Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13203 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17955/2015 proposto da:

Autostrade per l’Italia S.p.a., in persona del Direttore legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Salaria n. 95, presso lo studio dell’avvocato Galvani Andrea, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.A., D.F., D.M.R., R.C.,

S.P., T.V., elettivamente domiciliati in

Roma, Via degli Scipioni n. 268/a, presso lo studio dell’avvocato

Caporossi Gianluca, rappresentati e difesi dall’avvocato Brancati

Corrado, Siano Vincenzo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ANCONA, del 05/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

assorbimento dei motivi dal secondo al quinto; in subordine

rimessione alle Sezioni Unite;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Galvani Andrea che ha chiesto

l’accoglimento;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato Montanari Paolo, con delega

scritta, che ha chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza n. 1128/2015, depositata il 5-5-2015 e notificata il 6-5-2015, la Corte d’appello di Ancona ha determinato in Euro 101.970 l’indennità di espropriazione spettante a D.F., D.A., T.V., D.M.R., R.C. e S.P., in Euro 2.700 il valore dei soprassuoli e in Euro 44.611,88 l’indennità di occupazione d’urgenza, oltre all’importo differenziale come specificato nella motivazione dell’ordinanza e agli interessi al tasso legale sulla differenza, ove sussistente, tra la somma così complessivamente riconosciuta e quella già versata dall’Ente espropriante presso la Cassa Depositi e Prestiti, disponendo altresì il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti dell’eventuale differenza dovuta. La Corte territoriale ha ritenuto che: A) nella specie fosse applicabile l’art. 33 T.U.E., in quanto, in base alla C.T.U. espletata, era risultata la connessione funzionale tra la parte di suolo espropriata e la parte residua, che erano inserite, insieme ad altre proprietà di terzi, in un unico comparto, definito dal PRG a “concessioni convenzionate”; B) sebbene il terreno espropriato ricadesse all’interno della fascia di rispetto autostradale e quindi fosse soggetto a vincolo di inedificabilità, l’esproprio intervenuto avesse fatto venire meno la consistenza del comparto di P.G.R., dal momento che nel caso di specie la proprietà dell’area, di seguito ablata, era imprescindibile per poter edificare in altra zona del comparto; C) il danno per riduzione della cubatura realizzabile fosse sussistente, atteso che la fascia di rispetto, terreno espropriato, assumeva una significativa valenza in quanto contribuiva alla potenzialità edificatoria del lotto, come accertato dal C.T.U.; D) non fosse ravvisabile l’incidenza della variante al P.R.G. introdotta dall’ente comunale dopo il decreto di esproprio, in quanto l’annullamento di ogni possibilità edificatoria del comparto era un effetto manifestatosi nel periodo intercorrente tra l’occupazione (ottobre 2008) e l’esproprio definitivo (gennaio 2014) e la successiva variante del giugno 2014 aveva solo recepito la trasformazione del territorio determinata dall’ablazione, ossia la perdita dell’attitudine edificatoria dello stesso. La Corte d’appello ha proceduto, quindi, a determinare la perdita di valore dell’area residua secondo il criterio differenziale di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, in base all’analisi del C.T.U., il quale aveva accertato che prima dell’esproprio l’appezzamento di mq. 1.372 era di significativo valore commerciale (Euro 112.600), mentre dopo l’esproprio il terreno residuale aveva un valore globale di Euro19.900.

2. Avverso questa ordinanza, Autostrade per l’Italia s.p.a. propone ricorso, affidato a cinque motivi, nei confronti di D.F., D.A., T.V., D.M.R., R.C. e S.P., che resistono con controricorso.

