Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13223 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 30/06/2020), n.13223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23756-2018 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE, CLEMENTINA PULLI, MANUELA MASSA;

– ricorrente –

contro

L.R., nella qualità di erede di M.F.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO DE VIVO;

– controricorrente –

– ricorrente incidentale –

contro

L.V., LA.RO., L.G., L.A.,

LA.RA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 592/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RIVERSO

ROBERTO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Bari, con la sentenza n. 592 del 2018, respingeva l’appello dell’Inps ed accoglieva l’appello incidentale proposto da L.V. e litisconsorti, in qualità di eredi di M.F., in relazione alla sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’irripetibilità dell’indebito afferente ad importi versati in più, rispetto al dovuto, sui ratei dell’assegno sociale, mentre respingeva la domanda di pagamento dell’indennità di accompagnamento per il periodo dal maggio 2005 settembre 2006, e quella di condanna dell’Istituto alla corresponsione delle ulteriori somme eventualmente trattenute dall’Istituto a titolo di recupero dell’indebito.

Per quanto qui interessa – in relazione alla questione dell’indebito secondo la Corte d’appello la domanda della de cuius avendo quale oggetto un indebito maturato dal 2001 al 2006, con esclusione del 2003, doveva essere valutata alla stregua della L. n. 412 del 1991, art. 13, norma di interpretazione autentica la quale prevede che in materia di indebito previdenziale la sanatoria prevista dalla L. n. 88 del 1989, art. 52, operi in relazione alle somme corrisposte in base a formale provvedimento del quale si sia data espressa comunicazione all’interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta dolo dell’interessato.

Secondo la Corte, in concreto, considerata la causale dell’indebito, che atteneva al presupposto reddituale, dalla documentazione allegata dalla M. al proprio fascicolo di primo grado risultava che nelle dichiarazioni reddituali degli anni 2001 e 2002 fosse inserita la pensione estera tanto per l’anno 2001 che per l’anno 2002, sicchè l’Inps era stato in grado di avvedersi dell’intero reddito dell’assistita. E’ evidente allora che la formazione dell’indebito non fosse ascrivibile nè ad un comportamento colposo, nè tantomeno doloso della M.; ma fosse piuttosto ascrivibile ad errore imputabile all’ente erogatore il quale non si era avveduto del dato reddituale come correttamente dichiarato dalla pensionata.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inps con un motivo al quale ha resistito L.R. con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato in relazione all’inammissibilità dell’appello. E’ stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

RITENUTO

CHE:

1.- con l’unico motivo di ricorso l’Inps ha denunziato la violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, della L. n. 418 del 1971, art. 19, della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, convertito in L. n. 326 del 2003, dell’art. 2033 c.c. per avere la Corte d’appello applicato all’indebito assistenziale qual è quello di cui si discute, relativo ad assegno sociale, la disciplina di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 13, che si applica invece all’indebito previdenziale. Secondo l’INPS, la Corte avrebbe dovuto dichiarare, ai sensi del D.L. cit. n. 269 del 2003, art. 42 (conv. in L. n. 326 del 2003), che dopo il 2.10.2003 le somme percepite a titolo di prestazioni assistenziali, indebitamente erogate per motivi reddituali, fossero pienamente ripetibili ex art. 2033 c.c. (non rinvenendosi appunto una norma di deroga come quella citata che ha previsto la irrecuperabilità solo per le somme erogate fino al 2.10.2003).

2.- Il ricorso è infondato, dovendosi tuttavia correggere la motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c.

3.- Ed infatti se è vero che, come sostiene l’INPS, in materia di indebito assistenziale non si applichi la disciplina della L. n. 412 del 1991, art. 13, che si riferisce all’indebito previdenziale non è men vero tuttavia che nel settore non si applichi nemmeno il principio generale di ripetizione dell’indebito stabilito dall’art. 2033 c.c. ed invocato dall’Istituto.

