Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13225 del 27/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 27/06/2016, (ud. 03/05/2016, dep. 27/06/2016), n.13225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27976-2013 proposto da:

LATTERIA SOCIALE STALLONE SOC COOP ARL (OMISSIS), in persona

del suo legale rappresentante pro tempore P.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO FELICE, 89, presso lo

studio dell’avvocato TIZIANO MARIANI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA PELLEGRINI giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

RIPETTA 258, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO TERRA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE BRAVI giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

P.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1472/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 26/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/D5/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato BRASCA LEONARDO;

udito l’Avvocato MASSIMO TERRA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 26.8.2013 n. 1472, ha accolto parzialmente l’appello principale proposto da P.R. e dalla società cooperativa Latteria Sociale Stallone a r.l., riformando la decisione di prime cure del Tribunale di Piacenza in punto di accertamento della responsabilità extracontrattuale ex art. 2395 c.c., dell’amministratore della società P.R., rilevando che, la omessa adozione delle misure di sicurezza nell’esercizio dell’attività di marchiature delle forme di grana padano, ed il conseguito incendio verificatosi il 31.7.1991 che aveva distrutto i prodotti conferiti dai soci, non configurasse un danno diretto nella sfera patrimoniale del socio R.M., ma riverberasse esclusivamente sul patrimonio sociale e sulla perdita di utili societari, difettando quindi i presupposti per la condanna del P. al risarcimento dei danni lamentati dal socio R..

Confermava per il resto la decisione di prime cure rigettando gli altri motivi dell’appello principale in quanto, da un lato, inidonei a privare di fondamento la decisione impugnata, investendo soltanto la qualifica extracontrattuale dell’illecito della società e lasciando quindi impregiudicato l’accertamento, compiuto dal medesimo giudice, della concorrente responsabilità contrattuale della società; dall’altro inammissibili ex art. 342 c.p.c., essendo rivolti a contestare una sentenza (resa tra la società cooperativa ed il Consorzio Grana padano) diversa da quella impugnata, e comunque infondati, non avendo percepito la socia danneggiata alcun indennizzo assicurativo od altro ristoro del danno, corrisposti invece alla società. cooperativa. La Corte territoriale rigettava inoltre l’appello incidentale della R..

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione la società cooperativa deducendo con quattro motivi vizi di violazione di norme di diritto sostanziali e processuali. Ha resistito con controricorso R.M.. Non ha svolto difese P. R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre esaminare prioritariamente il quarto motivo di ricorso con il quale si censura la sentenza di appello per aver dichiarato inammissibile il secondo motivo di gravame dell’atto di appello (motivo indicato con la lettera B) per difetto di specificità ex art. 342 c.p.c..

La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile tale motivo di gravame, formulato sotto la lettera B dell’atto di appello principale proposto dalla società cooperativa rilevando che:

il motivo era limitato a censurare la decisione di prime cure in relazione al solo profilo della affermata “responsabilità extracontrattuale” della società cooperativa, rendendo carente l’interesse alla impugnazione, posto che il primo giudice aveva ravvisato, nella medesima condotta ascritta alla società, anche una “responsabilità contrattuale” verso il socio: tale capo di sentenza non era stato investito dai motivi di gravarne e dunque era passato in giudicato il motivo non censurava specificamente le statuizioni della decisione di primo grado concernenti l’accertamento – alla stregua delle prove raccolte – dei fatti costitutivi della responsabilità extracontrattuale, ed ometteva altresì di indicare elementi probatori idonei a fornire la prova liberatoria dalla responsabilità, anche in relazione alla fattispecie dell’illecito contemplato dall’art. 2050 c.c., ravvisata dal primo giudice il motivo dirigeva interamente la propria critica nei confronti di altra sentenza, diversa da quella impugnata, pronunciata tra la società cooperativa ed il Consorzio Grana Padano, conclusasi peraltro con l’affermazione della concorrente responsabilità extracontrattuale della società cooperativa, essendo stato accertato in quel giudizio il contributo causale di quest’ultima nella produzione del danno, in misura pari al 35%.

Tali statuizioni vengono impugnate con il quarto motivo di ricorso che assolve al requisito di autosufficienza, avendo la ricorrente correttamente riportato la trascrizione del motivo di appello, nonchè dei passi rilevanti della motivazione della sentenza di primo grado del Tribunale di Piacenza.