3. Con ordinanza interlocutoria di questa Corte di data 15-52019 è stato disposto il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione della causa in pubblica udienza, ritenuta la questione oggetto del primo motivo di ricorso meritevole di approfondimento e di rilievo nomofilattico.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,. Violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32, 33, 37 e 40 – D.P.R. n. 495 del 1992, art. 26 – D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 6 – L. n. 1150 del 1941, art. 41 septies, aggiunto dalla L. n. 765 del 1967, art. 19 – L. n. 729 del 1961, art. 9 – D.M. 1 aprile 1968, art. 4”. La ricorrente deduce che la natura giuridica della fascia di rispetto comporta l’inedificabilità assoluta, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama, e di conseguenza trova applicazione l’art. 40 TUE, e non l’art. 33. Sostiene che l’area in fascia di rispetto non possa concorrere al calcolo della superficie edificabile e l’indennità di espropriazione deve liquidarsi in base al valore agricolo del terreno, senza che rilevi il trasferimento della relativa volumetria. Adduce la ricorrente che la disciplina non può essere derogata dagli strumenti generali di pianificazione e il deprezzamento della parte residua non può essere preso in considerazione perchè la fascia di rispetto è un vincolo legale conformativo che cagiona un pregiudizio non indennizzabile. La disposizione legislativa precede e prevale sugli strumenti generali di pianificazione del territorio e la Corte territoriale avrebbe dovuto preliminarmente accertare se la destinazione edificatoria fosse preclusa dalle norme di legge citate in rubrica.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4 – Nullità dell’ordinanza”. Deduce, in subordine, che l’area espropriata ricadeva interamente in zona F attrezzature urbane e residenziali ed attività terziarie, sicchè non aveva alcuna capacità edificatoria. Lamenta vizio motivazionale, in quanto la Corte territoriale aveva solo svolto richiamo acritico alla C.T.U.. Ad avviso della ricorrente il terreno che esprimeva la volumetria residenziale non era quello oggetto di esproprio, ma quello, individuato con la lettera B in base alla scheda CC0103 citata dal CTU, non interessato dalla procedura espropriativa.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,33,37 e 40”. Ribadisce che l’area F in cui si trovavano i terreni non aveva capacità edificatoria piena e che, anche a voler considerare la situazione dell’intero comparto successiva all’esproprio e la relativa incidenza, sarebbe risultata consentita l’edificazione nel comparto stesso di un immobile di 374 mq. di superficie coperta, come da relazione del CTP che richiama.

4. Con il quarto motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,33,37 e 40”. In via di ulteriore subordine, deduce che con la variante del giugno 2014 era stata stralciata la previsione di edificabilità di (OMISSIS), e quindi del comparto di cui trattasi, ma tale edificabilità era stata perequata in altra zona, ossia in (OMISSIS). Deduce che per effetto di detta perequazione l’indennità di espropriazione, ove dovuta, sarebbe stata di Euro 18.896,96, ed invece il valore indennitario riconosciuto erroneamente dalla Corte territoriale si era andato ad aggiungere alla capacità edificatoria riconosciuta in via perequativa.

5. Con il quinto motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3. Violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 20,22 bis, 26 e 50”. Censura il criterio di calcolo dell’indennità di occupazione d’urgenza, da effettuarsi con riferimento al periodo dalla data di immissione in possesso fino al decreto di esproprio, e non fino alla data di deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti, come statuito dalla Corte d’appello. Il ritardo della corresponsione dell’indennità, una volta emesso il decreto di esproprio, implica il pagamento degli interessi. Diversamente opinando, l’indennità di occupazione non avrebbe più l’effetto satisfattivo di un danno da mancato utilizzo del bene, ma sarebbe un corrispettivo per mancato utilizzo dell’indennità di espropriazione.

6. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.

Occorre premettere che le articolate censure espresse con il primo motivo di ricorso involgono questioni di diritto in ordine alle quali il Collegio ritiene di disattendere l’istanza dei controricorrenti di rimessione alle Sezioni Unite, trattandosi di tematiche che, pur presentando profili di indubbio rilievo nomofilattico, possono essere decise dalla Sezione semplice mediante interpretazione del contesto normativo in via estensiva e chiarificatrice di principi già affermati da questa Corte, nel senso che sarà illustrato.

Le questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte possono così sintetizzarsi: A) qualificazione giuridica della fascia di rispetto e correlata incidenza, in ipotesi di sua ablazione, sul criterio di determinazione dell’indennità di espropriazione e sull’individuazione della volumetria edificabile, ante assoggettamento alla procedura di espropriazione, dell’originario lotto unitario; B) rilevanza, in ordine all’individuazione della medesima volumetria edificabile, del solo “spostamento” della fascia di rispetto, nell’ipotesi in cui il vincolo, in conseguenza dell’espropriazione parziale, si sia spostato sull’area contigua, rimasta in proprietà dell’espropriato, venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava.

