Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13196 del 28/05/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 13196 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 23055-2007 proposto da:
TRANSUNTO GIANFRANCO TRNGFR37M03H501Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI 110, presso
lo studio dell’avvocato CATALISANO SETTIMIO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2013
846

ZURICH

INSURANCE

COMPANY

S.A.

01627980152

Rappresentanza Generale per l’Italia giusta fusione
per incorporazione di ZURICH INTERNATIONAL ITALIA
S.P.A. in ZURIGO COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI S.A.,

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Data pubblicazione: 28/05/2013

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA UNITA’ 13,
presso lo studio dell’avvocato RANUCCI LUISA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 22734/2006 del TRIBUNALE di
ROMA, depositata il 07/11/2006, R.G.N. 31190/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/04/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
GIACALONE;
udito l’Avvocato SETTIMIO CATALISANO;
udito l’Avvocato LUISA RANUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per
l’inammissibilità;

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MUSILLI BERNARDINO;

IN FATTO E IN DIRITTO.
I. Gianfranco Transunto impugna per cassazione, sulla base di due motivi, la sentenza del
Tribunale di Roma, depositata il 7 novembre 2006, che, in accoglimento del primo motivo di
appello principale, ricalcolava il danno alla persona subito dall’odierno ricorrente, ritenendolo,
tuttavia, assorbito nell’offerta formulata dalla Zurigo Assicurazioni in fase giudiziale. Il Giudice
territoriale condivideva sul punto la doglianza dell’appellante principale, riconoscendo che il
giudice di primo grado non aveva specificato il criterio utilizzato per la liquidazione equitativa del

prime cure non era tuttavia obbligato ad utilizzare, essendosi il sinistro verificato nel 1999, ma ai
quali, comunque, avrebbe potuto fare liberamente riferimento in sede di liquidazione equitativa del
danno) o a quelli di cui alle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma. Confermava, invece, il capo
della sentenza di primo grado relativo al mancato riconoscimento di ulteriori somme a titolo di
danno emergente (per rottura degli occhiali) e lucro cessante (per perdita di guadagni durante il
periodo di invalidità temporanea), ritenendo che nessuna prova fosse stata fornita per dimostrare
che gli occhiali erano stati rotti in occasione del sinistro e che per la sostituzione degli stessi era
stato sborsato l’importo richiesto, né in ordine ai mancati guadagni, atteso che il contratto prodotto
in atti era attinente ad un periodo successivo a quello della verificazione del sinistro.
2. Resiste con controricorso, illustrato con memoria, la Zurich Insurance Company S.A. (nel
giudizio di appello Zurigo Assicurazioni S.A.), chiedendo l’inammissibilità e comunque il rigetto
del ricorso.
3. Questi i motivi di ricorso proposti dal Transunto.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia difetto di motivazione su punti decisivi della
controversia e vizi di violazione di norme di legge. Il Tribunale di Roma, ha ritenuto di non
accogliere la richiesta di risarcimento in ordine ai mancati guadagni proposta dal ricorrente, sul
presupposto che il contratto prodotto in atti atteneva ad un periodo successivo a quello di
verificazione del sinistro ed era riferibile a prestazione occasionale. In tal modo, con motivazione
insufficiente e contraddittoria, non avrebbe tenuto conto dell’attività lavorativa del ricorrente
(direttore della fotografia in ambito cinematografico) e quindi astenendosi dal liquidare, anche in
via equitativa, la somma ricavabile dal contratto in atti. Formula al riguardo il seguente quesito:
“Nel caso in cui l’attore — appellante abbia prodotto un contratto che attiene ad un periodo
successivo al sinistro, considerata la particolarità del lavoro svolto che notoriamente non è
continuativo deve il giudice d’appello liquidare il danno da mancato guadagno, anche in via
equitativa, sulla scorta di un contratto prodotto in giudizio dimostrativo del compenso percepito”.

