Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13205 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 30/06/2020), n.13205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3243/19 proposto da:

N.L., elettivamente domiciliato a Torino, via Groscavallo n.

3, presso l’avvocato Alessandro Praticò, che lo rappresenta e

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 7.12.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

marzo 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.L., cittadino del (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a fondamento dell’istanza dedusse che la propria madre, la quale praticava l’infibulazione a chi l’avesse richiesta, nel corso d’una pratica di questo tipo aveva causato danni ad una bambina, ed era per questa ragione ricercata dalla polizia; l’odierno ricorrente, di conseguenza, nel timore di essere arrestato per essere costretto a rivelare dove la madre fosse fuggita, lasciò il proprio paese;

la Commissione Territoriale rigettò l’istanza;

avverso tale provvedimento N.L. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 7.12.2018;

il Tribunale ritenne che:

-) il racconto del richiedente asilo era lacunoso e non credibile;

-) lo status di rifugiato non poteva essere concesso, perchè doveva escludersi la credibile sussistenza o il credibile fondato rischio di atti persecutori;

-) la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non poteva essere concessa perchè il richiedente non aveva nemmeno indicato la sussistenza, a proprio carico, di un rischio di condanna a morte o trattamenti inumani degradanti;

-) la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non poteva essere concessa perchè in Burkina Faso non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria non potesse essere concessa per la “totale mancanza di una sia pur minima attività che consenta il vaglio (…) delle ragioni di vulnerabilità che, per tali ragioni, devono ritenersi del tutto insussistenti”, in quanto il ricorrente non aveva allegato, a fondamento della domanda di protezione umanitaria, fatti diversi da quelli posti a fondamento della domanda di protezione sussidiaria.

tale decreto è stato impugnato per cassazione da N.L. con ricorso fondato su quattro motivi;

il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (privo di numerazione, ma sviluppato alle pagine 8-11 del ricorso) il ricorrente lamenta l’error in procedendo, consistito nel rigettare la sua richiesta di essere ascoltato.

Deduce che, a fronte della indisponibilità della videoregistrazione del colloquio dinanzi alla Commissione territoriale, e della soppressione dell’appello, il Tribunale avrebbe avuto l’obbligo di ascoltarlo nuovamente.

1.1. Il motivo è infondato.

Il Tribunale, infatti, non ha l’obbligo di procedere ad un nuovo interrogatorio del richiedente asilo quando, come è avvenuto nel caso di specie, ritenga la richiesta “manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa” (Sez. 1, Sentenza n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815-01; nello stesso senso, Sez. 6-1, Ordinanza n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521-05; Sez. 1, Ordinanza n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410- 01; Sez. 6- 1, Ordinanza n. 3003 del 07/02/2018, Rv. 647297-01).

2. Col secondo motivo (pagine 11-15 del ricorso) il ricorrente (senza formalmente inquadrare il vizio denunciato in alcuno di quelli previsti dall’art. 360 c.p.c.) si duole del giudizio con cui il Tribunale ha ritenuto inattendibile il suo racconto.

Nella illustrazione del motivo si censura il modo in cui il Tribunale ha compiuto il giudizio di inattendibilità; si assume che le circostanze ritenute dal Tribunale strane o inverosimili in realtà non erano tali, e si conclude affermando che il Tribunale avrebbe dovuto “applicare il beneficio del dubbio, facendo una valutazione di insieme della credibilità del cittadino straniero”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Stabilire, infatti, se una persona sia attendibile od inattendibile è un apprezzamento di fatto, non una valutazione in diritto: ed in quanto tale sfugge al sindacato di questa Corte; nè a tale principio deroga la legislazione speciale in materia di protezione internazionale.

In tale materia, come noto, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, consente al giudice della protezione internazionale di considerare veri anche fatti non provati, in deroga al generale principio di cui all’art. 2697 c.c., quando ritenga che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; non abbia potuto fornire ulteriori prove senza colpa; abbia reso dichiarazioni plausibili, non contraddittorie e non contraddette ab externo; ha presentato la domanda di protezione il prima possibile; si presenti come attendibile. Tale norma contiene un periodo ipotetico la cui pròtasi (“se l’autorità competente ritiene che”) rende palese che il legislatore, con essa, non ha affatto stabilito cosa il giudicante debba decidere (nè, del resto, avrebbe potuto farlo, alla luce dell’art. 101 Cost., comma 2), ma ha stabilito invece come il giudicante debba pervenire al giudizio di cui si discorre: cioè con quale iter logico e sulla base di quali accertamenti.

Ne consegue che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non potrà dirsi violato sol perchè il giudice di merito abbia ritenuto inattendibile un racconto od inveritiero un fatto; quella norma potrà dirsi violata solo se il giudice, nel decidere sulla domanda di protezione, non compia gli accertamenti ivi previsti: ad esempio, accogliendo la domanda di protezione senza avere previamente accertato la sussistenza di tutti e cinque i requisiti previsti dalla norma suddetta.

Per contro lo stabilire se la narrazione fatta dall’interessato delle circostanze che giustificano la domanda di protezione internazionale od il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sia stata verosimile e credibile oppur no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361-01).

3. Col terzo motivo (pp. 15-16 del ricorso) il ricorrente (anche in questo caso senza inquadrare la censura in alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c.) impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria, prospettando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Lamenta, in particolare, che il Tribunale avrebbe “trascurato i riscontri oggettivi dedotti dal ricorrente e documentati da numerose fonti di informazione”.

3.1. Il motivo è inammissibile per la sua totale genericità.

Il ricorrente infatti non indica quali sarebbero “i riscontri oggettivi” da lui dedotti in giudizio e trascurati dal Tribunale; nè indica in quale atto processuale siano contenuti e quale ne sia il contenuto e la data di produzione in giudizio.

Si tratta dunque, d’una censura puramente assertiva, risolventesi nella seguente, inammissibile tautologia: che il decreto impugnato sarebbe erroneo, perchè fondate erano le allegazioni del ricorrente.

4. Col quarto motivo (pp. 16-17 del ricorso) il ricorrente lamenta un “errore nella valutazione del protezione umanitaria” (sic).

Si duole che il Tribunale avrebbe “omesso di verificare se la prospettazione del quadro generale di violenza di indiscriminata ed insufficiente rispetto dei diritti umani, fosse quantomeno idoneo ad integrare una situazione di vulnerabilità, di carattere temporalmente limitato, legittimante la concessione della protezione umanitaria”. Nella illustrazione del motivo si sostiene che il Tribunale, prima di rigettare la domanda di protezione umanitaria, avrebbe dovuto acquisire maggiori e migliori informazioni sulla condizione del Burkina Faso, e verificare il rispetto in quel paese dei diritti umani, nonchè la capacità delle forze dell’ordine di assicurare la protezione ai cittadini.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente infatti, in violazione degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 e 6, non indica:

-) quali fatti dedusse, nell’atto introduttivo del giudizio, a fondamento della domanda di protezione umanitaria;

-) per quale ragione egli debba ritenersi un soggetto “vulnerabile”;

-) quali sarebbero le effettive condizioni socioeconomiche del Burkina Faso che sarebbero emerse, se il Tribunale avesse approfondito l’istruttoria;

-) quale sia il livello di integrazione da lui raggiunto nel nostro Paese;

-) per quali ragioni il giudizio con cui il Tribunale ha ritenuto insussistente una situazione di violenza nei Burkina Faso dovette erroneo.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

5.1. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17): infatti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 11, il contributo unificato è prenotato a debito nei confronti della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non sia stata revocata dal giudice competente.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non sia stata revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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