Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13219 del 28/05/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 13219 Anno 2013
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 27879-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
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contro

SILVESTRI MARIO SLVMRA51E15A783S, RAZZINO FRANCESCO
RZZFNC48B01B781W, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CIPRO 77, presso lo studio dell’avvocato RUSSILLO

Data pubblicazione: 28/05/2013

GERARDO, che li rappresenta e difende giusta delega in
atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 6527/2009 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 21/11/2009 r.g.n. 6593/06;

udienza del 14/02/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito l’Avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI per delega
FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato RUSSILLO GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

r.g. n. 27879/10
udienza del 14.2.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Francesco Razzino e Mario Silvestri hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Napoli la
società Poste Italiane spa chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della
loro adibizione a mansioni ritenute dequalificanti rispetto a quelle da essi svolte in epoca
antecedente al febbraio 1999.
Il Tribunale ha accolto la domanda con sentenza che, sull’appello della società Poste, è stata
confermata dalla Corte d’appello di Napoli, che ha ritenuto che fosse stato provato che i lavoratori
erano stati adibiti fino al febbraio 1999 allo svolgimento di mansioni per le quali si richiedeva il
possesso di cognizioni tecniche di un certo rilievo, mentre nel periodo successivo erano stati
assegnati ad operazioni di carattere prettamente manuale, limitandosi in sostanza alla
movimentazione della corrispondenza oggetto di lavorazione, con evidente demansionamento
rispetto alle mansioni espletate nel periodo precedente, non rilevando in contrario che il contratto
collettivo avesse previsto una nuova classificazione del personale, con un riassetto delle qualifiche e
dei rapporti di equivalenza tra le mansioni, in quanto la garanzia prevista dall’art. 2103 c.c. deve
ritenersi operante anche tra mansioni riconducibili in ipotesi alla stessa qualifica.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società Poste Italiane spa affidandosi a due motivi
di ricorso cui resistono con controricorso i lavoratori.
Successivamente è stato depositato verbale di conciliazione in sede sindacale intervenuto tra Mario
Silvestri e la società Poste Italiane, avente ad oggetto anche la presente controversia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, va rilevato che dal verbale di conciliazione prodotto in atti, debitamente
sottoscritto dal Silvestri, oltre che dal procuratore speciale della società Poste Italiane spa, risulta
che le stesse parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente anche la controversia in
esame, dandosi atto della rinuncia, da parte della società, al ricorso per cassazione e della
accettazione di tale rinuncia da parte del lavoratore.
2.- Il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del
contendere nel giudizio di cassazione – ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse a
proseguire il processo – limitatamente al rapporto processuale tra la società Poste e Mario Silvestri.
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3.- Alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di
inammissibilità del ricorso proposto dalla società nei confronti del Silvestri, in quanto l’interesse ad
agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione
o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in
considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. sez.
unite 29 novembre 2006 n. 25278).
4.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2103 e 1362 c.c. anche con riferimento

territoriale ha affermato l’esistenza del demansionamento lamentato dai lavoratori, censurando la
decisione impugnata per avere omesso di considerare che la normativa collettiva aveva previsto la
piena fungibilità tra tutte quelle mansioni che, a seguito dell’entrata in vigore della nuova
classificazione, erano confluite nell’area operativa, sì che l’assegnazione a mansioni diverse, ma
sempre all’interno di quella stessa area, doveva ritenersi legittima, e ciò a maggior ragione
considerando che il servizio che veniva svolto in precedenza da quegli stessi lavoratori era stato
trasferito ad una ditta esterna.
5.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento alla statuizione
con cui il giudice di merito ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova dell’esistenza del danno e
del nesso di causalità con l’inadempimento, censurando la decisione della Corte di merito per avere
accolto la domanda risarcitoria “in totale carenza di allegazioni in merito ai concreti danni subiti dal
lavoratore ed in assenza di prova in merito alla effettiva sussistenza dei danni denunciati ed al nesso
causale tra la condotta (asseritamente) illegittima della datrice di lavoro e i danni (presuntivamente)
subiti dal lavoratore”.
6.- Il primo motivo non può trovare accoglimento. Invero, anche a voler prescindere dalla
considerazione che le questioni proposte con lo stesso motivo, pur sollevate dalla società nel corso
del giudizio di primo grado, non erano state poi riproposte in appello (sì che il motivo dovrebbe
comunque ritenersi inammissibile), deve osservarsi che, proprio con riguardo a fattispecie relative
alla riclassificazione del personale postale operata in applicazione del c.c.n.l. del 26 novembre 1994
dei dipendenti postali e del successivo accordo integrativo del 23 maggio 1995, questa Corte ha già
affermato (Cass. n. 23877/2009) che in tema di riclassificazione del personale, il datore di lavoro
non può limitarsi ad affermare semplicemente la sussistenza di un’equivalenza convenzionale tra le
mansioni svolte in precedenza e quelle assegnate a seguito dell’entrata in vigore della nuova
classificazione, dovendo, per contro, procedere ad una ponderata valutazione della professionalità
del lavoratore al fine di salvaguardare, in concreto, il livello professionale acquisito e di fornire
un’effettiva garanzia dell’accrescimento della capacità professionali del dipendente. Questa Corte

