Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13194 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. I, 28/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 28/05/2010), n.13194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26071/2008 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO

3, presso lo studio dell’avvocato ANDRENELLI Adriano, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

QUESTURA DI PARMA, PREFETTURA DI PARMA, in persona dei rispettivi

legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

le rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 4377/08 R.G. del GIUDICE DI PACE di PARMA del

19/09/08, depositata il 03/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” O.S. proponeva opposizione innanzi al Giudice di pace di Parma avverso il decreto di espulsione emanato dal Prefetto di detta città in suo danno in data 8.8.2008.

Il Giudice adito, con provvedimento del 3.10.2008, rigettava l’opposizione.

Per la cassazione di questo provvedimento ha proposto ricorso O. S., affidato a quattro motivi; hanno resistito con controricorso il Prefetto ed il Questore di Parma.

Osserva:

1.- Il primo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti rilevanti della controversia, violazione e falsa applicazione del D.M. 18 novembre 2002, art. 4, comma 2, L. n. 189 del 2002, art. 13, comma 7, art. 3, commi 3 e 4, e art. 4, commi 2 e 3, del regolamento di esecuzione, art. 7, L. n. 241 del 1990 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che il provvedimento impugnato non avrebbe considerato che: il decreto di espulsione era stato sottoscritto dal viceprefetto; il decreto di espulsione non era stato comunicato all’autorità consolare; non era stato comunicato l’avvio del procedimento; il provvedimento non era accompagnato dalla sintesi e non era motivato.

Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti rilevanti della controversia, violazione e falsa applicazione del D.M. 18 novembre 2002, art. 4, comma 2, L. n. 189 del 2002, art. 13, comma 7, art. 3, commi 3 e 4, e art. 4, commi 2 e 3, del regolamento di esecuzione, art. 7, L. n. 241 del 1990 e L. n. 189 del 2002, art. 14 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), in quanto il provvedimento impugnato non ha considerato che l’ordine del questore difettava dei requisiti formali per la sua validità.

Il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, violazione dell’art. 54 c.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, art. 3, commi 3 e 4, art. 4 del regolamento di esecuzione, art. 13, commi 4 e 5 (così testualmente) (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), deducendo che: erroneamente il provvedimento impugnato ha ritenuto non provato lo stato di necessità; non ha preso in esame le doglianze concernenti la mancata traduzione del decreto di espulsione e dell’ordine del questore, senza verificare la possibilità di traduzione nella sua lingua; il provvedimento del Questore non è stato motivato in ordine all’intimazione di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni.

Il quarto motivo denuncia violazione falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5), nella parte in cui il provvedimento ha omesso di motivare in ordine al mancato riconoscimento degli onorari, diritti e spese del giudizio, benchè questa Corte con la sentenza n. 8295 del 2007 abbia affermato che il giudice deve motivare in ordine alla riduzione delle voci della nota spese.

In conclusione del ricorso, dopo l’esposizione di tutti i motivi, il ricorrente formula, infine, i seguenti quesiti di diritto:

a) in presenza di situazioni rientranti nei divieti di espulsione, il magistrato è tenuto ad un controllo approfondito di tutte le circostanza del caso concreto?; b) Quando il giudice rigetta la liquidazione delle spese di giustizia, è tenuto a fornire una adeguata motivazione?.

2.- I motivi sono manifestamente inammissibili.

Nella elaborazione dei canoni di redazione del quesito di diritto, la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, si è consolidata nell’affermare che i quesiti, formulati per ciascun motivo di ricorso, devono consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera di questa Corte possa condurre ad una decisione di segno diverso: ove tale articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolve in un’astratta petizione di principio, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.

Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento del medesimo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre questa Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Ciò vale a dire che deve potersi comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (per tutte, Cass. S.U. n. 3519 del 2008).

Dunque, il quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., è inadeguato, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso, quando si risolva in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. S.U. n. 11210 del 2008), ovvero in un’enunciazione di carattere generale e astratto (Cass. S.U. n. 6420 del 2008), oppure qualora si concreti in quesiti multipli o cumulativi (Cass. n. 5471 del 2008; n. 1906 del 2008).

