Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13194 del 24/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2016, (ud. 22/04/2016, dep. 24/06/2016), n.13194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16490-2014 proposto da:

F.G., (OMISSIS), P.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 41, presso lo

studio dell’avvocato FABRIZIO MARIA SEPIACCI, rappresentati e

difesi dall’avvocato ANTONINO TURTURICI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA

6, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MARIA MORANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIERLUIGI ACQUARELLI, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 748/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

16/04/2013, depositata il 30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato ANTONINO TURTURICI, difensore del ricorrente, che

chiede l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PIERLUIGI ACQUARELLI, difensore del

controricorrente, che si riporta alla memoria.

Fatto

FATTO E DIRITTO

P.M. e F.G. propongono ricorso per cassazione contro M.R., che resiste con controricorso, illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo 30.4.2013 che ha rigettalo l’appello alla sentenza del Tribunale di Sciacca che aveva condannato i convenuti contumaci alla eliminazione del balcone con ringhiera realizzati su area soprastante ed adiacente l’immobile dell’attrice, accertando che tale balcone si trovava in gran parte, per m.2,20, all’interno dell’area appartenente alla M. e per la restante parte m. 1,55 non rispettava le distanze tra edifici non risultando la costituzione di alcuna servitù di veduta.

La Corte di appello, premesso che gli appellanti, pur non contestando l’accertamento dei fatti compiuto dal primo giudice sulla scorta della ctu. lamentavano la mancata applicazione dell’art. 905 c.c., comma 3 e di mezzi alternativi alla demolizione, ha dichiarato le doglianze infondate trattandosi di abusiva occupazione dell’area di proprietà altrui e di veduta laterale ed obliqua ex art. 906 c.c..

I ricorrenti denunziano: 1) violazione degli artt. 112, 324, 343 e 345 c.p.c., art. 2909 c.c. perchè l’attrice aveva lamentato la sola violazione delle distanze legali ne aveva proposto appello incidentale: 2) violazione dell’art. 905 c.c.; 3) in via subordinata violazione dell’art. 905 c.c. stante la possibilità di idonei accorgimenti.

Le prime due censure, non risolutive, non merita accoglimento.

I giudici di merito hanno accertato che il balcone si trovava in gran pane. per m. 2,20, all’interno dell’area appartenente alla M. e per la restante parte m. 1,55 non rispettava le distanze tra edifici non risultando la costituzione di alcuna servitù di veduta.

Ciò premesso la prima censura non considera che lo stesso ricorrente riferisce che l’atto introduttivo riguardava l’illegittimità del balcone con sporto a distanza inferiore di quella disposta dall’art. 905, che l’interpretazione della domanda spella al giudice e non vi era bisogno di proporre appello incidentale rispetto ad una decisione favorevole.

Andava impugnata per eventuale extrapetizione la sentenza del Tribunale ma non si dimostra di averlo fatto.

Il secondo motivo è infondato in quanto si è fatto riferimento ad una veduta obliqua e laterale, accertamento in fatto non contestabile in questa sede.

Il terzo motivo va accolto nei sensi di cui in motivazione.

La sentenza ha riferito a pagina tre che, eliminata un’area pari a cm 75, la porzione di balcone che residuerebbe (cm 65 x cm 89), non avrebbe le dimensioni minime prescritte dal D.M. LL. PP. n. 236 del 1989 nè gli appellanti avevano indicato quali soluzioni tecniche potrebbero essere adottate in alternativa alla disposta eliminazione del manufatto.

La decisione va cassata ma va disposta, con decisione nel merito, l’eliminazione della veduta con le modalità che saranno determinate in sede di esecuzione nei limiti di legge.

In definitiva, vanno rigettati i primi due motivi cd accolto il terzo nei termini riferiti mentre la confermala soccombenza integrale comporta la condanna alle spese dei ricorrenti.

PQM

La Corte rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo e, decidendo nel merito, condanna i ricorrenti alla eliminazione della veduta con le modalità determinate in sede di esecuzione nei limiti di legge.

Condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 2200 dando atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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