Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1319 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 09010/2016 R.G. proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Premuda

n. 18, presso lo studio dell’avv. Emilio Ricci, rappresentato e

difeso dall’avv. Giuseppe Raimondi, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5192/1/15 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata in data 5/10/2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 novembre

2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale del Lazio, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato legittimo il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione in relazione alla richiesta presentata da F.A. di rimborso delle ritenute subite per imposte versate dal datore di lavoro Istituto nazionale per il Commercio con l’Estero, quale sostituto di imposta in riferimento all’integrazione del trattamento di fine rapporto erogatogli nell’anno 2008.

2. Ha rilevato il giudice di appello che nella specie non si rinveniva il titolo legittimante la pretesa restituzione dell’imposta versata; invero, l’inesistenza dell’obbligo di versamento doveva ritenersi subordinata alla previa restituzione, da parte del dipendente, degli importi erroneamente percepiti dal datore di lavoro; non essendosi tale condizione verificata, rimaneva l’obbligo per il datore di lavoro I.C.E., quale sostituto di imposta, di effettuare la ritenuta di acconto.

3. Per la cassazione della citata sentenza F.A. ha proposto ricorso affidato a tre motivi; l’Agenzia delle Entrate ha depositato un atto di costituzione nel quale si è riservata l’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, e della L. n. 890 del 1982, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, deducendo l’omesso rilievo da parte la CTR dell’inammissibilità dell’appello, in conseguenza della omessa e/o inesistente notificazione del relativo atto introduttivo, essendo rimasto il contribuente contumace in quel grado di giudizio.

b. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c.”, deducendo la nullità della sentenza per omesso rilievo dell’inammissibilità dell’appello per le medesime ragioni di cui al primo motivo di ricorso.

c. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp. Att. c.p.c., nonchè violazione per mancata applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5” deducendo l’omessa o apparente motivazione della sentenza impugnata su fatti controversi e decisivi per il giudizio, quali lo svolgimento del processo, l’assenza di una motivazione riconoscibile, l’omesso esame di tutte le censure formulate dall’Agenzia delle Entrate con l’atto di appello, l’omesso esame delle difese svolte dal contribuente in primo grado, l’omessa considerazione della legittimità della richiesta di rimborso, come conseguenza del contenuto della sentenza resa dal Consiglio di Stato, che avrebbe sancito l’inesistenza delle obbligazioni tributarie correlate all’adempimento della riformata sentenza del T.A.R. con conseguente attribuzione della qualifica di indebito alle imposte versate e oggetto di richiesta di rimborso.

2. Il ricorso va respinto.

3. I primi due motivi, che per la loro oggettiva connessione possono essere unitariamente esaminati, sono infondati. La sentenza impugnata non contiene alcuna declaratoria di contumacia del contribuente nella fase di appello. Al contrario, nella parte in “Fatto”, il F. viene dato per regolarmente difeso dal proprio difensore all’udienza di discussione. Tanto determina l’infondatezza dei due primi motivi, che si basano sull’assunto, contrastante con il contenuto della sentenza impugnata, che il contribuente fosse contumace in appello, circostanza che appare smentita dalla lettura della sentenza impugnata, appartenendo ad altre forme di impugnazione l’eventuale errore di percezione del giudicante sul punto.

4. Il terzo motivo è inammissibile. In materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Sez. 2 -, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018). Tanto si verifica nel caso di specie ove la censura non solo viene formulata cumulativamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, ma non contiene al suo interno partizioni o altri elementi identificativi che consentano di individuare quale parte di essa sia dedicata ai diversi profili giuridici di ciascuna delle categorie dell’art. 360 cit., che è compito della parte e, come anzidetto, non può essere demandato all’opera interpretativa di questa Corte.

5. L’irrituale costituzione dell’Agenzia delle Entrate esonera dal dover provvedere sulle spese di lite, ma la parte ricorrente va condannata, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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