6.1. In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio ritiene di condividere il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost. (tra le tante Cass. n. 14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013). Detto vincolo non ha natura espropriativa, nè è preordinato all’espropriazione, in base a quanto previsto del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1 e art. 37, comma 4 e l’indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n. 5875/2015).

6.2. In ordine alle tematiche, più controverse, che presuppongono la sussistenza, accertata nella specie dalla Corte territoriale, dell’esproprio parziale di bene unitario ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, ritiene il Collegio che sia condivisibile l’orientamento secondo cui deve escludersi qualsiasi incidenza dell’area corrispondente alla fascia di rispetto ablata sulla determinazione della volumetria edificabile del lotto in cui è compresa (tra le altre Cass. n. 8121/2009 e Cass. n. 26899/2008).

Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell’interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero “vincolo di distanza” (sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza cfr. Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018).

La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima dell’assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.

Non è, pertanto, condivisibile l’indirizzo, a cui si sono attenuti i Giudici di merito (Cass. n. 5875/2012; Cass. n. 13970/2011), in base al quale anche la superficie della fascia di rispetto deve computarsi nell’individuazione della volumetria edificabile del lotto unitario, in quanto non vi sarebbe interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la valutazione dello stesso ai fini urbanistici.

Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla prima, e ciò in quanto l’area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall’assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 4.

6.3. A diversa conclusione si deve pervenire nell’ipotesi di spostamento della fascia di rispetto all’interno dell’area residua di proprietà, dovendosi rimarcare la sua dirimente distinzione dall’altra già considerata (ablazione della fascia di rispetto).

Infatti, in ipotesi di spostamento, la corrispondente porzione del bene è edificabile prima dell’imposizione sulla stessa del vincolo legale di inedificabilità conseguente dall’ablazione della fascia di rispetto, mentre diviene inedificabile solo dopo l’esproprio dell’originaria fascia di rispetto, così producendosi, per la “nuova” fascia di rispetto che resta in proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di un diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto di costruire.

In altri termini, come chiarito da questa Corte in precedenti pronunce (Cass. n. 5875/2012 e Cass. n. 23210/2012), il vincolo, in conseguenza dell’espropriazione, può essersi spostato sull’area contigua, rimasta in proprietà del privato, venutasi a trovare per effetto dell’espropriazione all’interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava (Cass. n. 13970/2011; n. 6518/2007; n. 14643/2001). Ove si verifichi detta situazione, poichè deve aversi riguardo alla consistenza dell’area ante procedura espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo di inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere rilevanza l’inedificabilità successiva della stessa ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33.

Dunque, l’edificabilità originaria di quella porzione consente di valutarne la volumetria edificatoria realizzabile in unione con l’altra parte residua, rimasta in proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in proprietà anche la “nuova” fascia di rispetto.

Negare rilevanza, nel senso indicato, alla descritta situazione si porrebbe in contrasto con i principi costantemente affermati da questa Corte in tema di espropriazioni per pubblica utilità, anche alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 348/2007, n. 349/2007 e 181/2011) e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo i quali non solo il sistema indennitario deve ritenersi improntato al riconoscimento del valore venale del bene ablato, ma l’indennizzo dovuto al proprietario, in base alla disciplina dettata dal citato art. 33, riguarda anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario stesso, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla proprietà residua, in modo da compensare il pregiudizio arrecato dall’ablazione ad essa (tra le tante Cass. n. 34745/2019).

Con riguardo a detti principi deve orientarsi l’interpretazione dell’art. 33 nella fattispecie in esame, la cui peculiarità risiede nel collegamento funzionale con una parte del fondo non espropriata, ma assoggettata, in diretta dipendenza dall’ablazione della fascia di rispetto, a vincolo assoluto di inedificabilità, e, quindi, alla perdita del diritto di costruire, pur nella permanenza del diritto di proprietà.

