Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13189 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. I, 30/06/2020, (ud. 10/09/2019, dep. 30/06/2020), n.13189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22164/2018 proposto da:

E.F., elettivamente domiciliato in manca il domiciliatario,

rappresentato e difeso dall’avvocato PRATICO’ Alessandro;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale Stato;

– resistente con atto di costituzione –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositato il 06/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso proposto da E.F., cittadina (OMISSIS), nei confronti del provvedimento della competente Commissione Territoriale che aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale nelle varie forme.

La ricorrente, sentita una prima volta dalla Commissione, aveva dichiarato di essere nata a (OMISSIS) e di essere cresciuta ad (OMISSIS), di essere di religione cristiana, e di aver perso i genitori, il fratello e la sorella nella guerra tra cristiani e musulmani ad (OMISSIS); di avere un figlio di cui non aveva avuto più notizie. Sentita una seconda volta, aveva dichiarato di essere vissuta anche nella terra degli ishan; di essere stata vittima ad (OMISSIS) di una violenza da cui era nato un figlio; di essere arrivata in Libia grazie al danaro guadagnato con la sua attività di commerciante, e di avere successivamente raggiunto l’Italia. La stessa aveva posto a fondamento della sua domanda di protezione internazionale la situazione di pericolo cui sarebbe stata esposta in caso di rimpatrio a causa del conflitto tra cristiani e musulmani. La Commissione aveva ritenuto il racconto poco credibile, ed aveva escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, rilevando altresì di essersi attivata ai fini dell’approfondimento della potenziale situazione di sfruttamento e tratta con personale competente ai sensi del D.Lgs. n. 24 del 2014 e che la richiedente aveva negato in tale sede di essere sfruttata.

In sede di ricorso all’autorità giudiziaria la difesa della donna ha insistito sulla sua condizione di vittima di tratta, oltre che sulla gravità della situazione di conflittualità ed instabilità in Nigeria.

In udienza la richiedente ha riferito che i genitori erano morti nel corso di un attentato al mercato, al quale ella era riuscita a scampare; che era stata vittima in Nigeria di una violenza sessuale della quale non intendeva parlare; che viveva attualmente a (OMISSIS) con il suo fidanzato, un nigeriano conosciuto in Italia, mantenendosi con la sua attività di parrucchiera, e che non era costretta a prostituirsi.

Il Tribunale ha condiviso le valutazioni della Commissione in ordine alla infondatezza della domanda di E.F.. Il giudice di merito ha ritenuto non credibile la narrazione della donna quanto alla sua provenienza da (OMISSIS), atteso che ella non sa parlare la lingua hausa, nè ha saputo indicare elementi caratteristici della città. Ha, inoltre, evidenziato il Tribunale la contraddittorietà del racconto con riguardo ai motivi dell’espatrio, ed anche con riguardo al proprio figlio.

Ciò posto, il Tribunale, pur avendo ravvisato, nella vicenda in esame, gli indicatori sintomatici della circostanza che la donna sia vittima di tratta, ha rilevato che la stessa, sia in sede di intervista, sia innanzi al personale antitratta, sia innanzi al giudice, ha negato di essere mai stata sfruttata nè minacciata, così come di avere mai esercitato la prostituzione. Alla stregua di tale argomentazione il Tribunale ha ritenuto di non poter accogliere la domanda di asilo. Ha poi escluso la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria. In particolare, quanto ai presupposti di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha osservato il giudice di merito che la richiedente non risulta sottoposta a procedimento penale, e, quindi, esposta al rischio di subire, in caso di rimpatrio, una condanna a morte o a tortura od altra forma di trattamento disumano o degradante.

Quanto alla condizione di cui dello stesso art. 14, lett. c) del citato D.Lgs., riferita alla sussistenza di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, il Tribunale ha affermato che da fonti informative ufficiali emerge che la situazione di pericolo in Nigeria riguarda solo alcune zone del Paese e non tutto il vastissimo territorio nigeriano.

