Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13202 del 24/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/06/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 24/06/2016), n.13202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.R.D., rappresentata e difesa per procura speciale

in calce al ricorso, dall’Avvocato Funari Antonio, presso lo studio

del quale in Roma, via Girolamo da Carpi n. 1, è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliato per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia n. 936/2014,

depositato il 30 giugno 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

aprile 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato Anna Mandorlo, per delega

dell’Avvocato Antonio Funari.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Perugia, A.R.D. chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dei danni non patrimoniali derivati dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al TAR Lazio con ricorso depositato nel 1999, deciso con sentenza depositata il 1 maggio 2013; giudizio volto ad ottenere l’annullamento della esclusione della ricorrente dal concorso per l’arruolamento presso la Polizia di Stato, che ai affiancava ad altro giudizio proposto in precedenza, ma sempre nel 1999, avente ad oggetto il medesimo concorso;

che il Consigliere designato rigettava la domanda, ritenendo che la ricorrente non avesse sofferto alcun patema d’animo per la pendenza della lite, non avendo ella interesse alla definizione della stessa in considerazione dell’intervenuta perenzione del giudizio;

che la A. proponeva allora opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter;

che la Corte d’appello, in composizione collegiale, rigettava l’opposizione, rilevando che il consigliere designato aveva rigettato la domanda non già e non solo perchè il giudizio presupposto si era concluso con perenzione (circostanza, questa, di per sè non decisiva), ma tenendo conto del comportamento complessivo della parte, la quale dopo l’istanza di prelievo del 2004, non aveva più svolto attività sollecitatoria, verosimilmente perchè il giudizio amministrativo in questione era stato proposto dalla A. a scopo puramente cautelativo, avendo ella già proposto altro ricorso avente ad oggetto il provvedimento con il quale era stata esclusa dall’arruolamento; giudizio nel quale l’istanza cautelare era stata rigettata e conclusosi con perenzione;

che, dunque, la Corte d’appello valorizzava il ruolo meramente strumentale e cautelativo del giudizio del quale si lamentava la irragionevole durata, con conseguente assenza di patema d’animo;

che per la cassazione di questo decreto A.R.D. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato da successiva memoria;

che l’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1 CEDU, censurando il decreto impugnato per avere escluso il diritto all’equa riparazione pur se la vicenda oggetto del giudizio non rientra in alcuna delle ipotesi di esclusione di cui all’art. 2, comma 2-quinquies citata legge, non potendosi riconnettere un simile effetto alla circostanza che il giudizio presupposto si sia concluso con decreto di perenzione; in ogni caso, osserva la ricorrente, i due giudizi amministrativi, anche se strettamente connessi, avevano ad oggetto l’impugnazione di atti diversi sicchè gli stessi avrebbero potuto essere autonomamente decisi nel merito;

che, prosegue la ricorrente, il diritto all’equa riparazione non è escluso dall’esito del giudizio presupposto: il pregiudizio morale discende per le parti di un processo che si sia irragionevolmente protratto, a prescindere dal fatto che le parti siano risultate vittoriose o soccombenti, trovando tale principio deroga nei soli casi di lite temeraria o di abuso del processo, non ricorrenti nella specie;

che il ricorso è fondato;

che invero, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che “in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, l’indennizzo è escluso p ragioni di carattere soggettivo nell’ipotesi di lite temeraria, di causa abusiva o nel caso ricorrano altre ragioni che dimostrino in positivo la concreta assenza di un effettivo pregiudizio d’indole morale, nonchè nelle alte situazioni elencate dal comma 2-quinquies, aggiunto alla L. n. 89 del 2001, art. 2 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3) convertito in L. n. 134 del 2012 Nell’uno e nell’altro elenco non rientra il caso della manifesta infondatezza della domanda, la quale, ove non qualificata dall’ulteriore requisito di temerarietà o di abusività della lite, costituisce null’altro che il giudizio critico o di verità che la sentenza di merito esprime sulla postulazione contenuta nella domanda stessa” (Cass. n. 18834 del 2015);

che, si è rilevato in tale pronuncia, il diritto all’equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo: a) nel caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. n. 28592 del 2011;

Casa. n. 10500 del 2011; Casa n. 18780 del 2010), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la consapevolezza del proprio torto o sulla base di una pretesa di puro azzardo; b) nell’ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Casa. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Casa. n. 23373 del 2014, non massimate;

Cass. n. 22873 del 2009), che ricorre allorchè lo strumento processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti della mera pendenza della lite; e c) in tutte le ipotesi in cui la specifica situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell’effettivo e concreto pregiudizio d’indole morale, che è conseguenza normale, ma non automatica e necessaria della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7325 del 2015);

che, si è quindi rilevato, il comma 2-gningides, aggiunto alla L. n. 89 del 2001, art. 2 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), n. 3) convertito in L. n. 134 del 2012, ha previsto, con elencazione da ritenersi non tassativa, talune ulteriori ipotesi di esclusione dell’indennizzo, in presenza delle quali il giudice non dispone di margini d’apprezzamento della fattispecie;

che tra queste – si è rilevato – “(continua a) non rientra(re) quella della manifesta infondatezza della domanda. Intuitiva l’estraneità al caso in esame del comma 2-quinguies cit., lett. da b) ad e) va altresì esclusa sia la previsione di cui alla lett. a), che nega l’equa riparazione alla parte soccombente che sia stata condannata nel giudizio presupposto a norma dell’art. 96 c.p.c., sia quella di cui alla lett. f). Quest’ultima, in particolare, si riferisce ad ogni altro caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi processuali;

e dunque ad una condotta interna al processo e di specifica incidenza sulla sua durata, lì dove, invece, la manifesta infondatezza costituisce null’altro che il giudizio critico o di verità che la sentenza di merito esprime sulla postulazione contenuta nella domanda”;

che, dunque, coordinando tra loro il dato positivo attuale (applicabile alla fattispecie) e i precedenti indirizzi di questa Corte si conferma, dunque, che solo se qualificata dal requisito ulteriore di temerarietà o di abusività la domanda manifestamente infondata osta al riconoscimento di un’equa riparazione;

che la Corte di merito si è allontanata da tale ricostruzione della disciplina, estendendo (in difetto di un adeguato ombrello normativo o giurisprudenziale) il divieto d’indennizzo all’ipotesi di manifesta infondatezza della domanda e ritenendo la insussistenza di un interesse della parte alla definizione del processo nel merito per la conclusione del giudizio presupposto con pronuncia di perenzione:

che il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio alla Corte d’appello di Perugia perchè, alla luce richiamati principi, proceda a nuovo esame della domanda, nonchè alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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