Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13191 del 17/05/2021

Cassazione civile sez. lav., 17/05/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 17/05/2021), n.13191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1024/2020 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO N.

38, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ope legis in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 660/2019 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 23/10/2019 R.G.N. 1071/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 660/2019 la Corte d’appello di Perugia ha confermato l’ordinanza di primo grado di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione presentata da S.F., cittadino del (OMISSIS);

2. la Corte di appello, rilevato il passaggio in giudicato, per omessa impugnazione, del diniego di riconoscimento dello status di rifugiato, premesso che con riferimento alla protezione sussidiaria la censura articolata si basava principalmente sulla omessa disamina dei presupposti di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), richiamandosi ad un “rischio generale” della situazione in Mali, ha osservato che dagli approfondimenti effettuati tramite consultazione di siti specializzati era emerso che il Mali, a partire dall’anno 2010, era connotato da instabilità socio politica, aggravatasi in conseguenza dell’aumento degli attacchi da parte di gruppi islamici, alleati da (OMISSIS), alle forze governative ed alle forze di pace delle Nazioni Unite; non era configurabile, tuttavia, una situazione di violenza indiscriminata essendo gli attacchi generalmente rivolti a gruppi ben determinati e tanto escludeva riflessi sulla condizione del ricorrente il quale, nel giustificare l’allontanamento dal paese di origine, aveva fatto riferimento ad una vicenda del tutto personale ed a contrasti di tipo tribale, in relazione ai quali non era configurabile il rischio di non ricevere protezione da parte dello Stato di origine; non sussistevano, infine, i presupposti della protezione umanitaria in difetto della richiesta situazione di vulnerabilità soggettiva;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.F. sulla base di tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame delle dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente; assume, in sintesi, che era stata trascurata la allegazione circa la impossibilità di poter ricevere protezione nel paese di provenienza e che occorreva l’approfondimento della situazione generale; lamenta la mancata considerazione della integrazione sociale;

2. con il secondo motivo deduce omessa applicazione dell’art. 10 Cost. e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, censurando il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria; assume che la situazione del Mali, paese connotato da una situazione di instabilità e da violenza generalizzata, implicava una grave condizione di pericolo a livello di sicurezza individuale;

3. con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 10 Cost.; deduce, inoltre, omessa valutazione delle fonti informative relativamente alla situazione economico-sociale del paese ed omesso esame delle condizioni personali del richiedente per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione di vita raggiunta in Italia, dove vi era integrazione nel tessuto sociale, e quella alla quale il richiedente sarebbe stato esposto in caso di rientro nel paese di provenienza;

4. il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità; parte ricorrente, infatti, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, non chiarisce le ragioni dell’allontanamento dal paese di origine e neppure trascrive o espone per riassunto le allegazioni a riguardo formulate in ricorso e le dichiarazioni rese davanti alla Commissione territoriale che assume trascurate dal provvedimento impugnato; tale modalità di articolazione del motivo lo rende inidoneo alla valida censura della decisione, in relazione ai profili denunziati in quanto non consente al giudice di legittimità la verifica di fondatezza delle censure articolate sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, come prescritto (Cass. 09/07/2004, n. 12761; Cass. Sez. Un. 02/02/2003, n. 2602; Cass. 30/03/2001, n. 4743);

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto inidoneo ad incrinare l’accertamento di fatto alla base del decisum con riferimento alla complessiva situazione del Mali; chi ricorre si limita, in realtà, a prospettare una diversa valutazione della situazione del Paese di provenienza, con una censura che attiene chiaramente ad una quaestio facti che non può essere riesaminata innanzi alla Corte di legittimità, perchè si esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invoca, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse (da ultimo Cass. n. 2563/ 2020), peraltro sulla base di una fonte UNHCR della quale non è riportato neppure l’anno di riferimento;

6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per assoluta genericità delle censure articolate che si risolvono nella enunciazione di una serie di principi in tema di condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

6.1. il provvedimento impugnato ha negato il ricorrere di una situazione di vulnerabilità soggettiva e tale affermazione non è contrastata in ricorso dal riferimento ad uno specifico profilo di vulnerabilità ravvisabile nella situazione individuale del richiedente e trascurato dal giudice di merito; analogamente, il riferimento alla integrazione nel tessuto sociale italiano, si traduce in una mera contrapposizione valutativa, non sorretta da elementi obiettivi, alla diversa conclusione attinta dal giudice di appello;

7. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

8. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2021

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