Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13228 del 25/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/05/2017, (ud. 03/03/2017, dep.25/05/2017),  n. 13228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3299-2016 proposto da:

M.B., P.R., domiciliati in ROMA presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentati e difesi

dall’avv. GERMANA RISO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

R.A., G.M., G.C., GI.MA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BENACO 5, presso lo studio

dell’avvocato MARIA CHIARA MORABITO, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIULIANO STRACCI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

– intimati –

avverso la sentenza n. 188/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 02/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/03/2017 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dai ricorrenti.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

G.S. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Macerata i coniugi M.B. e P.R., deducendo che gli stessi si erano resi gravemente inadempienti agli obblighi scaturenti dal preliminare di compravendita del 15 febbraio 2007, con il quale i convenuti si erano obbligati al trasferimento della proprietà di un loro appartamento, con la conseguente condanna alla restituzione del doppio della caparra, ovvero con l’accertamento che l’immobile era affetto da vizi e difetti di costruzione che lo rendevano inidoneo all’uso, dichiarando per l’effetto la risoluzione del contratto, e sempre con la condanna alla restituzione del doppio della caparra.

Inoltre si deduceva quale altro fattore di inadempimento la circostanza che i promittenti venditori non avevano ancora provveduto alla cancellazione dell’ipoteca che gravava sul bene, ed in contrasto con gli impegni assunti con lo stesso preliminare.

Nella resistenza dei convenuti, i quali contestavano la fondatezza della domanda attorea, il Tribunale adito con la sentenza n. 583 del 18 maggio 2010, dichiarava risolto il contratto per l’inadempimento dei promittenti venditori, condannando gli stessi alla restituzione delle somme ricevute a titolo di caparra e di acconto prezzo, con gli interessi dalla ricezione sino al soddisfo.

La Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 188 del 2 febbraio 2015 rigettava l’appello principale, ed in accoglimento dell’appello incidentale, condannava le originarie parti convenute anche al risarcimento del danno pari ad 5.220,00, corrispondente all’ammontare della provvigione versata dagli attori al mediatore immobiliare.

Rilevavano i giudici di appello che effettivamente sussisteva il grave inadempimento dei convenuti in relazione all’obbligo che gli stessi avevano assunto di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca per la data del 31 dicembre 2007, obbligo che, secondo la condivisibile valutazione del giudice di prime cure, aveva una particolare importanza nell’economia complessiva del contratto, in quanto la cancellazione dell’ipoteca scongiurava il pericolo di una futura evizione del bene in conseguenza delle azioni del creditore ipotecario.

In tale ottica risultava anche irrilevante indagare circa le sorti del mutuo ipotecario a garanzia del quale era stata iscritta l’ipoteca non cancellata, in quanto la sola presenza dell’ipoteca, a prescindere dalle sorti del debito garantito, determina una limitazione alla libera circolazione del bene, e costituisce, secondo la giurisprudenza di legittimità, un inadempimento del promittente venditore.

Disatteso altresì il motivo concernente la condanna dei convenuti al pagamento delle spese di lite, e dopo aver ritenuto assorbito il motivo di appello incidentale concernente la pretesa esistenza di vizi della cosa promessa in vendita, accoglieva il motivo di gravame incidentale concernente la richiesta di risarcimento danni del promissario acquirente, ritenendo che il versamento della provvigione in favore del mediatore era un esborso direttamente riconducibile alla conclusione del preliminare poi risolto per colpa dei convenuti.

M.B. e P.R. hanno proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di tre motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 1362 e 1457 c.c., nonchè la carenza di motivazione, nella parte in cui la decisione gravata ha ritenuto che la data del 31 dicembre 2007, prevista per la stipula del definitivo e per la cancellazione dell’ipoteca fosse un termine essenziale.

Si deduce che il giudice di merito ha omesso ogni considerazione circa l’esatta attribuzione del carattere di essenzialità al detto termine, omettendo di rinvenire tale natura nell’effettiva volontà delle parti.