La verifica demandata alla Corte non può infatti prescindere dal termine di confronto che viene dato dalla pronuncia di prime cure impugnata con l’atto di appello, alla stregua della quale soltanto può essere valutato se il motivo di gravame: a) si rivolga a puntuali affermazioni contenute nella sentenza di primo grado che integrino le “rationes decidendi” che sostengono la “regula juris” applicata al rapporto controverso, e non si esaurisca invece in astratte e generiche doglianze di ingiustizia della decisione; b) se la critica svolta nel motivo di gravame sia conferente con gli argomenti giuridici o con la rilevazione della fattispecie concreta posti a fondamento della decisione di prime cure, e cioè renda comprensibile al Giudice della impugnazione la relazione di corrispondenza tra la singola censura e la singola statuizione impugnata.

Tanto premesso la sentenza di prime cure del Tribunale di Piacenza n. 589/2005 (cfr. ricorso pag. 38-40):

– ha ritenuto provati i fatti attributivi della concorrente responsabilità della società cooperativa, in base “ai verbali dei Carabinieri, dei Vigili del Fuoco, e da ultimo, della sentenza di questo Tribunale in data 31 gennaio/2 febbraio 2001”, condividendo gli accertamenti compiuti in tale giudizio ed individuando, pertanto, il concorso di colpa della società cooperativa 1 – nella mancanza di ancoraggio della bombola che, cadendo, ha determinato la fuoriuscita di gas che ha provocato l’incendio; 2 – nella imputazione della predetta condotta omissiva ai dipendenti della cooperativa “essendo pacifico che i carrelli elevatori e le bombole erano di proprietà della Cooperativa” che non aveva adottato alcuna misura precauzionale ad evitarne la caduta; 3 – nella assenza di opportune direttive, volte ad assicurare lo svolgimento in sicurezza di una attività pericolosa, impartite dai responsabili della Cooperativa, quali organizzatori della attività d’impresa, considerato che la fase della marchiature delle forme del grana veniva svolta con ritmi di lavoro frenetici e tali “da non consentire agli operatori di porre la dovuta attenzione per evitarne la caduta (ndr delle bombole)”. – ha dunque concluso per l’affermazione della responsabilità diretta degli amministratori della società cooperativa per i danni cagionati al socio, ex art. 2395 c.c., “dovendosi tener conto altresì che si tratta di esercizio di attività pericolosa”; per la responsabilità della società cooperativa ex art. 2049 c.c., per il fatto dannoso degli amministratori ed “in via concorrente, a titolo contrattuale in relazione all’obbligo di custodia delle forme di formaggio” dovendo considerarsi che la Cooperativa “è contrattualmente responsabile della custodia del prodotto derivato dalla trasformazione dei conferimenti.

Orbene nel motivo di gravame indicato alla lettera B (trascritto nel ricorso a pag. 42-48), la società cooperativa, individua le ragioni della decisione di prime cure, riportate sopra, deducendo che il primo giudice non aveva correttamente esaminato le risultanze probatorie e gli accertamenti compiuti nella precedente sentenza del 2001, dalla quale emergeva che la società cooperativa era da ritenersi estranea alla attività pericolosa della fase di marchiatura del prodotto, che era invece esclusivamente riservata al Consorzio Grana Padano: a tal fine l’appellante riproduceva, a sostegno della propria tesi difensiva, ampi stralci della sentenza del 2001 (cfr. pag. 43-45 e pag. 46-47 del ricorso) da cui risultava la responsabilità del Consorzio, contestando la statuizione della sentenza del 2005 impugnata che aveva ravvisato la concorrente responsabilità della Cooperativa.

E’ ben vero che l’appellante, nella esposizione del motivo di gravame, viene a contestare anche talune affermazioni contenute nella sentenza del 2001 emessa nell’altro giudizio (in particolare la affermazione di concorrente responsabilità della Cooperativa, fondata sul consenso prestato da Latteria Sociale Stallone s.c. a r.l. all’impiego dei propri dipendenti nella frenetica fase di marchiatura del prodotto, “perchè agissero in autonomia rispetto all’esperto (ndr. del Consorzio Grana Padano) e come lui procedessero in parallela alla apposizione del marchio a fuoco uno solo di essi se le bombole erano due, tre di essi se le bombole erano quattro”) ma ciò non comporta la inconferenza della critica in quanto rivolta ad una sentenza diversa da quella impugnata, posto che gli argomenti svolti sono diretti a sostenere la tesi difensiva –

contrapposta a quella accolta invece dalla sentenza impugnata n. 589/2005 – secondo cui la consapevolezza da parte dei responsabili della Cooperativa delle modalità operative e della pericolosità dell’attività svolta non potrebbe comunque fondare una concorrente responsabilità in difetto di un preciso obbligo giuridico di attivazione per evitare il pericolo.

