Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1319 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/01/2017, (ud. 08/11/2016, dep.19/01/2017),  n. 1319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2364/2014 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE

LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE

EDOARDO GALLEANO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 575/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/07/2013 R.G.N. 590/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO NATALE EDOARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 18.7.13 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di rigetto (n. 26660/11) emessa dal Tribunale partenopeo, accoglieva la domanda proposta da C.S. contro Poste Italiane S.p.A., dichiarando illegittimo per tardività della contestazione disciplinare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato il 9.12.09 dalla società e condannando quest’ultima a reintegrare L. n. 300 del 1970, ex art. 18, il lavoratore nel posto di lavoro e a pagargli le retribuzioni globali di fatto maturate dal 3.3.11.

All’origine del licenziamento vi erano state le assenze del lavoratore protrattesi dal 17.8.09 al 2.9.09 (periodo durante il quale C.S. era stato ricoverato presso una struttura privata per esigenze di recupero connesse al suo stato di tossicodipendenza) e per le quali egli aveva chiesto fin dal 29.7.09 un’aspettativa non retribuita dal 17.8.09 al 27.2.11, aspettativa poi concessagli dalla società il 10.9.09, ma con decorrenza dal giorno 3.9.09. La contestazione disciplinare di essersi ingiustificatamente assentato dal 17.8.09 al 2.9.09 gli era stata poi mossa il 30.10.09.

La Corte territoriale faceva decorrere le conseguenze economiche dell’ordine di reintegra dal 3.3.11, vale a dire dal giorno successivo a quello in cui sarebbe cessata l’aspettativa non retribuita chiesta dal lavoratore.

Per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

C.S. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e art. 2727 c.c. e ss., per avere la sentenza impugnata ritenuto tardiva la contestazione disciplinare – avvenuta il 30.10.09 – con riferimento alle assenze ingiustificate protrattesi dal 17.8.09 al 2.9.09, nonostante che il decorso di tale arco temporale fosse compatibile con la segnalazione disciplinare (avvenuta il 2.10.09) e con le notevoli dimensioni aziendali, non avesse cagionato alcun danno all’intimato e non avesse indotto un suo legittimo affidamento circa la mancanza di connotazioni disciplinari del fatto ascrittogli; sempre con il primo motivo la ricorrente censura la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha confuso due diversi momenti temporali, ossia quello dell’assenza ingiustificata dal 17.8.09 al 2.9.09 e quello in cui il lavoratore è stato in aspettativa non retribuita dal 3.9.09, quasi si trattasse di un unicum; inoltre – prosegue il ricorso – erroneamente la sentenza ha postulato che la società avrebbe dovuto presumere l’imputabilità dell’assenza ad impossibilità della prestazione da parte del lavoratore; il motivo si conclude con il lamentare che la sentenza non ha considerato giustificato il ritardo quantunque la concessione dell’aspettativa e la contestazione disciplinare provenissero da due distinti uffici della società.

1.2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 1218, 1227 e 2697 c.c., oltre che vizio di motivazione lacunosa e incompleta, per avere la Corte d’appello applicato il regime risarcitorio di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, mentre nel caso di specie si sarebbe dovuta seguire la regola dell’art. 1218 c.c., non essendo l’inadempimento in alcun modo imputabile al debitore, avendovi anzi contribuito in misura rilevante lo stesso lavoratore.

2.1. Il primo motivo è infondato.

Ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 124, comma 1, “I lavoratori di cui viene accertato Io stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni”.

Il comma 2, secondo periodo, aggiunge che “Salvo più favorevole disciplina contrattuale, l’assenza di lungo periodo per il trattamento terapeutico-riabilitativo è considerata, ai fini normativi, economici e previdenziali, come l’aspettativa senza assegni degli impiegati civili dello Stato e situazioni equiparate”.

A sua volta anche l’art. 47 CCNL 11.7.07 per il personale di Poste Italiane prevede il diritto all’aspettativa in capo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato che intendano accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso idonee strutture pubbliche o private.

Dalla sentenza impugnata risulta che la richiesta di aspettativa, proposta sin dal 29.7.09, riguardava il periodo 17.8.09 – 27.2.11 e che l’assenza oggetto di contestazione disciplinare era riferita al periodo 17.8.09 – 2.9.09.

La società aveva concesso l’aspettativa, ma solo dal 3.9.09, dopo che il controricorrente aveva depositato nuova istanza di aspettativa corredata da ulteriore documentazione a sostegno, così come richiestogli dalla società ai primi di settembre.

Infine, la contestazione è stata mossa soltanto il 30.10.09.

Ciò premesso, la sentenza ha correttamente evidenziato non solo e non tanto la tardività della contestazione disciplinare rispetto alle assenze addebitate, quanto la contraddittorietà fra tale contestazione e la concessione (avvenuta il 10.9.09) dell’aspettativa, peraltro riferita al periodo immediatamente anteriore.

Tale contraddittorietà è rilevante proprio perchè la ratio del principio di immediatezza della contestazione disciplinare riflette l’esigenza che siano osservati i canoni di correttezza e buona fede nello svolgimento del rapporto di lavoro.

E se è vero che si tratta d’un apprezzamento da condursi tenendo presente la specifica natura dell’infrazione e il tempo occorrente per espletare le opportune indagini (tanto maggiore quanto più complessa è l’organizzazione aziendale), è altrettanto vero che nel caso di specie la sentenza ha segnalato che gli uffici occupatisi della vicenda (per quel che concerne il profilo disciplinare e quello inerente alla richiesta di aspettativa) avevano tutti sede in (OMISSIS), così non giustificandosi il ritardo.

Si tratta d’una valutazione che rientra nei compiti precipui dei giudici di merito (cfr., per tutte e da ultimo, Cass. n. 281/16).

Il mezzo appare – poi – fuori centro nella parte in cui attribuisce alla sentenza una confusione di due diversi momenti temporali in cui, in realtà, la Corte territoriale non è incorsa, così come la sentenza non ha affatto asserito che la società avrebbe dovuto presumere un’impossibilità della prestazione da parte del lavoratore, assente perchè inserito in un programma terapeutico-riabilitativo.

Vanno, ancora, disattesi i vizi di motivazione lamentati in ricorso: la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata) rende denunciabile per cassazione solo il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

A sua volta tale omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo (cfr. Cass. S.U. 7.4.14 n. 8053).

2.2. Il secondo motivo è infondato.

Il concorso di colpa del controricorrente è stato espressamente e motivatamente escluso dalla sentenza impugnata nella parte in cui ha sottolineato il prolungato silenzio della società a fronte della tempestiva richiesta di aspettativa inoltratale dal lavoratore.

Anche questa è una valutazione riservata al giudice di merito.

Quanto al vizio di motivazione lamentato nel secondo motivo, valgano le considerazioni già espresse nel paragrafo che precede.

3.1. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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