Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13211 del 27/06/2016

Cassazione civile sez. III, 27/06/2016, (ud. 03/11/2015, dep. 27/06/2016), n.13211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5418-2013 proposto da:

SOS CAR SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

Sig. V.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato MATTEO DEL VESCOVO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO DI

BENEDETTO giusta procura speciale a margine del ricorso:

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TRIESTE (OMISSIS), in persona del Sindaco in carica

C.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati DOMENICO VICINI, MARIA SERENA GIRALDI, MARITZA

FILIPUZZI giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 442/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 03/07/2012, P.G.N. 412/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato MATTEO DEL VESCOVO;

udito l’Avvocato ALDO FONTANELLI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

Nel dicembre del 2007 la s.r.l. SOS CAR convenne dinanzi al Tribunale di Trieste la A.M.T. e l’omonimo comune per sentir condannare quest’ultimo al pagamento in suo favore dell’importo di Euro 2.978.514,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti in relazione a vicende relative all’attribuzione del servizio rimozione, ed entrambi i convenuti al pagamento della somma di Euro 16.996.050,00 a titolo di danni relativi alla gestione del servizio di parcheggio.

Il giudice di primo grado respinse la domanda.

La corte di appello di Trieste, investita dell’impugnazione proposta dall’attrice, la rigettò.

Per la cassazione della sentenza della Corte giuliana la Sos Car ha proposto ricorso sulla base di 4 motivi di censura.

Resiste il comune di Trieste con controricorso.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 329 c.p.c.. Il motivo – con il quale parte ricorrente lamenta l’erroneità della decisione d’appello nella parte in cui era stato escluso che la domanda di risarcimento dei danni svolta dalla ricorrente in primo grado avesse (anche o prevalente) natura extracontrattuale, non essendo stata la questione rimessa al giudice di appello per effetto della mancata impugnativa del capo ella sentenza con la quale il giudice a quo aveva ritenuto che il titolo azionato in prima grado fosse riconducibile ad entrambe le causae petendi – è inammissibile.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha premesso, in narrativa, che il Tribunale aveva, tra l’altro, dichiarato inammissibile per tardività, e per mancata accettazione del contraddittorio, la domanda aquiliana.

Diversamente da quanto opinato da parte ricorrente, pertanto, la decisione d’appello si fonda su di una duplice ratio decidendi (f. 44 della sentenza impugnata), costituita, da un canto, dalla ritenuta condivisibilità della tesi del Tribunale circa la inammissibilità per tardività (e la conseguente omissione di pronuncia) della domanda di natura extracontrattuale, e, dall’altra, dalla mancanza di specificità dei motivi di appello, atteso, tra l’altro, la mancata illustrazione del comportamento doloso o colposo del preteso danneggiante in relazione al danno lamentato.

La prima delle due rationes decidendi (pur a prescindere dalla bontà e della condivisibilità della seconda) non è stata specificamente censurata con il motivo in esame, che risulta, pertanto, inammissibile, atteso che, nella specie, non si verte in ipotesi (come pur asserito in ricorso, al folio 17) di rigetto nel merito della domanda per entrambi i titoli in primo grado, bensì di declaratoria di inammissibilità per tardività della domanda aquiliana, declaratoria che non ha costituito oggetto di impugnazione in questa sede.

Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 332 c.p.c..

Il motivo – che lamenta l’erroneità del decisum d’appello nella parte in cui era stata ritenuta non proposta l’azione extracontrattuale nei confronti dei comune di Trieste, e si era pertanto “omesso di decidere” sulla scorta di una erronea interpretazione della domanda – è infondato, apparendo del tutto corrette e condivisibili le argomentazioni svolte dal giudice d’appello circa la natura della domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’ente territoriale (ff. 40-44 della sentenza impugnata), essendo compito del giudice di merito, secondo il consolidato insegnamento di questo giudice di legittimità, l’interpretazione e la qualificazione della domanda giudiziale, il cui apprezzamento, se scevro, come nella specie, da vizi logico-

giuridici, non può formare oggetto di censura in sede di giudizio di cassazione.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1228, 1223 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione, sono del tutto privi di fondamento.

Tutte le censure svolte sono, difatti, irrimediabilmente destinate ad infrangersi sul condivisibile impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello (che ha correttamente escluso qualsivoglia connotazione illecita nei controlli dei mezzi rimotori, dei documenti degli autisti e delle modalità di esecuzione del servizio da parte dei pubblici ufficiali,; ha altrettanto correttamente evidenziato la mancanza di prova di disposizioni impartite ai vigili dai superiori gerarchici; ha condivisibilmente rimarcato la obbligatorietà ex lege della relativa condotta), dacchè esse, nel loro complesso, pur formalmente abbigliate in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un di decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360, n. 5 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.

La ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 20.200,00 di cui 200,00 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 220 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della contro ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il controricorso, a norma dello stesso art. 13, del comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2016

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