Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13226 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22295-2018 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA SAVELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Bari, confermando la sentenza del Tribunale di Trani, ha rigettato l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) e dall’Ufficio scolastico provinciale per la Puglia avverso la sentenza di primo grado – che aveva riconosciuto in capo a L.M.G. il diritto alla medesima progressione stipendiale prevista per i docenti di ruolo – e ha condannato il Ministero al pagamento delle differenze stipendiali alla stessa spettanti;

la Corte territoriale ha ripercorso in motivazione i punti cardine della questione discussa in diritto, facendo riferimento alle seguenti fonti:

1) Clausola 4) dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato CES CEEP e UNICE e recepito nella Direttiva 99/70/CE che ha sancito il divieto di disparità di trattamento fra contratti a termine e contratti a tempo indeterminato;

2) giurisprudenza della Corte Europea di giustizia, che in plurimi arresti ha riconosciuto la natura incondizionata del principio di non discriminazione, di tal che è legittimo ottenere il pagamento di differenze retributive quando queste si siano prodotte in virtù del riconoscimento di un beneficio economico riservato ai soli lavoratori a tempo indeterminato (cfr. per tutte CGE, causa C307/05 – Del Cerro Alonso);

3) giurisprudenza di legittimità, che con sentenza Cass. n. 22558 del 2016, seguita da molte altre, ha ritenuto non giustificata la lamentata diversità di trattamento ed ha, quindi stabilito il diritto degli insegnanti, incaricati con reiterati contratti a termine, di essere retribuiti secondo il medesimo sistema di progressione professionale previsto per gli assunti a tempo indeterminato;

ha inoltre rigettato l’appello incidentale proposto dall’appellata, col quale la stessa si doleva della sentenza nella parte in cui aveva negato la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato e il riconoscimento del risarcimento del danno da abuso di reiterazione;

in particolare, ha fatto derivare l’esclusione della responsabilità risarcitoria in capo al Ministero dall’accertamento sullo stato di servizio dedotto e allegato dalla docente, il quale non era idoneo a provare che la stessa, a una certa data (10 luglio 2001), fosse stata interessata per un periodo superiore a tre anni dall’illegittima e abusiva reiterazione d’incarichi di supplenza annuali su organico di diritto, e che, anche in base ad una valutazione complessiva degli incarichi di supplenza annuali su organico di fatto, non fosse emerso un uso distorto e improprio del potere di organizzazione del servizio scolastico da parte del Ministero tale da giustificare il risarcimento da abuso di reiterazione del contratto a termine;

il MIUR ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sulla base di un unico motivo;

L.M.G. ha resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il Ministero ricorrente contesta “Violazione e/o falsa applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 485,489 e 569”;

censura la sentenza gravata per non aver tenuto conto dell’intervenuta stabilizzazione della docente, a seguito della quale l’anzianità lavorativa maturata durante il regime pre-ruolo deve essere computata in base alla normativa interna vigente in tema di ricostruzione della carriera (nella specie dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485);

il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 2;

questa Corte ha stabilito il principio secondo cui “Nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.” (Cass. n. 22558 del 2016);

del sopracitato principio la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, nè il Ministero ricorrente ha aggiunto elementi tali da poter indurre a riconsiderare tale consolidato orientamento;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, disponendosene la distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

si dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 a titolo di compensi professionali, da distrarsi in capo al difensore dichiaratosi antistatario, oltre spese generali della misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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