Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13198 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 30/06/2020), n.13198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31939/2018 proposto da:

I.P., rappresentata e difesa dagli avvocati Aresi Tiziana e

Seregni Massimo Carlo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il

03/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/12/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 3893/2018 depositato il 03-10-2018 il Tribunale di Brescia ha respinto il ricorso di I.P., cittadina della (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dalla richiedente, la quale riferiva di essere fuggita perchè suo marito, dopo aver denunciato alla polizia una donna che aveva abbandonato il proprio neonato, aveva subito un’aggressione da appartenenti alla confraternita (OMISSIS). Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale della Nigeria e dell’Edo State, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3”. Censura la valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata, dolendosi della mancata applicazione dei criteri dettati dal citato art. 3 e della mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi da parte del Tribunale.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8”. Lamenta l’errata valutazione da parte del Tribunale della situazione generale esistente nel Paese di origine, degenerata negli ultimi mesi a causa della recrudescenza della violenza sia da parte di privati sia da parte delle forze dell’ordine. Si duole della mancata acquisizione di informazioni precise ed aggiornate sulla suddetta situazione, richiama sentenze di Giudici di merito e deduce che siano sussistenti, nel caso di specie, i requisiti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C), anche in considerazione della giovane età della ricorrente, madre di una bimba in tenerissima età.

3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

3.1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “In tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dell’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi” (Cass. n. 17036/2018 e, in senso ancor più rigoroso, Cass. n. 5640/2018).

3.2. Nel ricorso che si sta scrutinando manca l’esposizione dei fatti, che neppure si evince dallo svolgimento dei motivi. La ricorrente non descrive, neppure sinteticamente, quali siano state le allegazioni svolte dalla stessa nel precedente grado di giudizio e lo svolgimento di quest’ultimo, ma si limita a richiamare la normativa di riferimento e pronunce di merito e di legittimità, senza spiegarne l’attinenza al suo caso e neppure al decisum censurato.

Si duole, inoltre, la ricorrente del giudizio di non credibilità della sua vicenda personale espresso dal Tribunale, ma neppure descrive quale sia detta vicenda. Censura, infine, la valutazione effettuata dal Tribunale sulla situazione generale della Nigeria e dell’Edo State, lamentando la mancata acquisizione di informazioni precise e aggiornate, senza minimamente confrontarsi con il percorso argomentativo di cui al decreto impugnato, nel quale è invece descritta compiutamente la situazione generale dell’Edo State, con indicazione delle fonti di conoscenza (pag. n. 4).

3.2. Le censure sono inammissibili anche sotto un ulteriore profilo, atteso che la ricorrente, formalmente denunciando vizi di violazione di legge, in realtà chiede una rivalutazione degli apprezzamenti di merito, quali sono quelli sulla credibilità del narrato e sulla situazione generale del Paese di origine, che sono incensurabili in sede di legittimità, ove adeguatamente motivati, come nella specie (Cass. n. 3340/2019; Cass. n. 14283/2019; Cass. n. 30105 del 2018).

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile, nulla dovendo disporsi circa le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata costituzione del Ministero.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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