017, n. 18257; Cass., ord., 30/03/2018, n. 7940; Cass., ord., 11/10/2018, n. 25177; Cass., 2/07/2019, n. 17708). Secondo tale orientamento è inammissibile il ricorso per cassazione qualora – come nel caso all’esame – la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto al ricorso – peraltro privo di timbro di congiunzione con tale atto – faccia riferimento ad attività proprie del giudizio di merito e a diverse fasi processuali e non contenga alcun riferimento specifico al ricorso introduttivo, ossia al consapevole conferimento, da parte del cliente, dell’incarico al difensore per la proposizione del giudizio di legittimità, così risultando incompatibile con il carattere di specialità di questo giudizio (nella specie la procura fa riferimento specifico al procedimento davanti al Tribunale di Venezia Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione per la sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto di rigetto n. cronologico 2347, “in ogni sua fase, stato grado e giudizio”, nonchè – tra l’altro – ad attività incompatibili con il giudizio di cassazione e relative al giudizio di merito quali chiamare in causa terzi, svolgere riconvenzionali, deferire e riferire giuramenti, proporre querele di falso, procedere a esecuzioni e opposizioni, appellare, esperire procedimento di mediazione).

3.1. Le doglianze proposte con il primo motivo, attinenti alla motivazione del provvedimento impugnato, in relazione alla ritenuta non credibilità del ricorrente, sono inammissibili. Ed invero, lo stabilire se una persona sia credibile o meno costituisce apprezzamento di fatto e, come tale, sfugge al sindacato di legittimità. Inoltre, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il sindacato della motivazione del provvedimento impugnato è consentito nei soli ristretti limiti delineati da tale norma. E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Con riferimento specifico alla protezione internazionale, questa Corte ha già avuto modo di precisare condivisibilmente che “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass., ord., 5/02/2019, n. 3340; v. anche Cass., ord., 7/08/2019, n. 21142).

Nella specie, in sostanza, il ricorrente censura, inammissibilmente, la valutazione delle sue non del tutto collimanti dichiarazioni operata dal Tribunale, il quale ha ampiamente motivato in tema di non credibilità della detta parte (v. p. 7 e 8 del decreto impugnato).

3.2. Vanno rigettate le doglianze relative alla lamentata inosservanza, da parte del primo Giudice, del principio di cooperazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che si è affermato al riguardo e al quale va data continuità in questa sede.

Questa Corte ha, infatti, affermato che “In tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto Decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass., ord., 19/02/2019, n. 4892). E’ stato pure condivisibilmente precisato dalla giurisprudenza di legittimità che “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., ord., 12/06/2019, n. 15794).

Stante la ritenuta non credibilità del suo racconto, il ricorrente non può, quindi, dolersi della circostanza che il Giudice di merito non abbia “indagato” in relazione al “reale pericolo di danno grave che correrebbe… (la predetta parte) qualora fosse detenut(a) in carcere”.

A quanto precede va aggiunto che, citando fonti internazionali attendibili e sufficientemente aggiornate (v. p. 8 e 9 del decreto impugnato), il Tribunale ha pure accertato in fatto che nel paese di origine del ricorrente non sussiste una situazione di violenza generalizzata tale da determinare un concreto pericolo per la vita e l’incolumità dei civili.

3.3. Parimenti da disattendere sono le doglianze relative al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

Anzitutto non può essere condiviso l’assunto del ricorrente secondo cui, per il riconoscimento di tale tipo di protezione, sarebbe presupposto necessario e sufficiente la presenza di violenza

indiscriminata, ravvisabile in una realtà quale quella del (OMISSIS) nè ci si può al riguardo esimere dal rilevare che tale doglianza si basa su un presupposto ritenuto, comunque, insussistente dal Tribunale in base ad un accertamento in fatto.

Inoltre, va evidenziato che la pretesa del ricorrente, secondo cui va a lui riconosciuta, ai fini della concessione della protezione umanitaria, una situazione di vulnerabilità da proteggere per il fatto stesso che, qualora tornasse nel paese d’origine, sarebbe messo nella condizione di rischiare la vita per le condizioni umanitarie delle carceri (OMISSIS), e le doglianze relative all’omessa considerazione, da parte del Tribunale, del percorso di integrazione della detta parte ricorrente non colgono in alcun modo la ratio decidendi, avendo il Giudice del merito escluso, nella specie, la ravvisabilità di elementi tali da integrare gravi motivi di carattere umanitario per la concessione della misura della protezione umanitaria sul rilievo che, nel valutare la vulnerabilità della persona, se tale condizione deriva da esperienze vissute prima dell’arrivo in Italia, non si può prescindere dalla credibilità dello straniero che, nella specie, è stata esclusa e tale specifica affermazione (peraltro in linea con i principi affermat4) da Cass., ord., 24/04/2019, n. 11267; Cass., ord., 20/12/2018, n. 33096) non risulta investita in alcun modo dalle censure del ricorrente.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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