4. Vanno bensì applicati i principi di settore, propri dell’indebito assistenziale, per come ricostruiti dalla giurisprudenza di questa Corte la quale ha individuato, in relazione alle singole e diversificate fattispecie esaminate, una articolata disciplina che distingue vari casi, a seconda che il pagamento non dovuto afferisca, volta per volta, alla mancanza dei requisiti reddituali, di quelli sanitari, di quelli socio economici (incollocazione o disoccupazione) o a questioni di altra natura (come ad es. l’esistenza di ricovero ospedaliero gratuito nel caso dell’indennità di accompagnamento).

5.- In termini generali, questa Corte ha sempre precisato (fin dalla sentenza n. 1446/2008 est. Picone, v. pure n. 11921/2015) che “nel settore della previdenza e dell’assistenza obbligatorie si è affermato, ed è venuto via via consolidandosi, un principio di settore secondo il quale, in luogo della generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la regola, propria di tale sottosistema, che esclude viceversa la ripetizione in presenza di situazioni di fatto variamente articolate, ma comunque avente generalmente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percepiente della erogazione non dovuta ed una situazione idonea a generare affidamento”.

6.- Sulla esistenza di questo principio si è appoggiata anche la giurisprudenza della Corte Cost. in materia di indebito assistenziale allorchè pur affermando – ordinanze n. 264/2004 e n. 448/2000 – che non sussiste un’esigenza costituzionale che imponga per l’indebito previdenziale e per quello assistenziale un’identica disciplina, ha ritenuto che operi anche “in questa materia un principio di settore, onde la regolamentazione della ripetizione dell’indebito è tendenzialmente sottratta a quella generale del codice civile” (ord. n. 264/2004).

7.- Al riguardo la Corte Cost. ha pure evidenziato che il canone dell’art. 38 Cost., appresta al descritto principio di settore una garanzia costituzionale in funzione della soddisfazione di essenziali esigenze di vita della parte più debole del rapporto obbligatorio, che verrebbero ad essere contraddette dalla indiscriminata ripetizione di prestazioni naturaliter già consumate in correlazione – e nei limiti – della loro destinazione alimentare (C. Cost. n. 39 del 1993; n. 431 del 1993)”.

8. Sulla precipua questione dell’indebito assistenziale per mancanza del requisito reddituale, che qui viene in rilievo, da ultimo questa Corte di cassazione ha affermato (Sez. L -, Sentenza n. 26036 del 15/10/2019) che “L’indebito assistenziale determinato dalla sopravvenuta carenza del requisito reddituale, in assenza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo a partire dal momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge, e ciò a meno che non ricorrano ipotesi che escludano qualsivoglia affidamento dell'”accipiens”, come nel caso di erogazione di prestazioni a chi non abbia avanzato domanda o non sia parte di un rapporto assistenziale o di radicale incompatibilità tra beneficio ed esigenze assistenziali o, infine, di dolo comprovato”.

9. La pronuncia si pone nella scia di Cass. Sez. L., Sentenza n. 28771 del 09/11/2018 (che richiama in motivazione) che pure aveva affermato che “L’indebito assistenziale determinato dal venir meno, in capo all’avente diritto, dei requisiti reddituali previsti dalla legge abilita l’ente erogatore alla ripetizione delle somme versate solo a partire dal momento in cui è stato accertato il superamento dei predetti requisiti, a meno che non si provi che “l’accipiens” versasse in dolo rispetto a tale condizione (come ad esempio allorquando l’incremento reddituale fosse talmente significativo da rendere inequivocabile il venire meno dei presupposti del beneficio), trattandosi di coefficiente soggettivo idoneo a far venir meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme limitative della ripetibilità dell’indebito”.

