Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13195 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. I, 28/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29698/2008 proposto da:

LA PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO MILANO, in persona

del Prefetto pro tempore, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrenti –

contro

H.A.E.K.A.E.G.H.;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 596/07 del GIUDICE DI PACE di MILANO,

depositato il 31/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” H.A.E.K.A.E.G.H. proponeva opposizione avverso il decreto di espulsione emesso in data 19.11.07 in suo danno dal Prefetto di Milano. Il Giudice di pace di Milano, con decreto del 31.12.2007, accoglieva l’opposizione, osservando che l’opponente “sebbene senza essere in regola”, “si è ben integrato nel tessuto sociale” ed il Prefetto avrebbe dovuto procedere una valutazione comparata delle ragioni di ordine pubblico che inducevano all’espulsione, anche in ottemperanza della direttiva 2003/109/CE, recepita con D.Lgs. n. 3 del 2007 e, in particolare, dell’art. 13.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il Prefetto di Milano affidato ad un motivo; non ha svolto attività difensiva l’intimato.

Osserva:

1.- Il ricorrente, con un unico motivo, denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 9 e 13, nonchè del D.Lgs. n. 3 del 2007 (art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo che l’opponente era stato espulso in quanto era entrato in (OMISSIS) sottraendosi ai controlli di frontiera, senza mai chiedere ed ottenere un premesso di soggiorno, con la conseguenza che l’atto di espulsione ex art. 13, comma 2, cit., doveva ritenersi vincolato.

Inoltre, il giudice di pace ha erroneamente richiamato il D.Lgs. n. 3 del 2007, che concerne i soggiornanti di lungo periodo, condizione non vantata dall’opponente.

La difesa erariale formula, infine, quesito diretto a conoscere se il Prefetto debba espellere il cittadino straniero che abbia fatto ingresso in (OMISSIS) sottraendosi ai controlli di frontiera e permanendovi, senza mai chiedere ed ottenere un premesso di soggiorno, non potendo valutare le condizioni di inserimento socio- lavorativo, come accade nel diverso caso dei soggiornanti di lungo periodo, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, e del D.Lgs. n. 3 del 2007.

2.- Il ricorso appare manifestamente fondato.

Secondo l’orientamento di questo Corte, al quale va data continuità, le ipotesi di violazione che possono giustificare l’espulsione sono rigorosamente descritte dalla vigente normativa, configurandosi il provvedimento espulsivo come atto a contenuto vincolato; quindi, resta escluso che il giudice possa e debba verificarne la legittimità procedendo ad accertare e valutare l’esistenza di ulteriori ragioni giustificative del provvedimento quali, ad esempio, quelle attinenti all’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica (Cass. n. 20668 del 2005; n. 9088 e n. 9093 del 2003).

In applicazione di detto principio risulta manifesta l’erroneità del decreto impugnato, poichè, una volta accertato che lo straniero era entrato illegalmente in (OMISSIS), sottraendosi ai controlli di frontiera – e di ciò da atto anche il provvedimento del giudice di pace – il Prefetto era obbligato ad adottare il decreto di espulsione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. a), e non poteva, nè doveva, svolgere alcuna ulteriore verifica, così come erroneamente ritenuto dal giudice del merito che, sul punto, svolge considerazioni ed argomenti senza darsi carico di indicare quali norme le legittimerebbero e senza tenere conto del disposto del citato art. 13.

Del tutto in conferente è poi il richiamo alla direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE, che, come precisa l’art. 4, riguarda la possibilità degli Stati membri di conferire lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di paesi terzi che hanno soggiornato legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel loro territorio immediatamente prima della presentazione della pertinente domanda.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 – nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 3 del 2007, nel dare corretta attuazione ala direttiva ha quindi, stabilito che “lo straniero in possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell’articolo 29, comma 3, lett. b) e di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio, può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per sè e per i familiari di cui all’art. 29, comma 1″.

Si tratta, come è chiaro di una fattispecie la cui sussistenza non è stata affatto verificata dal giudice di pace, il quale ha erroneamente qualificato come soggiornante di lungo periodo uno straniero illegalmente entrato in Italia, senza accertare la sussistenza dei presupposti necessari a tal fine.

In accoglimento del ricorso, il provvedimento potrà essere cassato e la causa rinviata al Giudice di pace di Milano, in persona di diverso magistrato (risultano proposti motivi di opposizione non decisi, perchè evidentemente ritenuti assorbiti).

Pertanto, il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

3. – Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso.

Il provvedimento impugnato, quindi, deve essere cassato con rinvio per nuovo esame al Giudice di pace di Milano, in persona di diverso magistrato, il quale si atterrà ai principi innanzi enunciati e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità al Giudice di pace di Milano in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

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