Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13196 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. I, 28/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 15853/209 proposto da:

LA PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI BRINDISI, in

persona del Prefetto pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

N.A.;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 16/2008 del GIUDICE DI PACE di BRINDISI del

12/05/08, depositata il 19/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERPELICE PRATIS.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “Con il decreto impugnato il Giudice di pace di Brindisi ha accolto l’opposizione proposta da N.A. avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Brindisi, ritenendo viziato il provvedimento amministrativo perchè non contenente la motivazione in ordine alla durata del divieto di rientro in (OMISSIS).

Contro il decreto la Prefettura di Brindisi ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’intimato non ha svolto difese. In diritto p.2.- Con il primo motivo l’Amministrazione ricorrente denuncia violazione dell’art. 13, commi 2, 8 e 14 nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e formula il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.:

Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nell’ambito del ricorso avverso il decreto di espulsione, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13, in presenza – come nel caso – degli accertati presupposti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 19, il Giudice di Pace debba arrestare la sua verifica e confermare la legittimità dell’espulsione, non potendo estendere il suo sindacato alla valutazione di altri profili di regolarità dell’azione amministrava – inerenti, nel caso, la durata del conseguente divieto di reingresso sancito dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 14 – e non potendo decidere l’annullamento del decreto prefettizio per un asserito vizio di motivazione del periodo di durata del suddetto divieto, che non incide e non contraddice la sussistenza dei presupposti di legge per l’espulsione.

p.2.1. Il motivo appare manifestamente fondato.

Il provvedimento di espulsione comporta come effetto necessario il divieto di rientro prima di un certo lasso di tempo.

Questo lasso di tempo ha una durata legale massima di dieci anni, che può essere ridotta, ma non sotto i cinque anni.

La riduzione della durata del divieto di rientro costituisce una parte autonoma del provvedimento di espulsione.

Se il provvedimento di espulsione in sè è legittimo, allora non può essere annullato per il fatto che manchi nel provvedimento una disposizione sulla durata dei suoi effetti, perchè esso ha comunque sempre una durata di almeno cinque anni.

Quindi, se manca una disposizione sulla durata del divieto di rientro, il provvedimento può essere se mai annullato per la parte in cui non ha disposto circa la riduzione della sua durata, ma non per il fatto di contenere l’ordine di espulsione.

p.3.- Con il secondo motivo l’Amministrazione ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 14, e formula il seguente quesito:

Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione se nell’ambito del ricorso avverso il decreto di espulsione, con conseguente divieto di reingresso per il periodo di durata decennale prescritto immediatatamente dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 14, l’Autorità amministrativa non sia tenuta a motivare l’applicazione del suddetto termine di legge di durata del divieto sancito dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 14, ed il Giudice di Pace – in presenta dei presupposti di legge per l’espulsione – debba confermarne la piena legittimità non potendosi censurare la suddetta omessa motivazione e non potendosi, per tale supposto e inesistente vizio, decidere l’annullamento del decreto prefettizio.

p.3.1.- E’ noto che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, come modificato dalla L. n. 189 del 2002, dispone che lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno e il successivo comma 14 prevede che, salvo che sia diversamente disposto, il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di dieci anni. Nel decreto di espulsione può essere previsto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in (OMISSIS).

Il testo originario della norma, invece, prevedeva quanto segue: Il divieto di cui al comma 13 opera per un periodo di cinque anni, salvo che il pretore o il tribunale amministrativo regionale, con il provvedimento che decide sul ricorso di cui ai commi 8 e 11, ne determinino diversamente la durata per un periodo non inferiore a tre anni, sulla base di motivi legittimi addotti dall’interessato e tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato sul territorio dello Stato.

La S.C. ha già avuto modo di precisare, in proposito, che in tema di espulsione amministrativa dello straniero, a seguito della entrata in vigore delle modificazioni del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, introdotte dalla L. 30 luglio 2002, n. 189, art. 12, il potere di determinare il periodo di divieto di rientro in Italia dello straniero non spetta più al giudice, ma unicamente al Prefetto all’atto della espulsione (Sez. 1^, Sentenza n. 6080 del 21/03/2005;

Sez. 1^, Sentenza n. 5212 del 2006).

Appare evidente, dal confronto della norma vigente e con quella originaria, che il Legislatore abbia voluto sottrarre il potere di determinazione della durata del divieto di rientro all’A.G., stabilendo preventivamente la medesima nella misura di dieci anni, salvo riduzione da parte della stessa Autorità amministrativa, tenuta a motivare la deroga alla durata prefissata dalla legge sulla base della valutazione discrezionale della stessa Autorità che emette il provvedimento di espulsione.

Nondimeno, i poteri pubblici sono ad esercizio discrezionale, non facoltativo.

In proposito giova ricordare il principio giurisprudenziale secondo il quale il principio di proporzionalità: a) è un principio generale del diritto comunitario, di cui le istituzioni degli stati membri devono tener conto nell’esercizio del loro potere discrezionale; b) è applicabile non soltanto agli atti normativi, ma anche a quelli amministrativi; c) implica che i provvedimenti incidenti sulla libertà dei cittadini, tutelate dal diritto comunitario, debbano essere idonei (id est adeguati all’obiettivo da perseguire) e necessari (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace ma meno negativamente incidente, sia disponibile); d) rimane inteso che non avendo il giudice amministrativo, di regola, poteri sindacatori di merito, il riscontro della proporzionalità dell’azione amministrativa, dovrà svolgersi – in presenza dell’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione nell’apprezzamento delle situazioni di fatto e della ponderazione dei contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti e segnatamente in materia di individuazione dei parametri di selezione delle offerte economicamente più vantaggiose – ab externo, sulla congruità e non contraddittorietà dell’istruttoria compiuta ed esternata nella motivazione del provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. 4^, sent. n. 3368 del 20/06/2002).

Va, pertanto, affermato che, se la legge prevede che la durata legale non già possa essere di dieci anni, ma sia di dieci anni, salvo che il prefetto non ritenga di poterla ridurre, si può negare che il prefetto abbia onere di ricercare lui gli elementi sulla cui base il potere può essere esercitato, ma non che possa mancare di motivare sul perchè non esercita il potere, quando gli elementi che potrebbero giustificarlo sono entrati comunque a far parte del procedimento.

Sicchè, a queste condizioni, per la sola parte in cui il prefetto non ha fissato la durata del divieto in misura inferiore ai dieci anni e tra dieci e cinque anni, il provvedimento può essere impugnato e annullato.

Questo se il giudice riterrà che gli elementi introdotti nel procedimento sono rilevanti ai fine di un diverso giudizio sulla minore durata del divieto.

Qualora si condividano i rilievi innanzi enunciati, il ricorso può essere deciso in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”.

p.4.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei sensi innanzi indicati e alla cassazione del provvedimento impugnato con rinvio al giudice del merito per nuovo esame nell’osservanza dei principi sopra enunciati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità al Giudice di pace di Brindisi, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

 

 

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