Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13219 del 27/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 27/06/2016, (ud. 18/02/2016, dep. 27/06/2016), n.13219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7768-2013 proposto da:

I.M.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA G. BELLONI 78, presso lo studio

dell’avvocato ELISABETTA ANAGNI, che la rappresenta e difende

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLINO NATALE giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 272/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/01/2012 R.O.N. 2255/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO D1 MARZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOGIMENTO DEL PROCESSO

P.A. convenne in giudizio I.R. chiedendo che il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Piedimonte Matese, condannasse quest’ultima al risarcimento dei danni patiti per la contraffazione di alcuni effetti cambiari poi illegittimamente protestati.

Il tribunale, respingendo la eccezione sulla carenza di legittimazione passiva sollevata dalla convenuta, accolse la domanda, riconoscendo danni per Euro 10.000,00.

La corte di appello di Napoli, adita da I.R., confermò la sentenza di condanna.

I. ha presentato ricorso, affidato a tre motivi esposti in memoria.

P.A. ha depositato controricorso, ulteriormente illustrando le proprie ragioni con memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso può essere cosi sintetizzato.

Si lamenta che i giudici del merito non abbiano accolto l’eccezione di legittimazione passiva pur risultando documentalmente che l’odierna ricorrente agì non a titolo personale ma quale legale rappresentante di una società commerciale. Si lamenta, inoltre, che la corte di appello abbia confermato il giudizio di responsabilità pur essendo emerso in istruttoria che l’alterazione dei titoli di credito fosse limitata all’importo in cifre senza riguardare anche l’importo in lettere; così che non avrebbe dovuto ritenersi integrata alcuna ipotesi di danno, nemmeno provata dalla controparte.

Ciò si critica ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, esponendo la violazione dell’art. 2697 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c..

Deve premettersi che secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza o all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.

Nel caso di specie, la doglianza sulla assenta carenza di legittimazione passiva non soddisfa il requisito dell’autosufficienza, affermandosi, nel ricorso, che la qualità in cui la odierna ricorrente avrebbe agito sarebbe documentalmente accertata, senza peraltro che a tale affermazione segua l’indicazione dei documenti a cui il motivo vorrebbe riferirsi.

L’infondatezza delle ulteriori doglianze discende dal rilievo che, pur prospettandosi nel ricorso violazioni di legge e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, l’argomentazione è volta a suscitare un riesame del merito della vicenda; peraltro, attraverso il generico richiamo ad atti e documenti non sufficientemente individuati nè indicati come presenti nel fascicolo: come, tra gli altri, l’esistenza di protesti e di una procedura esecutiva a carico del P.; nonchè di un contratto transattivo intercorso tra le parti.

Le doglianze mirano, infatti, a porre in discussione il fatto dell’avvenuta alterazione, da parte della ricorrente, dell’importo in cifre contenuto sui titoli per cui è causa, e ciò anche attraverso il richiamo, privo del requisito dell’autosufficienza, dei documenti ora ricordati.

Nè potrebbe assumere altrimenti pregio l’argomento sulla corrispondenza tra gli importi scritti nelle cambiali e i crediti effettivamente vantati dalla ricorrente, avendo i giudici di merito accertato su domanda di P.A. l’intervenuta contraffazione dei titoli.

Quanto alla quantificazione del danno, la corte di appello ha chiarito a pag. 4 della sentenza impugnata di condividere il giudizio equitativo svolto dal tribunale: con ciò esprimendo una valutazione in fatto insuscettibile in quanto tale di sindacato di legittimità.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione a controparte delle spese del giudizio di cessazione, liquidate il Euro 3.200,00, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge, IVA e CPA. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2016

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