Nella specie, il primo quesito risulta manifestamente difforme da detti principi, risolvendosi in una domanda tautologica ed astratta, in difetto dell’indicazione nel quesito dell’indicazione della specifica situazione preclusiva del divieto di espulsione, che sarebbe stata fatta valere con l’opposizione e che non sarebbe stata vagliata.

Il secondo quesito è addirittura del tutto inconferente, posto che nella specie, nella fase di merito, non vi è stata costituzione dell’intimato e l’opposizione è stata rigettata, quindi, correttamente non è stata resa pronuncia sulle spese, poichè le stesse non potevano che restare a carico della parte istante, soccombente.

Peraltro, è solo per mera completezza che è opportuno sottolineare l’esistenza di ulteriori profili di manifesta inammissibilità, concernenti:

a) il primo motivo, posto che delle questioni concernenti l’asserita invalidità del decreto di espulsione: per la sottoscrizione da parte del vice prefetto, per la mancata comunicazione all’autorità consolare, per l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, per difetto di motivazione del decreto di espulsione non v’è menzione nel provvedimento impugnato e l’istante non ha dedotto di averle proposte con l’atto di opposizione, riproducendo, in parte qua, nell’osservanza del principio di autosufficienza. Peraltro, le questioni sono anche manifestamente infondate nel merito, posto che non incidono sulla validità del decreto: la sottoscrizione da parte del vice prefetto (Cass. n. 9094 del 2003), la mancata comunicazione all’autorità consolare (Cass. n. 28884 del 2005), l’inosservanza della legge n. 241 del 1990, che non è applicabile nella specie (Cass. n. 13364 del 2007; n. 28858 del 2005; n. 15390 del 2003), il difetto di motivazione del decreto di espulsione, soddisfatto con l’indicazione dell’ipotesi che lo legittima (Cass. n. 5518 del 2006).

b) Il secondo motivo, per la sua assoluta genericità, concernendo peraltro l’impugnazione dell’ordine del Questore, del quale neppure risulta l’impugnazione (indipendentemente dalla sua non impugnabilità).

c) Il terzo motivo, in quanto il provvedimento impugnato fa richiamo alla derogabilità della traduzione nella lingua dello straniero, quando sia attestata la ragione della medesima, mentre l’istante non riproduce il decreto per dimostrarne l’insussistenza. Inoltre, nella parte relativa ad eventuali vizi dell’ordine del Questore di allontanamento, indipendentemente da quanto sopra precisato in ordine alla mancata impugnazione nella fase di merito, è sufficiente ribadire che, comunque, l’intimazione di allontanamento entro cinque giorni, adottata dal questore nei confronti dello straniero non può essere sottoposta al sindacato del giudice dell’opposizione all’espulsione (Cass. S.U. n. 20121 del 2005; Cass. n. 25026 del 2005) ed il provvedimento non incide sulla libertà personale dell’espulso e, pertanto, neppure comporta l’adozione degli strumenti giurisdizionali di controllo espressamente previsti per le convalide delle misure restrittive (Cass. n. 5713 del 2008). Nella parte relativa all’invocato stato di necessità, le argomentazioni sono inconferenti, posto che nel provvedimento neppure v’è cenno della questione, peraltro proposta anche in questa sede in modo assertivo ed sostanzialmente incomprensibile nell’indicazione dei presupposti di fatto che, in tesi, sarebbero stati sottoposti al giudice del merito;

d) Il quarto motivo, poichè svolge argomenti inconferenti in ordine alla necessità di motivare la riduzione della nota spese, dato che nella specie le spese del giudizio sono rimaste a carico della parte soccombente, conclusione questa che, stante la contumacia dell’intimato ed il rigetto dell’opposizione, neppure richiedeva ulteriore motivazione rispetto a quella svolta nel provvedimento impugnato. Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

3.- Il Collegio ritiene assorbente l’assoluta genericità dei quesiti rilevata nella relazione e la conseguente violazione dell’art. 366 bis c.p.c., che comporta l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.200,00 oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

 

 

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