Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13211 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 30/06/2020), n.13211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13873/19 proposto da:

-) U.M., elettivamente domiciliato a Novara, via Azario n.

3, presso l’avvocato Alessia Berticelli, che lo rappresenta e

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 22.10.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

U.M., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato il (OMISSIS) per timore sia di essere arrestato e condannato, sia di essere ucciso dai parenti di alcune persone le quali, dopo aver acquistato del vino nel negozio dove lui lavorava come commesso, e dopo avergli aggiunta una non meglio precisata sostanza, erano decedute;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento U.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con Decreto 22 ottobre 2018;

il Tribunale ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo non era credibile;

-) lo status di rifugiato non potesse essere concesso, perchè i fatti narrati dal richiedente non evidenziavano comunque alcuna persecuzione;

-) la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potesse essere concessa perchè l’inattendibilità della vicenda narrata non consentiva di ritenere fondato il rischio di condanna a morte o a trattamenti inumani o degradanti;

-) la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa perchè infatti sanno non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da armato (il Tribunale cita quali Coi un rapporto EASO del 2017; un rapporto dell’Asylum research consultancy del 2018; un rapporto Human Rights Watch del 2017; il sito “(OMISSIS)”);

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto:

a) il racconto del richiedente asilo non era credibile;

b) il richiedente asilo non aveva raggiunto un apprezzabile livello di integrazione in Italia;

c) il rientro del ricorrente nel proprio paese non lo avrebbe esposto al rischio di una compromissione dei propri diritti inviolabili, ed anzi gli avrebbe consentito più facilmente di trovare un lavoro;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da U.M. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo, se pur formalmente unitario, contiene plurime censure sintetizzabili come segue.

Con una prima censura il ricorrente lamenta che erroneamente il Tribunale ha reputato inattendibile il suo racconto. Deduce che il Tribunale, prima di arrivare a tale conclusione, avrebbe dovuto interrogarlo nuovamente, ed invoca a fondamento di tale allegazione la decisione della Corte di giustizia dell’unione Europea, in causa C560/14.

Detto ciò, il ricorso “vira” su una questione diversa, e cioè l’obbligo del Tribunale di fissare l’udienza di comparizione delle parti nel caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale (così il ricorso, pagg. 8 e seguenti).

Infine, con una terza censura (pagina 9 del ricorso) il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Deduce che la valutazione di credibilità del richiedente asilo non può essere “frutto di soggettivistiche opinioni del giudice di merito, ma deve essere il risultato di una valutazione svolta alla stregua dei criteri dettati dalla norma appena ricordata, la quale impone di tenere conto della situazione individuale del richiedente asilo e di acquisire informazioni sul contesto sociopolitico del paese di provenienza”.

1.2. Tutte e tre le censure sopra riassunte son infondate.

In primo luogo, infondata è l’affermazione secondo cui il Tribunale, prima di poter pronunciare una sentenza in cui affermi l’inattendibilità del richiedente asilo, avrebbe sempre e comunque il dovere di interrogarlo personalmente.

Di tale obbligo, infatti, vanamente si cercherebbe il fondamento normativo.

Non pertinente è, a tal riguardo, il precedente richiamato dal ricorrente, ovvero la sentenza pronunciata da Corte giust., 9.2.2017, M. vs. Ireland, in causa C-560/14.

In detta sentenza, infatti, non si afferma affatto quel che il ricorrente pretende di farle dire, ma un principio ben diverso, e cioè che:

“deve essere organizzato un colloquio orale nel caso in cui l’autorità competente non sia oggettivamente in grado, sulla base degli elementi di cui dispone in seguito al procedimento scritto ed al colloquio orale del richiedente svoltosi nell’ambito dell’esame della sua domanda di asilo, di determinare con piena cognizione di causa se esistano fondati motivi di ritenere che tale richiedente, se ritornasse nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, e se egli non possa o, a causa di tale rischio, non voglia avvalersi della protezione di detto paese” (così il p. 49 della motivazione).

Situazione, quest’ultima, non ricorrente nel nostro caso, dal momento che il giudice di merito non ha affatto rigettato il ricorso per insufficienza della prova, ma al contrario ha ritenuto concretamente e positivamente accertata l’insussistenza dei rischi invocati dal ricorrente.

1.3. La seconda censura è infondata per due indipendenti ragioni.

La prima ragione è che – come ripetutamente affermato da questa Corte – “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale.

Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero. (Sez. 1 -, Sentenza n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815 – 01; nello stesso senso, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463- 01; Sez. 1-, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521- 05; Sez. 1-, Ordinanza n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410- 01; Sez. 6- 1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297 – 01).

1.3.1. La seconda ragione è che, in ogni caso, il Tribunale ha ritenuto il richiedente asilo inattendibile, e “l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione. (Sez. 1, Ordinanza n. 33858 del 19/12/2019, Rv. 656566 – 01).

1.4. Anche la terza delle censure sopra elencate è infondata.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, infatti, non impone affatto al Giudicante – al contrario di quanto mostra di ritenere il ricorrente l’obbligo di credere al richiedente asilo, quando questi abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la sua domanda e non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa.

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate, ed in particolare di stabilire “se le dichiarazioni del richiedente (siano) coerenti e plausibili” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c));

Da ciò discendono tre conseguenze:

-) la prima è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà mai dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto;

-) la seconda è che il giudizio sulla credibilità del richiedente asilo non è affatto a rime obbligate, e non sussiste alcun “diritto ad essere creduti” sol perchè si sia presentata una domanda di asilo il prima possibile o si sia fornito un racconto circostanziato (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20580 del 31/07/2019, Rv. 654946 – 01);

-) la terza è che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. (c) lascia libero il giudice di merito di credere o non credere al richiedente asilo, secondo il suo prudente apprezzamento, che in quanto tale non è sindacabile in questa sede (Sez. 1, Ordinanza n. 21283 del 9.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 21142 del 07/08/2019, Rv. 654674 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 21128 del 7.8.2019; Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Sostiene che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che in (OMISSIS) non esista un conflitto armato. Allega che, al contrario, in (OMISSIS) esiste una situazione di violenza diffusa derivante da conflitto armato, invocando a sostegno di tale allegazione un rapporto EASO del 4.8.2017.

2.1. Il motivo è in primo luogo inammissibile, perchè in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorrente non indica quando abbia prodotto, e dove si trovino, i rapporti il cui contenuto è trascritto alle pagine 12-16 del ricorso, con i quali intende confutare la valutazione del Tribunale.

In ogni caso, mentre può essere censurata in sede di legittimità (per error in procedendo) la decisione di merito la quale non si fondi su COI aggiornate ed attendibili, è incensurabile la decisione di merito la quale abbia preferito determinate COI rispetto ad altre: a meno che, ovviamente, il ricorrente non deduca e dimostri precise ragioni per le quali le COI utilizzate dal giudice di merito debbano ritenersi inattendibili o superate; deduzione nel caso di specie mai prospettata.

3. Col terzo motivo il ricorrente si duole del rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Allega, prospettando sia il vizio di violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3), sia quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, che il Tribunale avrebbe trascurato di prendere in considerazione il “percorso di integrazione” compiuto in Italia dal ricorrente, e il lavoro da lui svolto in Italia.

3.1. Nella parte in cui lamenta il vizio di violazione di legge il motivo è manifestamente inammissibile, perchè la censura non viene neanche illustrata: e va da sè che lo stabilire se una persona si trovi o non si trovi in condizioni di vulnerabilità tali da giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari è un accertamento di fatto, non una valutazione in diritto. A meno che, ovviamente, il ricorrente non lamenti la violazione delle regole che devono presiedere al relativo giudizio, prospettazione che – come già detto nel caso di specie non è contenuta nel ricorso.

3.2. Nella parte restante il motivo è inammissibile perchè il ricorrente, pur censurando l’omesso esame di fatti decisivi non indica quando abbia dedotto in giudizio i fatti che assume trascurati, e come li abbia provati.

Questa lacuna rende inammissibile il motivo: ed infatti le Sezioni Unite di questa Corte, nell’interpretare il novellato art. 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito (cinque anni prima dell’introduzione del presente ricorso) che colui il quale intenda denunciare in sede di legittimità un errore consistito nell’omesso esame d’un fatto decisivo, ha l’onere di indicare:

(a) quale fatto non sarebbe stato esaminato;

(b) quando e da chi era stato dedotto in giudizio;

(c) come era stato provato;

(d) perchè era decisivo (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Nel caso di specie, il primo motivo di ricorso non contiene nemmeno una delle suddette analitiche indicazioni.

4. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

4.1. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11 il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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