Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13206 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 30/06/2020), n.13206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3358/19 proposto da:

O.A.O., elettivamente domiciliato a Torino, via

Groscavallo n. 3, presso l’avvocato Alessandro Praticò, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 5.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.A.O., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse di aver lasciato la Nigeria sia per la mancanza di lavoro, la violenza e la povertà ivi esistenti; sia per migliorare le condizioni della vita sua e dei suoi familiari; sia perchè, dopo essersi trasferito in Libia, si era risolto di abbandonare anche quel paese, a causa della oppressione e della povertà ivi esistenti (in tali termini si esprime la sentenza impugnata; più sintetica è la esposizione dei fatti posti a fondamento della domanda di protezione contenuta nel ricorso, a pagina 2);

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento O.A.O. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 5.12.2018;

il Tribunale ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo era generico ed incoerente;

-) il diritto di asilo non spettava perchè i fatti narrati non evidenziavano alcuna persecuzione;

-) la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non spettasse, perchè il richiedente asilo non aveva neanche prospettato l’esistenza del rischio di condanna a morte o trattamenti inumani o degradanti;

-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non spettasse perchè nella regione nigeriana da cui proveniva il richiedente (Edo State) non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria, infine, non poteva essere concessa in quanto il richiedente asilo: a) aveva invocato a fondamento della domanda di protezione umanitaria i medesimi fatti posti a fondamento della domanda di protezione; b) in conseguenza della ritenuta insussistenza nell’Edo State di una situazione di violenza indiscriminata, il ritorno in patria dell’odierno ricorrente non avrebbe comportato una significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali; c) il ricorrente non risulta avere svolto alcuna attività in Italia dimostrativa di un percorso di integrazione, ad eccezione delle “tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza”; mancava dunque la prova di un effettivo radicamento; d) non poteva condividersi quanto dedotto dalla difesa del ricorrente, e cioè che fosse “impossibile una ricollocazione lavorativa” dell’odierno ricorrente nel suo paese di origine; e) il ricorrente non aveva dedotto, infine, al la esperienza traumatica durante il periodo trascorso in Libia, di per sè idonea a giustificare un giudizio di “vulnerabilità”;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da O.A.O. con ricorso fondato su sei motivi;

ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta l’error in procedendo, consistito nel rigetto della istanza di audizione formulata dinanzi al Tribunale.

Deduce che, a fronte della indisponibilità della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla Commissione territoriale, e della soppressione dell’appello, il Tribunale avrebbe avuto l’obbligo di ascoltarlo nuovamente.

1.1. Il motivo è infondato.

Il Tribunale, infatti, non ha l’obbligo di procedere ad un nuovo interrogatorio del richiedente asilo quando, come è avvenuto nel caso di specie, ritenga la richiesta “manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa” (Sez. 1, Sentenza n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815-01; nello stesso senso, Sez. 6-1, Ordinanza n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521-05; Sez. 1, Ordinanza n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410- 01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 3003 del07/02/2018, Rv. 647297-01).

2. Col secondo motivo (contraddistinto dal numero 1, pagina 13 del ricorso) il ricorrente censura il giudizio di inattendibilità del suo racconto formulato dal Tribunale.

Nella illustrazione del motivo si censura il modo in cui il Tribunale ha compiuto il giudizio di inattendibilità; si assume che le circostanze ritenute dal Tribunale strane o inverosimili in realtà non erano tali.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Stabilire, infatti, se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte; nè a tale principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale.

In tale materia, come noto, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, consente al giudice della protezione internazionale di considerare veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; ha presentato la domanda di protezione il prima possibile; si presenti come attendibile. Tale norma contiene un periodo ipotetico la cui pròtasi (“se l’autorità competente ritiene che”) rende palese che il legislatore, con essa, non ha affatto stabilito cosa il giudicante debba decidere (nè, del resto, avrebbe potuto farlo, alla luce dell’art. 101 Cost., comma 2), ma ha stabilito invece come il giudicante debba pervenire al giudizio di cui si discorre: cioè con quale iter logico e sulla base di quali accertamenti.