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agli artt. 37, 41, 43, 46, 47 e 53 c.c.n.l. 26.11.1994, relativamente alla statuizione con cui la Corte

aveva, del resto, già precisato (Cass. sez. unite n. 25033/2006) che la garanzia prevista dall’art.
2103 c.c. opera anche tra mansioni appartenenti alla medesima qualifica prevista dalla
contrattazione collettiva, precludendo l’indiscriminata fungibilità di mansioni per il solo fatto
dell’accorpamento convenzionale; conseguentemente, il lavoratore addetto a determinate mansioni
non può essere assegnato a mansioni nuove e diverse che compromettano la professionalità
raggiunta, ancorché rientranti nella medesima qualifica contrattuale (principio affermato sempre
con riferimento ad una fattispecie relativa all’applicazione del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 per i
dipendenti postali; cfr. anche Cass. n. 25897/2009, secondo cui il principio di tutela della
professionalità acquisita resta impregiudicato pur in presenza di un accorpamento convenzionale
delle mansioni, precludendo la disciplina legale di carattere inderogabile dell’art. 2103 c.c. la
previsione di una indiscriminata fungibilità delle mansioni per il solo fatto di tale accorpamento).
7.- Alla luce dei suindicati principi giurisprudenziali non appaiono condivisibili le censure di
violazione e falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale sollevate da parte ricorrente
in relazione agli artt. 37, 41, 43, 46, 47 e 53 del c.c.n.l. 26.11.1994.
8.- Ciò premesso, va rilevato che l’equivalenza delle mansioni che, ai sensi dell’art. 2103 c.c.,
condiziona la legittimità dello ius variandi operato dal datore di lavoro e del “riclassamento”
disposto dalla contrattazione collettiva costituisce oggetto di un giudizio di fatto, riservato al
giudice di merito e incensurabile in cassazione se sorretto da una motivazione logica, coerente e
completa, e va verificata sia sotto il profilo oggettivo, cioè in relazione alla inclusione nella stessa
area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione, sia sotto il profilo
soggettivo, cioè in relazione alla affinità professionale delle mansioni, nel senso che le nuove
devono quanto meno armonizzarsi con le capacità professionali acquisite dall’interessato durante il
rapporto di lavoro, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi. Una volta che risultino rispettate
siffatte condizioni, l’esercizio dello ius variandi e del rilassamento non richiede l’identità delle
mansioni, né esso è impedito dalla circostanza che le nuove mansioni debbano essere svolte in
diverso settore della complessa organizzazione aziendale e soggiacere ad una organizzazione del
lavoro concepita con modalità diverse rispetto a quella che caratterizzava le precedenti mansioni
(Cass. n. 2328/2003).
9.- Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, mettendo a confronto l’attività svolta dal
lavoratore prima della riclassificazione, riconducibile alla effettuazione di interventi di carattere
tecnico su impianti di meccanizzazione postale, corrispondente alla qualifica di perito, con l’attività
successivamente spiegata di apertura, insaccamento e movimentazione della corrispondenza, è
pervenuta alla conclusione che vi era stata sul piano fattuale una concreta dequalificazione del
lavoratore con violazione del disposto dell’art. 2103 c.c., sotto il profilo che lo svolgimento di

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.. compiti meramente manuali, ripetitivi e del tutto elementari determinava l’impossibilità per il
dipendente di utilizzare il compendio di competenze tecniche precedentemente acquisite.
Pertanto, avendo la Corte di merito congruamente motivato, esplicitando le ragioni in base alle
quali le nuove mansioni dovevano ritenersi riduttive rispetto alle precedenti e non consentissero al

lavoratore un accrescimento del patrimonio professionale, deve essere esclusa la sindacabilità in
sede di legittimità di tale valutazione di fatti accertati dal giudice dell’appello in maniera adeguata e
con motivazione priva di vizi logici e giuridici.