Infine, il giudice di merito ha rigettato la domanda di protezione umanitaria rilevando, per un verso, che la situazione della Nigeria non appare così grave da porre in condizioni di vulnerabilità la totalità dei cittadini, per l’altro che la narrazione della sua vicenda personale da parte della richiedente non era credibile.

2.- Per la cassazione di tale decreto ricorre E.F. sulla base di due motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La contestazione riguarda il mancato riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. Sotto il primo profilo la ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe fondato la propria valutazione negativa in ordine alla credibilità del racconto della sua vicenda personale su parametri diversi da quelli normativi e senza rispettare il regime probatorio in materia, che prevede il beneficio del dubbio, nè l’obbligo di cooperazione istruttoria. Inoltre il Tribunale non avrebbe calato la vicenda personale della ricorrente nella situazione generale della tratta delle ragazze nigeriane, limitandosi a rigettare la domanda solo perchè ella aveva negato di prostituirsi. Sotto il secondo profilo, rileva la ricorrente che il giudice di merito ha escluso la configurabilità di un quadro di controindicazioni al suo rimpatrio per il rischio di esposizione a forme di discriminazione od a trattamenti inumani o degradanti per effetto di una valutazione difforme dai criteri dettati dalla legge.

2.- Anzitutto va rilevata la erroneità della evocazione del vizio di motivazione riferito al parametro censorio di cui al n. 3, anzichè dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Tale vizio, comunque, non avrebbe potuto avere ingresso nella valutazione del giudice della legittimità, atteso che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (v. Cass.,SS.UU., sent. n. 8053 del 2014).

2.1. – La censura è comunque priva di fondamento nella sua duplice articolazione.

2.2. – In riferimento alla contestazione del mancato riconoscimento dello status di rifugiato, la ricorrente anzitutto sottopone a critica la valutazione di non credibilità che del racconto della sua vicenda e delle ragioni del suo espatrio ha operato il giudice di merito.

2.2.1. – Al riguardo, va osservato che, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.

Nella specie, il Tribunale, premesso che la ricorrente non ha offerto alcun supporto documentale alla propria domanda, ha evidenziato le contraddizioni emerse dalla narrazione, per inferirne la non attendibilità. Ha ritenuto, in particolare, non credibile il racconto della donna quanto alla sua provenienza da (OMISSIS), atteso che ella non sa parlare la lingua hausa, nè ha saputo indicare elementi caratteristici della città; quanto alle ragioni della sua fuga, avendo la ricorrente dichiarato alla Commissione territoriale che i genitori ed i fratelli erano morti durante la guerra tra cristiani e musulmani mentre ella era da un’amica, ed, in sede di udienza, che i genitori erano morti durante una sparatoria al mercato ed ella, pur presente, era riuscita a fuggire. Anche il racconto relativo al figlio, secondo il Tribunale, presenta dei punti oscuri, avendo la donna in sede di prima audizione dichiarato che il ragazzo era dalla madre, ma che non ne aveva avuto più notizie, e successivamente che era nato da una violenza sessuale, mentre, in sede di udienza, non ha voluto aggiungere altri particolari sulla violenza subita.

A fronte della chiara e dettagliata evidenziazione dei punti oscuri della vicenda che inducevano ad un giudizio di non credibilità, e, dunque, alla luce della osservanza da parte del Tribunale dei criteri normativi sopra richiamati, nessuna rilevanza può assumere la diversa interpretazione che delle difformità del racconto nelle diverse audizioni della donna sottolineate dal giudice di merito ha fornito la ricorrente. Ciò in quanto la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (v. Cass., ord. n. 3340 del 2019).

2.2.2. – La ricorrente ha poi contestato la conclusione del Tribunale che, dopo aver riconosciuto l’esistenza, nella specie, di indicatori sintomatici della tratta, ha rigettato la domanda di asilo sulla sola base della negazione da parte della richiedente di essere mai stata sfruttata o minacciata e di avere mai esercitato la prostituzione, senza considerare la situazione generale della tratta delle ragazze nigeriane, e senza valutare il sottoinsieme sociale di individui particolarmente vulnerabili costituito dalle donne.