Ne segue che il motivo di gravame, per quanto concerne la impugnazione dell’accertamento della responsabilità aquiliana della Cooperativa, non poteva essere considerato generico (in quanto argomentato su una specifica tesi difensiva contrapposta a quella accolta nella sentenza di prime cure), nè inconferente (atteso che gli argomenti critici venivano a confutare singolarmente gli elementi in fatto costitutivi dell’affermazione di concorrente responsabilità della società cooperativa, e posti a base della sentenza impugnata in quanto desunti anche dagli accertamenti compiuti nell’altro giudizio definito con la sentenza del 2001).

Ma il motivo di gravame non supera, tuttavia, il rilievo di inammissibilità dell’appello che fonda la decisione della Corte territoriale in punto di omessa specifica impugnazione del capo della sentenza del Tribunale di Piacenza n. 589/2005 che affermava la concorrente responsabilità contrattuale della società cooperativa per violazione dell’obbligazione di “custodia del prodotto derivato dalla trasformazione dei conferimenti” (cfr. sentenza di appello, in motivazione, pag. 5 e 6), con conseguente passaggio in giudicato del relativo titolo di responsabilità per danni.

Inidonee a superare detto rilievo sono le indicazioni testuali tratte dalla ricorrente dal contenuto linguistico-espressivo del motivo di gravame in questione, apparendo del tutto aspecifico rispetto al “thema demonstrandum” il contenuto semantico da attribuire:

a) alla “intestazione” del motivo indicato alla lettera B dell’atto di appello, rivolta al capo della sentenza di primo grado concernente indifferentemente la responsabilità degli amministratori e/o della cooperativa;

b) alla “richiesta conclusiva” di rigetto della domanda attorea “nei confronti di entrambi i convenuti”, formulata in esito alla esposizione del predetto motivo di gravame (cfr. trascrizione atto di appello, pag. 57-59 ricorso).

Come è noto, infatti, la intestazione o la rubrica che precede il motivo di impugnazione, non è affatto vincolante nella individuazione da parte del Giudice dell’effettiva censura svolta dalla parte, che deve essere invece desunta dagli argomenti in fatto e diritto in concreto sviluppati nella parte espositiva (cfr. inter alias: Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14026 del 0310812012; id. Sez. U Sentenza n. 17931 del 24/07/2013): nel caso di specie alla genericità della “intestazione”, non fa seguito nel corpo espositivo del motivo di gravame alcuno specifico riferimento alla contestazione della responsabilità “ex contractu”, non risultando contestata la esistenza di una obbligazione contrattuale, ed omettendo la appellante di individuare quale fosse il titolo ed il contenuto del rapporto contrattuale in concreto intercorso tra la società cooperativa ed il socio R., se in particolare si trattasse di un rapporto di scambio ovvero se il rapporto avesse invece ad oggetto un contratto d’opera o di appalto diretto alla trasformazione del prodotto che rimaneva in proprietà del socio, ovvero ancora una commissione di vendita del prodotto lattiero trasformato. Neppure è indicato nel motivo di gravame se e quale fosse il corrispettivo pattuito, e neppure se e quale fosse stato lo sforzo diligente in concreto prestato dalla società cooperativa per garantire l’adempimento delle obbligazioni contrattuali.

Ne segue che le lacune e carenze evidenziate si comunicano necessariamente anche alla richiesta conclusiva di rigetto della domanda attorea, genericamente riferita ad “entrambi i convenuti” – e cioè al P., n.q. di amministratore, ed alla società cooperativa -, atteso che tale richiesta appare priva “ex se” di capacità individuativa della critica svolta alle statuizioni della sentenza di prime cure, rinviando alle ragioni argomentative esposte a sostegno del motivo di gravame e che, come già rilevato, non contengono elementi specifici di contestazione della affermazione di responsabilità “ex contractu” della società cooperativa, essendo interamente rivolte ad escludere un concorrente concorso causale della stessa nell’illecito extracontrattuale, tendendo a dimostrare –

secondo la tesi difensiva sostenuta dall’appellante – la oggettiva estraneità della società cooperativa alla attività della apposizione del marchio a fuoco sulle forme di formaggio, in quanto attività – asseritamente – demandata in via esclusiva al Consorzio Grana Padano.

In conclusione il quarto motivo deve ritenersi infondato e la sentenza impugnata, laddove ha statuito la inammissibilità del motivo di gravame per omessa impugnazione del capo della decisione di prime cure che accertava la responsabilità contrattuale della Cooperativa – con conseguente passaggio in giudicato interno – deve ritenersi, pertanto, esente dal vizio processuale denunciato.