10.- Neppure il secondo motivo può essere accolto. E’ infatti infondato il rilievo della società
ricorrente secondo cui il decidente avrebbe accolto la domanda risarcitoria “in totale carenza di
allegazioni in merito ai concreti danni subiti dal lavoratore ed in assenza di prova in merito alla
effettiva sussistenza dei danni denunciati ed al nesso causale tra la condotta (asseritamente)
illegittima della datrice di lavoro e i danni (presuntivamente) subiti dal lavoratore”.
In tema di prova del danno da demansionamento questa Corte (Cass. sez. unite n. 6572/2006) ha
affermato il principio di diritto secondo cui il risarcimento del danno da demansionamento e
dequalificazione in tutte le sue forme “va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti
dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla
complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità
all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate
e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei
confronti del datore comprovanti l’avvenuta lesione dell’interesse relazionale, effetti negativi
dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) – il cui artificioso isolamento si risolverebbe in una
lacuna del procedimento logico – si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente
risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a
quelle nozioni generali derivanti dall’esperienza, delle quali ci si serve nel ragionamento presuntivo
e nella valutazione delle prove” (gli stessi principi sono stati ribaditi, fra le altre, da Cass. sez. unite
n. 26972/2008 e Cass. n. 4652/2009). E nel caso di specie la Corte territoriale ha posto in evidenza
una serie di indici ed elementi presuntivi, attinenti alla durata, alla natura e all’entità del
demansionamento, che rilevano sia ai fini del riconoscimento del danno in parola sia ai fini della
quantificazione dello stesso; in particolare, la Corte d’appello ha evidenziato la “netta divaricazione

tra le mansioni tecniche espletate in misura ultradecennale fino all’8.2.1999 … mansioni tali da
consentire il dispiegamento della consistente ed aggiornata preparazione professionale degli odierni
appellati, e quelle meramente manuali, elementari e ripetitive successivamente assegnate, come
pure il perdurante protrarsi, per anni e nonostante provvedimenti giudiziari a tutela dei lavoratori,

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Il ricorso sul punto non può pertanto trovare accoglimento.

del demansionamento, con conseguente inevitabile dispersione nel tempo della professionalità
suddetta, non più tenuta in vita attraverso l’esercizio quotidiano di compiti richiedenti le specifiche
conoscenze professionali acquisite”.
11.- La Corte d’appello ha pertanto correttamente fatto riferimento alla prova per presunzioni mezzo al quale, peraltro, il giudice può far ricorso anche in via esclusiva per la formazione del suo
convincimento – evidenziando specifici e comprovati elementi di fatto da cui era ragionevolmente
possibile inferire che il pregiudizio lamentato si era effettivamente verificato e dai quali emergeva

profilo la sentenza non merita dunque le censure che le sono state mosse dalla ricorrente.
12.- In definitiva, il gravame proposto nei confronti di Mario Silvestri deve essere dichiarato
inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, quello proposto nei confronti di Francesco
Razzino deve essere rigettato.
13.- Tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, che ha anche
regolato le spese processuali dei giudizi di merito e di legittimità, si ritiene conforme a giustizia
compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione tra la società Poste e Mario Silvestri.
Nel rapporto processuale tra la ricorrente e il Razzino le spese del giudizio di legittimità devono
invece essere regolate secondo il principio di soccombenza e distratte a favore del procuratore del
resistente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Mario Silvestri e lo rigetta nei confronti
di Francesco Razzino; compensa le spese del presente giudizio tra la società Poste e Mario Silvestri,
condanna la ricorrente al pagamento in favore di Francesco Razzino delle spese del presente
giudizio liquidate in € 40,00 oltre € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge,
disponendone la distrazione a favore dell’avv. Gerardo Russillo, antistatario.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 febbraio 2013.

altresì, in via presuntiva, l’entità del pregiudizio lamentato dalla parte appellata. Anche sotto questo

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