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danno, né indicato se avesse fatto riferimento ai parametri di cui alla L. 57/2001 (che il giudice di

3.2 Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta falsa applicazione di norme di diritto
processuale, (ex art. 360 c. 1 n. 3 e 4 c.p.c.): art. 91, 92, 112, 116 c.p.c., nonché difetto di
motivazione su punti decisivi della controversia. Il Tribunale non avrebbe tenuto conto del principio
consolidato di questa Corte, secondo cui il giudice d’appello, allorché riforma in tutto o in parte la
sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali
quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, dato che l’onere di esse va attribuito e
ripartito tendendo presente l’esito complessivo della lite. Formula al riguardo il seguente quesito:

consulenza tecnica d’ufficio — nell’ambito di una controversia avente ad oggetto una domanda di
risarcimento del danno derivante da sinistro stradale — e la responsabilità nella causazione del
danno non sia in contestazione, dica la Corte se in questa Ipotesi, il giudice di primo grado e
conseguentemente quello d’appello, possano ritenere che la somma versata dalla compagnia
assicuratrice, accettata a titolo di acconto sul maggior danno dopo l’instaurarsi del giudizio di
primo grado debba considerarsi satisfattiva o debba decidere accertando gli eventuali maggiori
danni emergenti dal giudizio, in mancanza di una esplicita accettazione da parte dell’originario
attore”.
4. I motivi del ricorso si rivelano entrambi inammissibili, per inidoneità dei quesiti di diritto
formulati, nonché per mancanza del “momento di sintesi” in relazione ad entrambi i motivi nella
parte in cui prospettano un vizio motivazionale.
4.1. Infatti, l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza
impugnata è stata depositata il 07.11.2006), prevede le modalità di formulazione dei motivi del
ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso se, in presenza dei
motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ciascuna censura,
all’esito della sua illustrazione, non si traduca in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e
formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione

“Nel caso in cui l’attore chieda la condanna alle spese di lite ed a quelle sostenute per la

del principio di diritto ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (il cui
oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione
che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la
decisione (Cass. n. 4556/09).
4.2. Rispetto ai motivi di ricorso, nella parte in cui deducono violazioni dell’art. 360 n. 3 e 4, il
quesito di diritto formulato si rivela inidoneo, dovendosi ribadire che il quesito non può consistere
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in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello
della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave
di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di
rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile
di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il
quale sinteticamente si domanda alla Corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e

luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò
quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come
prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non
potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa
desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poiché una siffatta interpretazione si
risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una
formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento
ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo
riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso,
esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto,
formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto
(v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo
quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto
e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.
4.3. – Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati, dato che non contengono adeguati
riferimenti in fatto (circa l’oggetto della questione controversa, né circa la sintesi degli sviluppi
della controversia sullo stesso, né la precisa indicazione delle effettive ragioni della decisione
oggetto delle critiche dei ricorrenti), né espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono
erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, esso si limita ad
enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e specifiche indicazioni
sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di
dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Inoltre, il quesito di diritto non
può risolversi – come nella specie – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già
presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass.
S.U. 2/12/2008 n. 28536; Cass. 25/3/2009 n. 7197).
4.4. Inoltre, i motivi, nella parte in cui deducono un vizio motivazionale, non è stato formulato il
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sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in

”momento di sintesi”, che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera
illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente
individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002), non potendosi intendere per tali i generici e
tautologici quesiti che conclude la seconda e la terza censura, senza indicare né il fatto controverso,
né le ragioni che renderebbero la motivazione inidonea a sorreggere la decisione. Manca, quindi, in
relazione a detta censura, l’adeguata sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti della doglianza, in
modo da non ingenerare incertezze nella formulazione del ricorso e nella valutazione della sua