10.- Nella stessa traccia motivazionale, ma con riferimento alla mancanza del requisito dell’incollocazione al lavoro, si colloca anche la più recente sentenza (Cass. Sez. L., n. 31372 del 02/12/2019) secondo cui “In tema di ripetibilità delle prestazioni assistenziali indebite per mancanza del requisito di incollocazione al lavoro, trovano applicazione, in difetto di una specifica disciplina, le norme sull’indebito assistenziale riferite alla mancanza dei requisiti di legge in via generale che, in quanto speciali rispetto alla disposizione di cui all’art. 2033 c.c., limitano la restituzione ai soli ratei indebitamente erogati a decorrere dalla data del provvedimento amministrativo di revoca del beneficio assistenziale non dovuto, restando esclusa la ripetizione delle somme precedentemente corrisposte, e senza che rilevi l’assenza di buona fede dell’accipiens”.

11.- Il principio generale di settore richiamato nelle stesse tre più recenti pronunce della IV sezione muove dalla tesi prima ricordata secondo cui “il regime dell’indebito previdenziale ed assistenziale presenta tratti eccentrici rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c., in ragione dell'”affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede” in cui le prestazioni pensionistiche, pur indebite, sono normalmente destinate “al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia” (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1), con disciplina derogatoria che individua “alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione (..) non sia (..) addebitabile” al percettore (Corte Costituzionale 14 dicembre 1993 n. 431).”

12.- Giova ricordare che si tratta di un principio risalente, la cui prima affermazione si rinviene appunto nella sentenza n. 1446/2008 (est. Picone); e che anche le Sez. Unite di questa Corte (sentenza n. 10454 del 21/05/2015) hanno riconosciuto che le prestazioni di assistenza sociale rivestano natura alimentare, in quanto fondate esclusivamente sullo stato di bisogno del beneficiario, a differenza delle prestazioni previdenziali, che presuppongono un rapporto assicurativo e hanno più ampia funzione di tutela.

13.- Nella specifica fattispecie dell’indebito per mancanza del requisito reddituale va rilevato che ai fini della ripetizione Cass. 31372/2019 e Cass. 28771/18 cit. richiedono, entrambe, che sia necessario il “dolo comprovato dell’accipiens” atto a far venir meno l’affidamento dell’accipiens. E ricordano che lo stesso D.L. n. 269 del 2003, art. 42, conv. in L. n. 326 del 2003 – prima di stabilire per il periodo pregresso e fino al 2 ottobre 2003, la sanatoria degli indebiti per mancanza dei requisiti reddituali – preveda, nello stesso comma 5, che entro trenta giorni attraverso una determinazione interdirigenziale (INPS, Ministero dell’Economia, Agenzia dell’Entrate) si debba procedere a stabilire le modalità tecniche per effettuare, in via telematica, le verifiche sui requisiti reddituali dei titolari delle provvidenze economiche allo scopo di sospendere le prestazioni e di ripetere l’indebito.

14.- Il D.L. n. 269 del 2003, art. 42, cit., ha previsto dunque che in materia di invalidità civile vi fosse anzitutto una sanatoria generalizzata per il periodo precedente il 2003, mentre per il periodo successivo ha stabilito che, a seguito delle verifiche reddituali effettuate dall’INPS, si possano sospendere le prestazioni e quindi ripetere le somme erogate per indebiti previdenziali. Questo non significa però, dopo il 2 ottobre 2003, che le stesse prestazioni si possano recuperare indiscriminatamente; tutte e sempre. In quanto, come già detto, in materia assistenziale va tutelato l’affidamento del percipiente, il quale, secondo la consolidata giurisprudenza prima menzionata della IV sezione, consente di norma (anche dopo il 2003) la ripetizione solo a partire dal provvedimento che sospende l’erogazione ed accerta l’indebito (come prevede lo stesso art. 42), salvo il dolo comprovato.

15.- Per quanto concerne poi l’esistenza di tale specifico coefficiente soggettivo, necessario per il venir meno della tutela dell’affidamento del percipiente, la sentenza di questa Corte n. 31372/2019 ha affermato che esso non sussista in un caso in cui il mancato inoltro della dichiarazione reddituale da parte del pensionato poteva ritenersi compatibile con una mera dimenticanza.

