Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13194 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 17/05/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 17/05/2021), n.13194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1123/2020 proposto da:

S.Y., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABRIZIO IPPOLITO D’AVINO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VICENZA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ope legis in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3032/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/07/2019 R.G.N. 258/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 3032/2019 la Corte di appello di Venezia ha confermato la ordinanza con la quale il locale Tribunale ha respinto la domanda di S.Y., cittadino del (OMISSIS), intesa al riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione;

1.1. dalla sentenza di appello emerge che il richiedente, in sede giudiziale, ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con riferimento al conflitto, che aveva cagionato anche dei morti, tra il suo villaggio, Tolà, ed altro villaggio limitrofo, (OMISSIS), per ragioni inerenti la proprietà di terreni di confine ed evidenziato che la polizia non poteva intervenire in quanto si occupava di altri problemi quali la guerra, gli attentati l’immigrazione dal nord verso sud; ha affermato che se fosse stato preso dalla polizia sarebbe stato condannato a 20 anni e che prima di raggiungere l’Italia era stato prigioniero in Libia per nove mesi; in sede amministrativa, dinanzi alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, aveva dichiarato di essere stato arrestato ed incarcerato e di essere riuscito a fuggire;

1.3. il giudice di appello ha premesso che il primo motivo di gravame concerneva un aspetto – la credibilità del richiedente – non devoluto in seconde cure in quanto l’accertamento dell’assenza di elementi per la concessione dello status di rifugiato e la relativa pronunzia erano coperti da giudicato per mancata impugnazione; in ogni caso, ha convenuto sulla inattendibilità della narrazione alla luce del confronto fra il diverso contenuto delle dichiarazioni in sede ammnistrativa e in sede giudiziale; ha escluso i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c) alla stregua delle fonti richiamate, aggiornate che con riferimento alla regione di Kayes, di provenienza del richiedente, che evidenziavano un basso indice di violenza di qualsiasi origine, pur non mancando del tutto sporadici episodi di terrorismo; infine, la non credibilità della narrazione del ricorrente non consentiva di porla a fondamento della domanda di permesso di soggiorno; il livello di integrazione sociale – peraltro neppure allegato atteso che lo stesso non potrebbe presumersi dall’effettuazione di prestazioni lavorative regolarmente retribuite non integrava una situazione di vulnerabilità; infine con riferimento al principio dell’art. 10 Cost., in tema di diritto di asilo la giurisprudenza di legittimità riteneva che lo stesso avesse ricevuto attuazione nel nostro ordinamento attraverso il riconoscimento dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e l’istituto peculiare del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.Y. sulla base di tre motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio sulla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria e umanitaria, contestando la valutazione di non credibilità del narrato e dolendosi della mancata considerazione della situazione di diffusa ed indiscriminata violenza nel paese di provenienza, contestando sotto vari profili la validità ed idoneità del riferimento alle fonti individuate dal giudice di merito attraverso dei link che non consentivano di ripercorrere i percorsi logico giuridici alla base della statuizione di rigetto;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, censurando la sentenza impugnata per non avere effettuato l’accertamento in ordine alla situazione in Mali sulla base di fonti aggiornate e per avere omesso ogni riferimento ai documenti prodotti;

3. con il terzo motivo deduce nullità della sentenza per motivazione apparente; la motivazione era standardizzata e non considerava che la domanda di protezione si fondava sulla situazione di violenza diffusa in Mali;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la denunzia di vizio di motivazione non è articolata in conformità del testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale esige l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non denunciata nella fattispecie (v., per tutte Cass. Sez. Un, n. 8053/2014);

4.1. parte ricorrente, in contrasto con le caratteristiche del giudizio di legittimità quale giudizio a critica vincolata, svolge censure del tutto generiche; tanto è a dirsi anche in relazione al preteso fatto decisivo, rappresentato dalla attuale situazione delle regioni sud centrali del Mali, per la dirimente considerazione che parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 122 c.p.c. e dell’onere di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, omette la trascrizione in ricorso in lingua italiana del contenuto dei rapporti richiamati, destinati in tesi a sorreggere l’assunto della situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato nella regione del Mali di provenienza del richiedente (Cass. 2231/2019, 6093/2013);

5. il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato;

5.1. è inammissibile, per difetto di specificità, laddove denunzia la mancata considerazione della documentazione prodotta dal ricorrente, della quale, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non indica nè la sede di relativa produzione nel giudizio di merito, nè il relativo contenuto attraverso la trascrizione o esposizione per riassunto dello stesso, come, invece, prescritto (Cass. 29093/2018, 195/2016, 16900/2015, 26174/2014);

5.2. il motivo è infondato laddove assume violazione dell’obbligo imposto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in quanto la Corte di merito ha fatto un riferimento articolato alle fonti richiamate, che concernono il periodo 2017/2018, senza che le conclusioni dalle stesse tratte siano state validamente censurate sulla base di diversi e più aggiornati report indicati dall’odierno ricorrente;

6. infine è privo di pregio,il terzo motivo di ricorso che denunzia apparenza nonchè contraddittorietà di motivazione in relazione alla statuizione di rigetto della domanda di protezione umanitaria, ascrivendo alla Corte di merito una motivazione standardizzata, fondata sulla non credibilità del ricorrente laddove la domanda di protezione umanitaria era stata fondata sulla situazione di violenza diffusa in Mali; ai fini del rigetto del motivo in esame è dirimente il rilievo che la situazione in Mali risulta ampiamente presa in considerazione dalla Corte di merito che, sulla base di fonti puntualmente citate (sentenza, pagg. 8 e sgg.) ha escluso il ricorrere di una situazione di violenza generalizzata, conclusione non inficiate dalle censure articolate nei precedenti motivi;

7. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

8. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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