Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13207 del 27/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 27/06/2016, (ud. 29/10/2015, dep. 27/06/2016), n.13207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorsa 5762-2013 proposto da:

P.G., D.T.A. (OMISSIS),

domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati SERGIO LEONARDI,

SILVA FRONZA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.C., C.F., C.B.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ULPIANO 29, presso lo studio

dell’avvocato ARMANDO BAFFIONI VENTURI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROBERTA PEDROTTI giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 11/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 19/01/2012, R.G.N. 249/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/10/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato SERGIO LEONARDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

P.G. e D.T.A. convennero dinanzi al Tribunale di Trento D.C. e i coniugi C., B. e F., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati loro da immissioni rumorose e molestie provenienti dall’appartamento soprastante, abitato dai convenuti, i quali, nel costituirsi, chiesero, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni conseguenti all’attività persecutoria posta in essere nei loro confronti dalle controparti.

Il giudice di primo grado respinse entrambe le domande.

La corte di appello di Trento, investita delle impugnazioni proposte hinc et inde, in via principale e incidentale, le rigettò, disponendo la cancellazione dell’espressione “sedicente avvocato” contenuta nell’atto di citazione di primo grado.

Per la cassazione della sentenza della Corte trentina P. G. e D.T.A. hanno proposto ricorso sulla base di 4 motivi di censura.

Resistono con controricorso gli appellanti incidentali.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è (prima ancora che infondato nel merito, poichè teso ad una pura e semplice rivisitazione di merito dei fatti di causa così come ricostruiti e valutati, con motivazione scevra da vizi logico-

giuridici) inammissibile in rito.

In tema di ricorso per cassazione, affinchè possa dirsi soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 3, deve ritenersi ius receptum ormai consolidatosi presso questa Corte regolatrice il principio secondo il quale la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali deve ritenersi, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso ed integrale conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata, e, per altro verso, del tutto inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto essa equivale ad affidare alla Corte, dopo averla indotta ad una defatigante lettura (sovente anche inutile, quanto a fatti di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rilevi in ordine ai motivi di ricorso. Costituisce, invece, onere del ricorrente operare una precisa ed efficace sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore (ex multis, Cass. Sez. Un. 11 aprile 2012, n. 5698; Sez. 6 – 5, Ordinanza 2 maggio 2013, n. 10244; Sez. L, Sentenza 9 ottobre 2012, n. 17168).

Nella specie, l’onere de quo deve dirsi del tutto disatteso, al di là ed a prescindere dalle episodiche ed autonome interpolazioni (volte a rendere ancor più defatigante la lettura dei fatti causa) operate in seno al ricorso nella sua parte espositiva.

Le spese del giudizio seguono il principio della soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per spese.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2016

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