Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13193 del 24/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 24/06/2016, (ud. 22/04/2016, dep. 24/06/2016), n.13193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16367-2014 proposto da:

F.S., V.G., F.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 9 presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE CRINE, rappresentati e difesi dall’avvocato

ALBERTO TALAMONE, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.A., anche in qualità di erede della Sig.ra D.

M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAN GIACOMO PORRO

8, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MUZI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO RAVIZZOLI

FRANCESCA SIGNORINI, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2014 dello CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/01/2014;

udita h relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato GIOVANNI MUZI, difensore del controricorrente, che

si riporta ai motivi del controricorso.

Fatto

FATTO G DIRITTO

F.S. e M., V.G. propongono ricorso per cassazione contro S.A. anche quale erede di D. M., che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Milano 15.1.2014 che ha accolto l’appello rigettando la loro domanda di usucapione ritenuta non provata mentre gli elementi addotti dall’appellante, letti in termini riduttivi dal primo giudice, evidenziavano un’inequivocabile persistenza della titolarità del diritto dominicale. I ricorrenti denunziano nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c. lamentando che sia stata chiesta la prova rigorosa della continuità e della non interruzione e formulano il quesito di diritto: se il giudice di secondo grado poteva interpretare restrittivamente la sussistenza del corpus possessionis e dell’animus possidendi in capo all’usucapiente, riducendo all’unica prova possibile quella del possesso univoco ovvero la recinzione del fondo controverso oggetto di usucapione. La censura, non risolutiva, non merita accoglimento.

Premesso che il quesito di diritto non è necessario ratione temporis trattandosi dì sentenza del 2014 la doglianza è, in ogni caso, generica e non indica i concreti elementi idonei a ribaltare la decisione impugnata che, come dedotto, ha statuito l’assenza di prova e la mancata valutazione di elementi contrari opposti da parte convenuta.

Non era sufficiente una manutenzione del prato e gli attori avevano recintato la loro proprietà.

Per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n.11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 11 maggio 1996 n. 4436 Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).

Nè è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. 4454), ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta. Alla cassazione della sentenza si può giungere solo quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (Cass. 14 febbraio 2003 n. 2222).

In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 2200 dando atto della sussistenza dei presupposti D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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