16.- Mentre Cass. n. 28771/2018 ha affermato che una situazione di dolo comprovato dell’accipiens rispetto al venire meno del suo diritto potrebbe sussistere “ad es. allorquando l’incremento reddituale sia talmente significativo da rendere inequivocabile il venir meno del beneficio; trattandosi di coefficiente che naturalmente fa venire meno l’affidamento alla cui tutela sono preposte le norme”.

17.- Va ora evidenziato che nessun obbligo di restituzione si può configurare nell’ipotesi in cui l’accipiens ha già dichiarato i propri redditi alla PA, ed essi fossero perciò conoscibili dall’INPS al quale già il D.L. n. 269 del 2003, art. 42, conv. in L. n. 326 del 2003, consentiva di accedere alla conoscenza dei redditi dichiarati onerandolo del controllo telematico dei requisiti reddituali.

18.- Il concetto è stato reso ancor più chiaro ed esplicito dal D.L. n. 78 del 2009, art. 15, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, il quale prevede che dal primo gennaio 2010, l’Amministrazione finanziaria ed ogni altra Amministrazione pubblica, che detengono informazioni utili a determinare l’importo delle prestazioni previdenziali ed assistenziali collegate al reddito dei beneficiari, sono tenute a fornire all’INPS in via telematica le predette informazioni presenti in tutte le banche dati a loro disposizione, relative a titolari, e rispettivi coniugi e familiari, di prestazioni pensionistiche o assistenziali residenti in Italia.

Da ciò si evince che tutti i fatti relativi ai dati reddituali dei titolari di prestazioni pensionistiche o assistenziali sono sempre conosciuti o conoscibili d’ufficio dall’INPS in via telematica.

19. Lo stesso principio risulta poi ribadito e rafforzato dal D.L. n. 78 del 2010, art. 13, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, il quale prevede al comma 1 l’istituzione presso l’INPS del “Casellario dell’Assistenza” “per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati, dei redditi e di altre informazioni relativi ai soggetti aventi titolo alle prestazioni di natura assistenziale; ed al comma 6 dello stesso art. 13 stabilisce che “i titolari di prestazioni collegate al reddito di cui al precedente comma 8” devono comunicare all’INPS soltanto i dati della propria situazione reddituale, incidente sulle prestazioni in godimento, che non sia già stata integralmente comunicata all’Amministrazione finanziaria. Da ori discende perciò confermato che essi non devono comunicare all’INPS la propria situazione reddituale già integralmente dichiarata e conosciuta dall’Amministrazione.

La norma (che ha modificato il D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 35, convertito dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14, ed introdotto il comma 10 bis) prevede testualmente: “Ai fini della razionalizzazione degli adempimenti di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 13, i titolari di prestazioni collegate al reddito, di cui al precedente comma 8, che non comunicano integralmente all’Amministrazione finanziaria la situazione reddituale incidente sulle prestazioni in godimento, sono tenuti ad effettuare la comunicazione dei dati reddituali agli Enti previdenziali che erogano la prestazione. In caso di mancata comunicazione nei tempi e nelle modalità stabilite dagli Enti stessi, si procede alla sospensione delle prestazioni collegate al reddito nel corso dell’anno successivo a quello in cui la dichiarazione dei redditi avrebbe dovuto essere resa”.

20.- L’obbligo dei titolari di prestazioni collegate al reddito riguarda in sostanza di quei dati reddituali che proprio perchè non vanno dichiarati nel modello 730 (come ad esempio i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero, gli interessi bancari, postali, dei BOT, dei CCT e di altri titoli di Stato, ecc.) devono essere però dichiarati all’INPS.

21.- Infine va osservato che in nessun caso si possono ipotizzare i presupposti per la restituzione dell’indebito quando esso scaturisca dal possesso di un certo reddito costituito da una prestazione di qualsiasi natura (previdenziale o assistenziale) erogata dall’INPS e che quindi l’Istituto già conosce.