Anche tale rilievo è privo di fondamento.

Il Tribunale ha effettivamente rilevato nella specie la sussistenza di indicatori sintomatici indicati nel rapporto delle Nazioni Unite – dai quali desumere la condizione di tratta (il tragitto compiuto per giungere in Italia, le difficoltà della ricorrente nel riferire i dettagli del viaggio, il mancato pagamento dello stesso, la vaghezza circa i successivi spostamenti in Italia, il mancato inserimento nel sistema di accoglienza, le circostanze non credibili sui mezzi di sostentamento). Tuttavia, correttamente il giudice di merito ha dovuto prendere atto delle dichiarazioni della donna, rese nelle diverse sedi (Commissione territoriale; personale competente attivato dalla prima ai sensi del D.Lgs. n. 24 del 2014, al fine di approfondire la potenziale situazione di sfruttamento e tratta; giudice di merito), con le quali ella ha negato di trovarsi nella condizione di vittima di tratta, fornendo anche dettagli sulle sue fonti di sostentamento (attività di parrucchiera, convivenza con il fidanzato che sosteneva le spese dell’affitto), che, per quanto ritenuti dal giudice di merito inattendibili, nella prospettazione della richiedente sono stati offerti a suffragio della sua tesi.

Pertanto, pur nell’anomalia di una situazione in cui la difesa della ricorrente insiste sulla tesi della tratta, mentre la diretta interessata la smentisce reiteratamente innanzi alle diverse autorità interessate al suo caso, il Tribunale non ha potuto che escludere l’avvenuto raggiungimento della prova della persecuzione, avuto riguardo al principio di cooperazione cui, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, è improntato il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, ed alla cui osservanza sono tenuti sia il giudice che il richiedente.

2.3. – Quanto al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, il Tribunale, rilevato che non risulta che la ricorrente sia sottoposta a procedimento penale nel suo Paese, ed escluso, quindi, il rischio che in caso di rimpatrio la stessa possa essere condannata a morte o a tortura o ad altre forme di trattamento degradante, presupposti della protezione richiesta ai sensi delle lettere a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha altresì escluso che sussista in Nigeria una situazione di conflitto armato, rilevando che dalle fonti informative consultate, puntualmente citate, emerge un quadro di pericolo a causa dell’attività del gruppo terroristico di (OMISSIS) e di conflitti tra varie comunità solo in alcune regioni della Nigeria, concentrate nel Nord e Nord Est del Paese.

A fronte di tale dettagliata descrizione della situazione generale della Nigeria, la ricorrente, nel segnalare le iniziative delittuose del predetto gruppo armato e l’esistenza di una condizione socio-politica idonea a determinare una condizione di minaccia grave ed individuale alla persona, che riguarderebbe anche la zona meridionale della Nigeria, si pone l’obiettivo di conseguire una revisione, inibita nella presente sede, della ricostruzione fattuale spettante al giudice del merito.

3.- Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si lamenta che il Tribunale, pur avendo ipotizzato che la ricorrente fosse vittima di tratta, abbia escluso la sussistenza di una condizione di vulnerabilità della stessa, senza nemmeno considerare il quadro generale di violenza diffusa ed indiscriminata.

4.- Anche tale motivo, in disparte la inammissibilità della censura di vizio di motivazione, per le ragioni già esposte sub 2, è infondato.

Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., SS.UU., sent. n. 29459 del 2019; Cass., sent. n. 4455 del 2018).

Non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass., ord. n. 3681 del 2019).

Nella specie, il giudice di merito non ha ravvisato ragioni di carattere umanitario che giustifichino il riconoscimento della protezione umanitaria, in mancanza, per un verso, di una esigenza qualificabile come umanitaria, tenuto anche conto delle reiterate dichiarazioni della ricorrente che rendono vane le considerazioni della difesa della stessa circa la sua presunta condizione di vittima di tratta; per l’altro, in mancanza di violazione di diritti costituzionalmente tutelati nella regione di provenienza della donna, alla stregua delle fonti di informazione consultate.

5.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non vi è luogo a provvedimenti sulle spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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