L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta, perciò, impropriamente rimessa
all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08), che, invece, deve essere
posta in condizione di comprendere dalla sola lettura del quesito o del momento di sintesi quale sia
l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).
4.5. Senza contare che, oltre all’assenza di riferimenti ai fatti e dell’enunciazione delle ragioni
per le quali si censura il ragionamento del giudice d’appello, le doglianze non colgono nel segno
anche per le seguenti considerazioni.
4.6 Invero, diversamente da quanto sostenuto nel primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata
è in armonia con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui la liquidazione del danno
patrimoniale alla capacità di lavoro e di guadagno non può costituire un’automatica conseguenza
dell’accertata esistenza di lesioni personali, ma esige che sia verificata la attuale o prevedibile
incidenza dei postumi sulla capacità di lavoro della vittima (Cass. n. 4493/2011).
Nel caso in esame, il Giudice di merito ha congruamente e correttamente evidenziato che non
veniva fornita alcuna prova in merito ai mancati guadagni. Né poteva considerarsi tale il contratto
prodotto in atti, attinente ad un periodo successivo alla verificazione del sinistro ed alla conseguente
malattia, nonché essendo – in ogni caso – riferibile ad una prestazione occasionale. Il ricorrente,
mettendo in discussione tale conclusione, si limita, con il motivo in esame, a fornire una diversa ed
inammissibile lettura, dinanzi a questa Corte, di risultanze probatorie, senza considerarne la
costante giurisprudenza secondo cui, quanto alla valutazione delle prove adottata dai giudici di
merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato ricostruttivo in sé, che appartiene
all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (Cass. n. 12690/2010 in motivazione; n.
5597/2005). Se da un lato il vizio di violazione di legge non può consistere una “diversa lettura”
delle risultanze probatorie, altrettanto deve dirsi per i vizi motivazionali denunciabili in cassazione,
i quali non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal
giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le
fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza,
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ammissibilità (Cass. S.U. n. 20603/2007 e 16528/2008; Cass. n. 27680/2009, ord.).

scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass.
n. 6064/2008; n. 26886/2008; 21062/2009 in motivazione). Il Giudice di appello, ha invece,
proceduto ad una completa valutazione del contratto, spiegando congruamente le ragioni della
propria decisione.
4.7. Anche il secondo motivo è privo di pregio, limitandosi il ricorrente a prospettare un riesame
di apprezzamenti riservati alla discrezionalità del Tribunale e congruamente motivati nel caso di
specie. Se da un lato non colgono nel segno le prospettate violazioni di legge, anche la censura sotto

cui è pervenuto il Giudice d’appello. Quest’ultimo, non si è infatti limitato ad applicare
acriticamente il principio richiamato dal ricorrente nel quesito di diritto (secondo cui, qualsiasi
offerta intervenuta nel corso del giudizio debba essere considerata satisfattiva delle ragioni
creditorie anche in punto di spese di lite), ma: a) ha ritenuto non essere stata fornita alcuna prova in
merito alle ulteriori voci di danno; b) ha ritenuto non condivisibile l’assunto dell’allora appellante
secondo cui “dalla somma corrisposta dalla compagnia assicurativa dovevano essere detratte £
1.400.000 a titolo di compensi per attività legali stragiudiziale atteso che la somma è stata isposta
per il risarcimento del danno subito ed è stata accettata quale acconto sul maggior danno”; c)
relativamente alle compensazione delle spese operata dal giudice di primo grado, ha ritenuto che,
essendo l’offerta della compagnia formulata a seguito della notifica dell’atto di citazione, poteva
ritenersi che quest’ultima fosse tenuta anche alla rifusione delle spese del giudizio in favore
dell’allora attore. Tuttavia, la circostanza che l’attore aveva inteso proseguire il giudizio – per il
risarcimento di voci ulteriori di danno non riconosciute dalla compagnia di assicurazione – lo
rendeva parzialmente soccombente in relazione alle ulteriori domande proposte.
4.8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, che liquida in Euro 2500,00=, di cui Euro 2300,00-= per onorario, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 1’11 aprile 2013.

il profilo del vizio motivazionale è impropriamente formulata, senza tener conto delle conclusioni

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