Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1322 del 22/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1322 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 21500-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585,

in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZINI

134, pvèggn lu

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3368

PAVONE GABRIELLA C.F. PVNGRL62N45A488B, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 1312, presso lo
studio degli avvocati TAMAGNINI CATIA e CINZIA,

Tfli(A6’f'(/

Data pubblicazione: 22/01/2014

rappresentata e difesa dagli avvocati ROMOLI GIANNI,
TAMAGNINI CATIA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 919/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 10/09/2007 R.G.N. 3402/2004;

udienza del 21/11/2013 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA 3 che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 10.9.07,
dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine al
contratto di lavoro stipulato tra Gabriella Pavone e la società
Poste Italiane in data 21.9.00 per esigenze eccezionali ex art. 8
del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali; l’esistenza tra le

da tale data, condannando la società Poste al pagamento delle
retribuzioni dalla costituzione in mora (21.9.00) e nei limiti di un
triennio decorrente dalla cessazione di fatto del rapporto
(5.11.00).
Per la cassazione propone ricorso la società Poste, affidato a
quattro motivi.
Resiste la Pavone con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo, il secondo e terzo motivo la società ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per
avere la Corte di merito deciso la controversia sulla base di una
questione non devoluta al suo esame, e cioè l’esistenza di un
limite temporale di efficacia alla disciplina collettiva autorizzata
ex art. 23 L. n. 56 del 1987; la violazione di tale ultima norma,
nonché degli artt. 1362 e seguenti c.c. nonché omessa ed
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per
il giudizio, lamentando che la Corte di merito, in contrasto con le
norme richiamate, non considerò adeguatamente che con la
delega contenuta nel citato art. 23, le parti sociali erano libere di
individuare nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo
determinato, senza altri limiti se non quello dell’osservanza di un
limite percentuale dei lavoratori da assumere, sicché le
pattuizioni collettive erano sottratte dal sindacato giurisdizionale,
e segnatamente in ordine all’esistenza di un nesso causale tra le

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parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato

ragioni di assunzione e la singola stipula del contratto a tempo
determinato.
Lamenta inoltre che i giudici di merito non avevano
adeguatamente considerato che nessun limite temporale, sino
all’entrata in vigore del d.lgs n. 368 del 2001, poteva essere
imposto alle pattuizioni sindacali delegate.

congiuntamente trattati, risultano infondati.
Va innanzitutto rilevata l’inammissibilità della prima censura,
non avendo la ricorrente indicato da quale atto debba evincersi la
mancata devoluzione della questione inerente il limite temporale,
riconosciuto dalla Corte di merito al c.c.n.l. 1994 e successive
modificazioni.
Ed invero, anche allorquando venga denunciato un

error in

procedendo, il giudice di legittimità è investito del potere di
esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso
si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in
conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed in
particolare in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366,
primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.
(Cass. sez. un. n. 8077 \ 12).
Per il resto si osserva.
La sentenza impugnata non ha ritenuto le pattuizioni collettive,
in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo
determinato ex art. 23 L. n. 56 del 1987, soggette ai requisiti di
cui all’art. 1 L. n.230 del 1962, ma solo che esse avessero inteso
prevedere un limite temporale alle specifiche esigenze
organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l.
26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi.
L’assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia
negoziale collettiva, che, delegata alla individuazione di nuove

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2. I motivi, che stante la loro connessione possono essere

ipotesi di assunzione a tempo determinato, è parimenti libera di
stabilire una loro scadenza temporale.
Come efficacemente chiarito da Cass. 9 aprile 2008 n. 9259 e
quindi da Cass. 28 ottobre 2010 n. 22015, l’art. 23 della legge n.
56 del 1987, nel consentire alla contrattazione collettiva di
individuare nuove ipotesi rispetto a quelle previste dalla legge n.

temporali alla facoltà di assumere lavoratori a tempo
determinato, ma, ove un limite sia stato invece previsto, la sua
inosservanza determina la illegittimità del termine apposto.
Nella specie la limitata efficacia temporale degli accordi
intervenuti all’interno della società Poste risulta rispettosa
dell’autonomia negoziale collettiva ed in linea col consolidato
orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006
n.13458, Cass.20 gennaio 2006 n.1074, Cass.3 febbraio 2006
n.2345, Cass. 2 marzo 2006 n.4603), secondo cui dall’esame dei
vari accordi in materia si evince che le parti sociali autorizzarono
la stipula di contratti a tempo determinato per le causali di cui
all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, sino al 30 aprile 1998.
Da ciò consegue l’assorbimento della censura inerente la prova,
in tesi non dovuta, del nesso causale tra le esigenze individuate
dai contraenti collettivi e la singola assunzione.
3.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1217 e 1233 c.c.
Lamenta la società Poste che ai fini della condanna al
risarcimento dei danni in tesi patiti dal lavoratore, è necessario
che questi provi il danno subito e che abbia offerto formalmente
la sua prestazione lavorativa e che il datore di lavoro l’abbia
illegittimamente rifiutata.
Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di
diritto: “Dica la Corte se per il principio di corrispettività della

prestazione, il lavoratore, a seguito dell’accertamento giudiziale
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230 del 1962, non impone di fissare contrattualmente dei limiti

dell’illegittimità del contratto a termine stipulato, ha diritto al
pagamento delle retribuzioni solo dalla data di riammissione in
servizio, slavo che abbia costituito in mora il datore di lavoro,
offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto degli
artt. 1206 e seguenti c.c.”.
Il quesito, e con esso il motivo (Cass. sez.un. 9 marzo 2009 n.

riferimento la caso di specie.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “Il quesito
di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare:
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al
giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad
avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie. È, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un
quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e
semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di
una determinata disposizione di legge”, Cass. 17 luglio 2008 n.
19769. In termini: Cass. ord. n. 19892 del 25 settembre 2007,
secondo cui “È inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod.
proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si
risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della
violazione di legge denunziata nel motivo”.
4. Considerato che la censura inerente il risarcimento del danno
è risultata inammissibile, non può quindi esaminarsi
l’applicazione dello

ius superveniens costituito dall’art. 32,

commi 5,6 e 7, della L. n. 183 del 2010, dichiarato
costituzionalmente legittimo da C. Cost. n. 303 \ 11.
Ed invero va evidenziato che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens
che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova
disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
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5624), è inammissibile, non contenendo alcuno specifico

qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di
censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di
legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici e rituali
motivi di ricorso (cfr. ex plurimis e da ultimo Cass. n. 24043\ 13;
Cass. n. 17717 \ 13; Cass. 3533 \ 13; Cass. n. 4328 \ 13).
Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Le spese seguono la soccombenza, come da dispositivo.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad €.100,00
per esborsi ed €.3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 novembre
2013

5. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

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