In tale ottica interpretativa, può darsi rilevanza, ai fini della configurabilità dell’esproprio parziale, a quel collegamento, a sua volta direttamente funzionale all’espropriazione della proprietà dell’area già in precedenza vincolata in quanto fascia di rispetto. Il fondamento normativo di suddetta ricostruzione si può rinvenire nell’art. 32, comma 1, citato D.P.R., che prescrive di tener conto, nella determinazione del valore del bene ai fini indennitari, anche dell’espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà, e a detta espropriazione è assimilabile l’ipotesi che si sta scrutinando, in cui il proprietario ha perso il diritto di costruire sulla porzione del fondo corrispondente alla “nuova” fascia di rispetto.

In base a detta opzione ermeneutica, estensiva nei termini consentiti dalla specificità del caso, il privato potrà ottenere il deprezzamento dell’area residua non ablata commisurato alla reale perdita o diminuzione di capacità edificatoria di essa.

Detto risultato può essere, infatti, raggiunto, in termini di effettività, solo se la valutazione della capacità edificatoria, da effettuarsi mediante comparazione delle caratteristiche del bene unitario ante e post procedura espropriativa, comprenda, nella ricostruzione della situazione ante procedura ablatoria, l’area della “nuova” fascia di rispetto originariamente edificabile, determinandosi, diversamente opinando, ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni con caratteristiche iniziali identiche, quanto alla pregressa destinazione urbanistica dell’area che, all’esito dell’espropriazione, rimane in proprietà.

Resta da precisare, sempre in ragione della specificità del caso, che il criterio di stima differenziale, che comporta la sottrazione all’iniziale valore dell’intero immobile quello della parte rimasta in capo al privato, non è vincolante e può essere sostituito dal criterio che procede al calcolo del deprezzamento della sola parte residua, per poi aggiungerlo alla somma liquidata per la parte espropriata, purchè si raggiunga il medesimo risultato di compensare l’intero pregiudizio arrecato dall’ablazione alla proprietà residua (da ultimo Cass. n. 25385/2019 e n. 34745/2019).

Nella specie, poichè la perdita del diritto di costruire sull’area residua corrispondente alla “nuova” fascia di rispetto non è indennizzabile, il giudice di merito potrà accertare e calcolare la diminuzione di valore dell’area residua rimasta in proprietà a seguito dell’avanzamento della fascia di rispetto mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (Cass. n. 24304/2011).

In altri termini, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua dovrà essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (Cass. n. 7195 del 2013).

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il primo motivo va accolto nei limiti indicati, con la cassazione dell’ordinanza impugnata, e i Giudici di merito dovranno attenersi al principio di diritto secondo il quale, in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, lo spostamento della fascia di rispetto autostradale all’interno dell’area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sè non indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell’indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della stessa ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste in proprietà.

7. Dall’accoglimento del primo motivo, nel senso precisato, consegue l’assorbimento dei motivi secondo, terzo e quarto, attinenti a censure sulla determinazione dell’indennità di espropriazione.

8. Il quinto motivo è infondato.

8.1. La Corte d’appello, nell’individuare il periodo di rilevanza per il calcolo dell’indennità d’occupazione d’urgenza ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 22 bis, si è attenuta ai principi affermati da questa Corte, ai quali il Collegio intende dare continuità, secondo cui l’indennità di occupazione d’urgenza, essendo volta a compensare il proprietario per la mancata disponibilità del bene, in relazione a quanto avrebbe percepito periodicamente da esso, va calcolata sino alla data dell’effettivo deposito dell’indennità di esproprio, momento che conclude la fattispecie complessa da cui deriva l’effetto dell’acquisizione della proprietà del bene anzidetto da parte della Pubblica Amministrazione o dei soggetti ad essa equiparati (da ultimo Cass. n. 32415/2019).

9. Conclusivamente, in accoglimento, nei limiti precisati, del primo motivo di ricorso, dichiarati assorbiti il secondo, il terzo e il quarto, rigettato il quinto, l’ordinanza impugnata è cassata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo di ricorso, dichiarati assorbiti il secondo, il terzo e il quarto, rigetta il quinto e, in relazione al motivo accolto, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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