Ne consegue che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione senza avere previamente accertato la sussistenza di tutti e cinque i requisiti previsti dalla norma suddetta.

Per contro lo stabilire se la narrazione fatta dall’interessato delle circostanze che giustificano la domanda di protezione internazionale od il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sia stata verosimile e credibile oppur no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361-01).

3. Col terzo motivo (pp. 17-18) il ricorrente lamenta “l’errore nella

valutazione del rischio D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b”.

L’illustrazione del motivo è così concepita:

-) dapprima si afferma che il decreto impugnato è erroneo;

-) poi si afferma che il ricorrente era stato vittima di una aggressione;

-) quindi si invoca il principio per cui il giudice, per decidere sulla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), deve esaminare le condizioni oggettive del paese di provenienza del richiedente asilo.

3.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, infatti, la tecnica scrittoria adottata dal ricorrente non consente di stabilire se egli abbia inteso dolersi dell’omesso esame di fatti decisivi da parte del giudice di merito, o d’una violazione di legge.

In secondo luogo, il motivo non contiene nessuna vera e concreta censura avverso il provvedimento impugnato.

Sarà bene ricordare che il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:

(a) quale fatto ha accertato il giudice di merito;

(b) quale regola ha applicato il giudice di merito ai fatti accertati;

(c) quale diversa regola si sarebbe dovuta applicare ai fatti accertati. Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, nè può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come si è già ripetutamente affermato (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

4. Col quarto motivo (pagina 18 del ricorso) il ricorrente censura il rigetto della propria domanda di protezione sussidiaria, fondata sull’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Sostiene che erroneamente il Tribunale ha ritenuto insussistente una situazione di violenza derivante da conflitto armato nella regione di provenienza del richiedente asilo.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto meramente assertivo: il ricorrente, infatti, non indica perchè mai le COI (doviziosamente) citate dal Tribunale sarebbero inattendibili; quali sarebbero le fonti da cui si sarebbe dovuto trarre un giudizio opposto; quando queste ultime fonti sarebbero state prodotte in giudizio.

5. Col quinto motivo (pagina 22 del ricorso) il ricorrente censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria. Sostiene che il Tribunale non avrebbe compiuto alcun approfondimento circa il rispetto dei diritti umani in Nigeria e la capacità delle forze dell’ordine di assicurare la protezione ai cittadini.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile, in quanto puramente assertivo.

Premesso che il Tribunale ha compiuto un’ampia disamina della situazione sociopolitica nella regione dell’Edo State (pagine 8-9 del decreto impugnato), il ricorrente non articola alcuna ragionata censura avverso la valutazione del Tribunale, ma si limita a contrapporre la propria valutazione a quella compiuta dal giudice di merito. In particolare, il ricorrente non indica anche in questo caso da quali atti, fatti o fonti emergerebbe che il contesto dell’Edo State sia tale da comportare per lui, nel caso di rimpatrio, una significativa compromissione dei diritti fondamentali al di sotto del nucleo inviolabile.

6. Col sesto motivo (pagina 22 del ricorso) il ricorrente impugna, sotto altro profilo, il rigetto della domanda di protezione umanitaria. Sostiene che il Tribunale non avrebbe preso in considerazione tre circostanze: che lui aveva imparato la lingua italiana; che aveva stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato; che aveva reiteratamente cercato un’occupazione stabile.

Dopo aver dedotto ciò, il motivo passa ad illustrare su una questione diversa, iniziando a sostenere (pagina 23) che il Tribunale non avrebbe preso in esame la circostanza che l’odierno ricorrente, di fede cristiana, se rientrasse in patria non potrebbe ivi professare liberamente e tranquillamente il proprio credo.

6.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6: il ricorrente, infatti, in violazione dei precetti stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota sentenza n. 8053 del 2014, non indica quando abbia mai dedotto in giudizio, e in che modo abbia provato, di avere appreso la lingua italiana, di avere stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato, di essere alla ricerca “senza sosta” di una occupazione stabile.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

7.1. Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).

7.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11, il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta i ricorso;

(-) condanna O.A.O. alla rifusione in favore di Ministero dell’Interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100,00, oltre rifusione delle spese prenotate a debito;

😎 dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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