Inoltre si è trascurato il fatto che il termine non poteva assumere carattere essenziale in ragione del fatto che la concessione in comodato dell’immobile in favore del figlio del promissario acquirente (comodato destinato a protrarsi per una data successiva a quella del 31 dicembre 2007), sicchè doveva reputarsi che il termine inizialmente contemplato in contratto non aveva più valore determinante.

Il motivo è manifestamente infondato in quanto parte ricorrente non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

I giudici di merito, infatti, a pag. 4 della sentenza, e precisamente nell’ultimo paragrafo, sono addivenuti alla pronuncia di risoluzione del contratto (con una statuizione a carattere costitutivo, e non già di mero accertamento di una già intervenuta risoluzione di diritto, come nel caso in cui si fosse opinato per l’applicabilità dell’art. 1457 c.c.) reputando irrilevante accertare se il termine previsto per la cancellazione avesse o meno natura essenziale, procedendo quindi ad una valutazione complessiva delle prestazioni scaturenti dal contratto, ed osservando che l’omessa cancellazione costituiva un grave inadempimento, tenuto conto di quella che, ad insindacabile giudizio del giudice di merito, era la complessiva valutazione del peso nell’economia del contratto delle reciproche obbligazioni assunte in occasione della stipula del preliminare.

Trattasi di argomentazioni che oltre ad evidenziare un adeguato supporto motivazionale a sostegno della pronuncia di risoluzione, risultano sviluppate proprio per respingere la doglianza di analogo contenuto sollevata dagli appellanti in grado di appello circa la pretesa non essenzialità del termine.

Ed invero, anche le critiche circa la corretta interpretazione delle volontà contrattuali, in relazione alle quali peraltro non si riproduce integralmente il testo delle clausole interessate dal motivo di ricorso nel corpo del ricorso stesso, investono unicamente l’attribuzione della qualità di essenziale al detto termine, di modo che l’evidente erroneità nella individuazione della ragione che ha portato all’accoglimento della domanda attorea, inficia in radice la stessa pertinenza del motivo di ricorso in quanto volto a contestare un argomento che invece il giudice di merito non ha inteso valorizzare, essendosi invece dato rilievo al fatto che la cancellazione dell’ipoteca, quale prestazione avente carattere fondamentale nell’economia complessiva del contratto, non era intervenuta nè prima nè dopo la scadenza del termine previsto.

Il secondo motivo, senza peraltro nemmeno puntualmente specificare in quale ipotesi di vizio, suscettibile di essere denunziato in sede di legittimità, si inquadri la censura, lamenta la carenza di motivazione, riproponendo in sostanza, e sotto diversa veste, le critiche alla valutazione di essenzialità del termine del 31 dicembre 2007.

Al richiamo alle superiori considerazioni espresse in occasione della disamina del primo motivo, deve altresì aggiungersi che la doglianza non si confronta con quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze nn. 8053-8054/2014 con le quali, a seguito della novella del 2012, si è ribadito che l’obbligo di motivazione debba intendersi ridotto al cd. minimo costituzionale, risultando quindi denunziabile, e sotto il profilo della violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 4, la sola anomalia della motivazione che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, situazioni queste che evidentemente non ricorrono nel caso in esame.

Il terzo motivo infine denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il giudice di merito non avrebbe ammesso la prova testimoniale volta a dimostrare che i ricorrenti si erano attivati al fine di ottenere l’estinzione anticipata del mutuo.

Tuttavia deve evidenziarsi che il giudice di appello nella sentenza gravata ha comunque esaminato le circostanze dedotte con i capi di prova non ammessi, evidenziando che erano irrilevanti ai fini della decisione, in quanto, anche laddove si fosse ravvisata la non imputabilità dei ricorrenti in merito alla estinzione del mutuo, in ogni caso non risultava che fosse intervenuta la cancellazione dell’ipoteca alla quale si erano impegnati, e che costituiva un intralcio alla circolazione giuridica del bene promesso in vendita, tale da giustificare la pronuncia di risoluzione.

Ne consegue che il fatto asseritamente decisivo è stato in realtà valutato dal giudice di merito, che con motivazione adeguata ne ha escluso la rilevanza.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 – quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro, 5.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2017

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