Occorre quindi occuparsi dell’esame degli altri motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso la società cooperativa impugna la sentenza di appello deducendo la violazione dell’art. 2049 c.c. relativamente alla statuizione con la quale viene confermata la decisione di prime cure in punto di responsabilità oggettiva della Cooperativa, pur dopo essere stata esclusa dalla Corte territoriale la responsabilità diretta per danni dell’amministratore P. ex art. 2395 c.c..

Sostiene la ricorrente che, venuto meno il fatto illecito della persona fisica in relazione di rappresentanza organica con la società cooperativa, non era dato configurare la sopravvivenza di una responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c..

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse alla impugnazione, in quanto il passaggio in giudicato della affermazione di responsabilità contrattuale della società cooperativa viene a destituire di rilevanza la questione relativa alla cumulata responsabilità extracontrattuale della medesima società, in quanto ove anche il motivo risultasse fondato (e fosse quindi esclusa una responsabilità aquiliana), la decisione della Corte territoriale non risulterebbe comunque inficiata, atteso che, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006; id. Su. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; id. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/038013; id. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016).

I motivi secondo e terzo possono essere esaminati congiuntamente in quanto entrambi vertenti sul danno da responsabilità contrattuale.

Con il secondo motivo si impugna la sentenza di appello, per violazione dell’art. 1224 c.c., nella parte in cui ha applicato alla liquidazione del danno i criteri propri delle obbligazioni di valore come definiti in relazione al riconoscimento degli interessi moratori e della attualizzazione della “taxatio”, sebbene, in difetto di una responsabilità extracontrattuale della società cooperativa, il danno accertato consistesse nell’importo del corrispettivo contrattuale dovuto e non versato al socio, pacificamente da ritenersi debito di valuta, insuscettibile di automatica rivalutazione, restando in ogni caso esclusa la cumulabilità di interessi moratori al tasso legale con la rivalutazione monetaria.

Con il terzo motivo si censura la sentenza di appello (violazione degli artt. 1218, 1223, 1224, 1453 e 2043 c.c., nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c.) per non aver considerato che con il terzo motivo di gravame (indicato sub lettere C nell’atto di appello, trascritto nel ricorso alle pag. 32-33) la società cooperativa aveva contestato la esistenza del danno come liquidato nel “quantum” dal primo giudice in misura corrispondente al valore del formaggio, andato distrutto con l’incendio, al netto dei costi sostenuti per il conferimento del lane, atteso che tale perdita era stata interamente recuperata dalla Cooperativa attraverso la percezione dell’indennizzo assicurativo e del risarcimento conseguito dal Consorzio Grana Padano, siccità, venendo la società cooperativa a disporre della liquidità necessaria a pagare i corrispettivi ai propri soci, l’unico danno patito da questi ultimi doveva limitarsi al danno da ritardo nel pagamento del corrispettivo liquidabile ai sensi dell’art. 1224 c.c., ed in tali soli limiti poteva essere accolta la domanda risarcitoria della R. non avendo questa proposto anche domanda di adempimento contrattuale per il pagamento del corrispettivo.

I motivi sono infondati.

Da quanto è dato evincere dalla sentenza di appello, il Tribunale di Piacenza, nella decisione n. 589/2005, aveva ricondotto i danni patrimoniali subiti dal socio al “pagamento dei corrispettivi dovuti dalla Cooperativa alla socia R. in base al contratto sociale per il latte conferito negli anni 1990-1991, corrispettivo il cui mancato pagamento in conseguenza della carenza di liquidità della cooperativa successiva all’incendio, è stato anche valutato come danno in relazione alla dedotta responsabilità extracontrattuale dell’amministratore P., per non avere fatto osservare le misure minime di sicurezza nell’esercizio dell’attività pericolosa di marchiatura” (sentenza appello, in motivazione pag. 5-6). Dalla lettura della sentenza della Corte d’appello si evince inoltre che la liquidazione è stata compiuta “quoad pretium”, nel senso che il danno patrimoniale consistente nel valore economico perduto ha avuto solo come parametro di comparazione gli ipotetici “corrispettivi” che i soci avrebbero potuto conseguire in assenza dell’evento lesivo, utilizzati dal CTU quale criterio di liquidazione monetaria del danno patrimoniale commisurato al valore del prodotto conferito – andato distrutto – stimato tenendo conto della legislazione cooperativistica, dell’art. 18 dello Statuto della Latteria Sociale Stallone s.c. a r.l., “in linea con il rischio insito nell’attività imprenditoriale” ed “al danno subito dalla Cooperativa in conseguenza dell’incendio che si è ripercosso sui soci sotto forma di minor remunerazione del latte conferito” (sentenza appello, pag. 3).

