Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13227 del 27/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 27/06/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 27/06/2016), n.13227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3285-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

I.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

TRIONFALE 7 presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANNUCCI, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale al margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 284/39/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA del 13/03/2013, depositata il 13/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. Relatore ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito l’Avvocato Luigi Mannucci difensore del controricorrente che

si riporta alla memoria.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi contro la sentenza resa dalla CM del Lazio n.284/39/13, depositata il 13.6.2013 che, riformando la decisione di primo grado, ha ritenuto illegittimo l’accertamento basato su redditometro a carico di I.M.R. per l’anno 2005.

La parte intimata ha depositato controricorso.

La causa è stata rinvia alla pubblica udienza in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione di massima di particolare rilevanza sollevata da questa sottosezione con ordinanza n. 527/2015 ed infine posta in decisione dopo il deposito di memorie della parte intimata

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente prospetta con il motivo la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7. La CTR, anche a non volere considerare la non applicabilità della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 alla fattispecie di accertamento sulla base del redditometro, avrebbe dovuto riconoscere le ragioni di urgenza invece negate dal giudice di merito ancorchè non indicate nell’avviso di accertamento.

Con il secondo motivo si deduce la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies. La CTR ha ricondotto la fattispecie al suo esame al paradigma della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 senza considerare che il termine dilatorio ivi fissata non trova applicazione per gli accertamenti reddimmetrici e che in ogni caso non si sono svolti nei luoghi di pertinenza del contribuente.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non avendo considerato che ai fini del superamento della presunzione nascente dalla ricordala disposizione occorre la prova del carattere esente dei redditi indicati o l’esistenza di redditi soggetti a ritenuta alla fonte.

Con il quarto motivo si deduce il vizio di insufficiente motivazione o di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti.

La parte intimata ha chiesto il rigetto del ricorso rilevandone l’infondatezza, depositando altresì memorie.

Occorre esaminare con priorità il secondo motivo di ricorso per ragioni di ordine logico. La censura fondata e assorbe l’esame del primo motivo.

Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24823, depositata il 9 dicembre 2015, esaminando la questione, rimessa da questa sottosezione con ordinanza interlocutoria n.527/2015, hanno chiarito che le garanzie fissate nella L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni. Le S.U. hanno poi specificamente chiarito che tra gli accertamenti “a tavolino” rientra il caso del c.d. redditometro, per il quale il legislatore ha imposto l’obbligo del contraddittorio solo a partire dal D.L. n. 78 del 2010.

Nella medesima occasione le Sezioni Unite hanno chiarito che “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto fa valere, qualora il contraddittorio fosse state tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”.

Orbene, la decisione impugnata si pone in contrasto con gli enunciati principi di diritto.

Ha, infatti, considerato come dato pacifico l’applicazione alla fattispecie al suo esame della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 disponendo l’annullamento dell’atto impositivo dedotto in controversia per difetto di contraddittorio endoprocedimentale ancorchè non sussistesse in capo all’Amministrazione fiscale, venendosi pacificamente in tema accertamento redditometrico senza accesso nei locali dell’impresa – v. pag 2 ss., controricorso, nei quale si dà atto dell’invio del questionario da parte dell’ufficio e delle successive fasi di invio delle informazioni e di contraddittorio pag. 2 memoria controricorrente depositata in prossimità dell’udienza di discussione del 4.2.2015, pag. 4, 2 e 3 periodo memoria controricorrente depositata in prossimità dell’udienza del 28.4.2016″ – alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale.

Va poi evidenziato che, con la memoria ex art. 378 c.p.c., la parte contribuente ha sollevato questione di legittimità costituzionale della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (come interpretato dalla su menzionata decisione delle sez. unite 24823/2015, ritenuta costituire “diritto vivente”), per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. nonchè del canone di ragionevolezza intrinseca ex art. 97 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost., anche in riferimento all’art. 111 Cost., evidenziando che analoga questione di costituzionalità è stata sollevata dalla CTR Toscana con ordinanza 736/1/15 in data 21-12-2015/18-1-2016.

La questione è manifestamente infondata.

Come evidenziato, invero, dalle S.U. nella ricordata senta 24823/2015 il dato testuale della detta L. n. 212 del 2000 art. 12, comma 7, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali”;

siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica (“in loco” o “a tavolino”), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.; nè una questione di costituzionalità, sempre con riferimento all’art. 3 Cost. può porsi per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e “tributi non armonizzati”, atteso che, come anche in tal caso evidenziato dalla su menzionata sentenza delle S.U. n. 24823/2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale. Del resto, poichè il sistema di tassazione diretta, nel suo complesso, non ha alcun rapporto con quello dell’IVA, non può ritenersi che una soluzione in tema di contraddittorio endoprocedimentale in materia IVA diversa da quella espressa per i tributi diretti crei un vulnus al principio di non discriminazione sul versante comunitario ne a quello della ragionevolezza sul piano interno – cfr. Corte giust. 17 marzo 2007, causa C-35/05; Cass.22132/2013-.

L’affermata insussistenza, nell’ordinamento tributario nazionale, di una clausola generale di contradditorio endoprocedimentale non viola, inoltre, nè l’art. 24 Cost. nè l’art. 111 Cost., atteso che, come espressamente affermato da Cass. S.U. n. 24823/2015, le garanzie di cui all’art. 24 “attengono, testualmente, all’ambito giudiziale”, ne l’art. 111 Cost., in quanto il giudizio tributario, pur nella sua particolarità, è comunque rispettoso del principio della cd “parità delle armi”, giacchè, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente.

Passando all’esame del terzo motivo di ricorso, lo stesso e manifestamente fondato.

La CTR, ritenendo l’illegittimità dell’accertamento sulla base di risparmi depositati su un libretto e delle dichiarazioni sostitutive rese da terzi dalle quali aveva desunto la prova dell’esistenza di donazioni da parte di un soggetto a suo tempo legato da una relazione sentimentale alla contribuente e di altre somme elargite dall’ex marito, ha omesso compiere alcuna indagine sulla natura eventualmente esente dei redditi e/o del fatto che tali somme fossero soggette a ritenuta alla fonte a titolo di imposta – cfr. Cass. n. 6813/2009-.

Anche il quarto motivo di ricorso è manifestamente fondato nei termini di seguito esposti. Ed invero, la CTR ha totalmente tralasciato di esaminare il fatto storico che le somme indicate dalla contribuente come idonee a giustificare la maggiore capacità di spesa rappresentavano solo un segmento notevolmente inferiore degli importi impiegati per l’acquisto dei beni mobili ed immobili -di ingente valore- indicati nell’accertamento.

Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi dalla controricorrente, il ricorso va accolto e la sentenza rinviata ad altra sezione della CTR del Lazio affinchè si uniformi ai principi sopra indicati pure liquidando le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Accoglie i motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR del Lazio affinchè si uniformi ai principi sopra indicati pure liquidando le spese del Giudizio di legittimità.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2016

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