21.1. In questa ipotesi l’affidamento riposto dal pensionato nella legittima erogazione di entrambi gli importi effettuati dallo stesso Istituto (informato della situazione reddituale) appare certamente tutelabile alla luce delle premesse. Tanto più che la legge citata (D.L. n. 269 del 2003, art. 42, conv. in L. n. 326 del 2003) onera l’INPS della attivazione dei controlli reddituali in via telematica allo scopo di sospendere le prestazioni e richiedere la restituzione dell’indebito. Sicchè, giammai, potrebbe farsi carico al percipiente di un’omessa comunicazione di dati reddituali incidenti sulla misura o sul godimento della prestazione che l’INPS conosce o ha l’onere di conoscere.

21.2. Inoltre come già detto, il D.L. 78 del 2010, art. 13, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, al comma 1 prevede l’istituzione presso l’INPS del “Casellario dell’Assistenza per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati, dei redditi e di altre informazioni relativi ai soggetti aventi titolo alle prestazioni di natura assistenziale”.

Il comma 2 stabilisce “Il Casellario costituisce l’anagrafe generale delle posizioni assistenziali e delle relative prestazioni, condivisa tra tutte le amministrazioni centrali dello Stato, gli enti locali, le organizzazioni no profit e gli organismi gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie che forniscono obbligatoriamente i dati e le informazioni contenute nei propri archivi e banche dati, per la realizzazione di una base conoscitiva per la migliore gestione della rete dell’assistenza sociale, dei servizi e delle risorse. La formazione e l’utilizzo dei dati e delle informazione del Casellario avviene nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali.”

22.- Infine va osservato che in casi simili (secondo una considerazione effettuata da questa Corte a proposito dell’indebito previdenziale ma valida sul piano logico giuridico, alla luce delle norme richiamate, anche per quello assitenziale), allorchè le situazioni ostative all’erogazione siano note all’ente previdenziale ovvero siano da esso conoscibili facendo uso della diligenza richiestagli dalla sua qualità di soggetto erogatore della prestazione, il comportamento omissivo del percipiente, ancorchè in malafede, non è determinante della indebita erogazione e non può dunque costituire ragione di addebito della stessa (così, in specie, Cass. n. 11498 del 1996; Cass. n. 8731/2019). Ed è alla stregua di tale orientamento consolidato che la Corte costituzionale ha rilevato come, nell’ambito dell’ordinamento previdenziale, diversamente dalla regola generale di incondizionata ripetibilità dell’indebito posta dall’art. 2033 c.c., trovi applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema normativo, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto avente come minimo comun denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta (cfr. in tal senso Corte Cost. n. 431 del 1993, ma anche Cass. n. 1446/2008 est. Picone).

23. Va pertanto affermato che secondo le ragioni fin qui precisate le prestazioni erogate alla pensionata non fossero ripetibili fino al provvedimento che ha accertato l’indebito dovendosi tutelare l’affidamento dell’accipiens, non potendosi applicare l’art. 2033 c.c. e non sussistendo nessuna allegazione in relazione al dolo comprovato, il quale non è comunque configurabile nella mera omissione di comunicazione di dati reddituali che l’INPS già conosce o ha l’onere di conoscere.

24.- Inoltre deve considerarsi che nel caso in esame la Corte d’appello ha pure accertato in fatto che dalla documentazione allegata dalla M. al proprio fascicolo di primo grado risultava che nelle dichiarazioni reddituali degli anni 2001 e 2002 fosse inserita la pensione estera tanto per l’anno 2001 che per l’anno 2002, sicchè l’Inps era stato in grado di avvedersi dell’intero reddito dell’assistita.

25.- Per le considerazioni che precedono il ricorso principale deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese del presente giudizio. Resta invece assorbito il ricorso incidentale condizionato.

26.- Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002.

PQM

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente principale a pagare le spese processuali liquidate in complessive Euro 2200, di cui Euro 2000 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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