Non è dato comprendere se il primo giudice abbia inteso ravvisare anche uno stato di pre-insolvenza della Cooperativa, tale da determinare una perdita definitiva del credito per corrispettivo contrattuale (sul punto la ricorrente tace del tutto, omettendo di allegare quale contenuto avesse il rapporto contrattuale tra la società cooperativa ed con i soci, evidenziandosi sotto tale aspetto anche un difetto di autosufficienza dei motivi di ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), comunque la Corte territoriale, confermando la decisione di prime cure, ha inteso mantenere la qualificazione dell’importo risarcitorio come debito di valore, limitandosi soltanto a precisare il criterio di computo degli interessi al tasso legale da applicarsi sull’importo capitale del danno annualmente rivalutato (Corte cass. SU n. 1712/1995).

La qualificazione di debito di valore del danno da inadempimento contrattuale, operata dalla Corte d’appello, non può ritenersi affetta da errore, costituendo principio di diritto, ripetutamente enunciato da questa Corte, quello secondo cui l’obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, come tale quantificabile tenendo conto, anche d’ufficio, della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. i8299 del 01/12/2003; id. Sez. 1, Sentenza n. 5843 del 10/03/2010).

Corretta deve ritenersi in conseguenza la applicazione del criterio di liquidazione del danno secondo i parametri dettati da Cass. SS.UU. n. 1712/1995.

Quanto alla entità del danno patrimoniale risarcito la Corte d’appello ha ritenuto che non fosse stata offerta dalla società cooperativa la prova di un minore danno subito dal socio, in quanto l’indennizzo assicurativo e le somme versate dal Consorzio Grana Padano a titolo risarcitorio erano stati percepiti esclusivamente dalla Cooperativa, e non risultava alcuna prova che tali somme fossero state in tutto od in parte riversate al socio a ristoro del danno liquidato dal primo giudice.

La pronuncia esplicita della Corte territoriale sul punto, destituisce di fondamento la censura per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., e va altresì esente dalla critica mossa con il terzo motivo di ricorso, secondo cui alcun danno patrimoniale – da responsabilità per inadempimento contrattuale – avrebbe potuto essere accertato dal Giudice di merito in difetto di domanda attorea di adempimento contrattuale ex art. 1453 c.c..

La censura viene, infatti, a reiterare sotto altra forma la precedente tesi difensiva della ricorrente secondo cui il Giudice di merito avrebbe inteso identificare il danno patrimoniale con il corrispettivo contrattuale, venendo quindi a confondere il titolo della pretesa attorea, che aveva ad oggetto un credito di valuta (che avrebbe dovuto essere chiesto con specifica domanda di adempimento) e non un credito di valore corrispondente alla obbligazione di natura risarcitoria.

Tale assunto, come già rilevato, è avulso dal contesto dell’accertamento svolto dal primo Giudice, mediante ausilio di c.t.u., e diretto alla quantificazione del danno patrimoniale da illecito – nella specie – contrattuale per violazione della obbligazione “ex recepto”. Rileva al proposito il Collegio che non vi è contestazione, come riconosciuto anche dalla stessa parte ricorrente, sulla corretta interpretazione della domanda introduttiva proposta dalla R. con l’atto di citazione, come domanda di condanna al risarcimento dei danni patiti dalla socia in conseguenza dell’incendio ed ascrivibili alla condotta illecita dell’amministratore e della Cooperativa “ciascuno per quanto ritenuto di sua spettanza e per i rispettivi titoli di responsabilità” (cfr.

domanda attorea, trascriva a pag. 30 ricorso), e non come richiesta di pagamento dei corrispettivi pattuiti, sicchè come già in precedenza evidenziato, la distinzione che la ricorrente vorrebbe operare tra liquidazione dei corrispettivi e risarcimento del danno (identificato soltanto con il danno da ritardo) non trova riscontro negli atti processuali, avendo la socia chiesto accertarsi la responsabilità anche contrattuale della società cooperativa e la condanna della stessa al risarcimento dei danni, ed avendo il Giudice di merito liquidato il danno patrimoniale commisurando la perdita al valore del prodotto perduto ed agli utili che il socio avrebbe potuto ritrarre in assenza dell’inadempimento della società cooperativa.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2016

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