Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13206 del 31/05/2010

Cassazione civile sez. III, 31/05/2010, (ud. 20/04/2010, dep. 31/05/2010), n.13206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2479/2006 proposto da:

G.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DESIO Vincenzo con

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IACP Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di SALERNO, in

persona del Presidente pro tempore Ing. A.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso

lo studio dell’avvocato DELIANNI ANTONIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GARGIONE Giancarlo con delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 31/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

emessa il 23/11/2004; depositata il 17/01/2005; R.G.N. 941/2002

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/04/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato GARGIONER GIANCARLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 16.4.1996 l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Salerno ha intimato a G. C. sfratto per morosità da un immobile di proprietà della Provincia, sito in (OMISSIS), concesso in locazione fin da 1981 al canone mensile di L. 54.000,00, chiedendo in pagamento dei canoni arretrati la somma complessiva di L. 25.218.395.

L’intimato ha resistito, assumendo che la somma dovuta era di gran lunga inferiore e pari a L. 2.275.841, essendo fra l’altro in gran parte prescritto il diritto azionato dallo IACP. Egli infatti aveva ridotto il canone richiesto dal locatore, ritenendo che per legge fosse dovuta una somma inferiore.

Esperita l’istruttoria anche tramite CTU, con sentenza n. 119/2002 il Tribunale di Salerno, Sez. distaccata di Eboli, ha accolto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e ha condannato il G. a pagare L. 3.820.000 per i canoni arretrati; oltre agli interessi ed al rimborso della metà delle spese processuali.

Proposto appello dal G. e rimasto contumace lo IACP, con sentenza n. 31/2005, depositata il 17 gennaio 2005, la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza di primo grado.

Il G. propone tre motivi di ricorso per cassazione.

Resiste lo IACP con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo, deducendo violazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ., il ricorrente – che nelle more del processo ha provveduto al pagamento dei canoni arretrati – lamenta che la Corte di appello abbia disposto la risoluzione del contratto di locazione per suo inadempimento, in mancanza dei relativi presupposti, oggettivi e soggettivi.

Rileva che la somma – dovuto da lui dovuta è risultata largamente inferiore a quella richiesta dallo IACP e di esiguo importo, si da configurare inadempimento di scarsa importanza.

Quanto al profilo soggettivo, assume di avere proceduto all’autoriduzione del canone d’accordo con altri inquilini e con le competenti associazioni sindacali, in quanto le somme richieste dallo IACP non erano conformi alle leggi nazionali e regionali.

2.- Con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione sul punto in cui la Corte di appello gli ha addebitato l’inadempimento fino al 31.12.1995, mentre dai bollettini di versamento in c.c. acquisiti al giudizio risulta che egli ha pagato l’intero canone contrattuale fin dal 1993.

3.- I due motivi – che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi – sono inammissibili, in quanto mettono in questione le valutazioni di merito della Corte di appello circa l’importanza dell’inadempimento del conduttore e la sua idoneità a giustificare la risoluzione del contratto.

Tali valutazioni sono rimesse alla discrezionalità del giudice di merito e non sono suscettibili di riesame in sede di legittimità se non sotto il profilo dei vizi di motivazione, vizi che debbono essere ravvisati all’interno del percorso logico e argomentativo posto a base della sentenza impugnata, di cui deve essere dimostrata l’insufficienza, l’illogicità o l’inconferenza, quindi l’inidoneità a fornire adeguato supporto logico-giuridico alla soluzione adottata.

Le censure non possono consistere, invece, nel mero dissenso dal merito della decisione, come deve dirsi del caso di specie (cfr., fra le tante, Cass. civ., Sez. 3^, 9 aprile 2003 n. 5582; Cass. civ. Sez. Lav. 11 luglio 2007 n. 15489; Cass. civ. Sez. Lav. 2 luglio 2008 n. 18119).

Nella specie, la Corte di appello ha congruamente e logicamente motivato la sua decisione con riguardo a tutti gli elementi di valutazione, oggettivi e soggettivi, prospettati dal ricorrente; ha tenuto conto, in particolare, della durata dell’inadempimento, protrattosi per molti anni, pur se la somma dovuta a conguaglio dal conduttore è risultata relativamente modesta (anche a causa della prescrizione, che ha coperto il periodo più remoto).

La convinzione del conduttore di avere diritto per legge ad un canone inferiore non giustifica l’autoriduzione, considerato che egli ben avrebbe potuto proporre azione giudiziale di accertamento dell’importo effettivamente dovuto, se del caso unitamente ad altri inquilini ed avvalendosi della collaborazione delle associazioni sindacali.

L’errore che si addebita alla Corte di merito, per avere affermato che la morosità si era protratta fino al 1995, anzichè fino al 1993, non ha avuto rilievo determinante della motivazione, che è stata svolta con riferimento alla somma complessivamente dovuta dal conduttore ed al comportamento di quest’ultimo per l’intera durata del rapporto.

3.- Il terzo motivo, con cui il ricorrente deduce violazione della L.R. Campania 15 novembre 1993, n. 39, art. 10, comma 3, che esclude che possa essere chiesta la risoluzione del contratto ove la morosità sia dovuta a grave malattia dell’assegnatario dell’alloggio, è inammissibile, perchè non figura proposto in primo grado, nè fra i motivi di appello.

4.- Il ricorso deve essere rigettato.

5.- Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 800,00 per onorari. Oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2010

 

 

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